BREVE STORIA DELLA CLIMATIZZAZIONE

 

 

 

 

1. IN PRINCIPIO ERA L’U.T.A

 

La storia della climatizzazione ha inizio nei primi anni del ‘900 con i grandi sistemi  di trattamento dell’aria, gli IMPIANTI A TUTT’ARIA. Il cuore di questi  impianti è l’Unità di Trattamento Aria (U.T.A), un grosso “scatolone” di lamiera solitamente installato sul tetto dell’edificio per via del notevole ingombro e dell’aspetto tutt’altro che attraente. L’U.T.A aspira aria dall’esterno (aria di rinnovo), la miscela con aria prelevata dagli ambienti climatizzati (aria di ricircolo), la filtra, ne modifica temperatura e umidità e infine la ridistribuisce negli ambienti attraverso una rete di canali e bocchette di distribuzione.

 

 Per poter funzionare l’UTA ha bisogno di un certo numero di componenti. Alcuni di questi componenti sono contenuti nella stessa UTA (serrande, batterie di scambio termico, filtri, umidificatore, ventilatori centrifughi), altri solitamente sono situati all’esterno. I principali componenti esterni all’UTA sono  i dispositivi che forniscono acqua fredda (refrigeratore d’acqua o chiller) e calda (centrale termica) alle batterie di scambio termico e i canali di ripresa e di distribuzione dell’aria  con i relativi accessori (serrande, griglie di ripresa, bocchette, anemostati ecc.)

 

Gli impianti a tutt’aria rappresentano a tutt’oggi la tipologia più diffusa nel Nord America, dove gli edifici sono tutti di recente costruzione, non esistono limiti di cubatura e di dimensioni e il tipo di costruzione (struttura portante in acciaio e pareti leggere) permette di utilizzare canali di distribuzione aria di grandi dimensioni e facilita eventuali modifiche degli impianti.

 

Nei Paesi europei e in particolare in Italia si diffonde invece una tecnologia “ibrida” denominata MISTA ACQUA-ARIA. Negli  impianti misti acqua-aria l’UTA tratta esclusivamente l’aria di rinnovo (esterna) mentre l’aria di ricircolo viene riscaldata o raffrescata e deumidificata da terminali alimentati da acqua calda o fredda installati direttamente in ambiente: si tratta dei ben noti ventilconvettori o fan coils. Nelle soluzioni impiantistiche più economiche l’UTA viene addirittura eliminata e si installano solo fan-coils negli ambienti (IMPIANTI A TUTT’ACQUA O IDRONICI), con l’eventuale aggiunta di piccoli impianti di rinnovo d’aria a ventilazione forzata con recupero di calore.

La diffusione della tecnologia mista acqua-aria e a tutt’acqua in Europa è legata, almeno in parte, alla forte presenza di edifici molto vecchi o antichi, spesso di interesse storico e artistico (palazzi storici, musei ecc.). Questi edifici richiedono in genere tipologie impiantistiche che abbiano un impatto estetico e funzionale molto ridotto sulle strutture edilizie.

 

Come si può intuire da questa breve e sommaria descrizione, gli impianti finora descritti sono sistemi  in genere complessi, ingombranti, costosi, difficili da progettare e in definitiva inadatti alle piccole applicazioni residenziali e commerciali (case d’abitazione, negozi, studi professionali ecc.). D’altra parte, bisogna riconoscere che un impianto a tutt’aria o misto acqua-aria ben progettato permette un controllo molto preciso delle condizioni termoigrometriche e si adatta perfettamente alla grande edilizia civile (palazzi uffici, ospedali, centri commerciali, banche, scuole) e industriale.

 

 

2. ARRIVANO GLI AUTONOMI

 

Un bel giorno un progettista di talento ha un’idea geniale: prende tutti i componenti indispensabili per il trattamento dell’aria e li  “impacchetta” dentro un contenitore grande più o meno come un piccolo armadio domestico, da installare direttamente in ambiente. Lo scopo del nostro progettista è ovviamente quello di ridurre e semplificare al massimo il tradizionale impianto a tutt’aria, eliminando i componenti esterni (refrigeratore d’acqua, centrale termica, canali di distribuzione, terminali) per ottenere, alla fine, un apparecchio completamente autonomo costituito essenzialmente da un circuito frigorifero per raffreddare e deumidificare l’aria  e da due ventilatori, uno per ricircolare l’aria dell’ambiente e uno per espellere calore e umidità verso l’esterno.

 

Nasce così il “climatizzatore autonomo monoblocco”, anche detto “ad armadio”, che ha un grandissimo successo nelle piccole e medie applicazioni con potenze comprese tra 6000 e 45.000 frigorie/ora (uffici, negozi, laboratori artigianali, piccole industrie) ed è a tutt’oggi ancora utilizzato nel “condizionamento tecnologico” di centri meccanografici, CED, sale quadri, centrali telefoniche e altri locali speciali ad elevata dissipazione di calore. Con l’aggiunta di opportuni accessori (batteria riscaldante, umidificatore ecc.) i climatizzatori autonomi monoblocco consentono anche il riscaldamento invernale e  il controllo dell’umidità relativa in ambiente.

 

Per quanto compatto, relativamente facile da installare e meno costoso di un impianto “tradizionale”, il condizionatore ad armadio rimane grande come un armadio e quindi ancora troppo ingombrante per le case d’abitazione dei comuni mortali. Così progettisti e  costruttori iniziano a produrre apparecchi autonomi sempre più piccoli e compatti, adatti per essere fissati  a finestre o muri interni oppure montati su carrelli a rotelle trasferibili. Nascono così i climatizzatori autonomi “da finestra” fissi e trasferibili, tuttora molto diffusi negli USA nelle versioni fisse e da noi periodicamente riproposti da vari costruttori sotto forma di pinguini e altri animaletti a rotelle spacciati come “altamente tecnologici” e “innovativi” ma in sostanza del tutto simili, sia nei pregi che nei difetti,  ai loro antichi antenati.

 

Passata l’iniziale euforia alimentata da una rapidissima espansione del mercato della climatizzazione domestica, progettisti e costruttori ben presto si rendono conto che i piccoli climatizzatori monobolocco “da finestra”, fissi o trasferibili che siano, presentano grandi limiti superabili solo attraverso soluzioni tecnologiche radicalmente nuove. I monoblocco sono infatti rumorosi e si possono installare, nella maggior parte dei casi, solo in corrispondenza di finestre, a meno che non si vogliano praticare grossi fori nei muri esterni o, peggio, accontentarsi di brutti e scomodi tubi volanti che attraversano porte-finestre lasciate mezze aperte. Per non parlare del fatto che la tanto decantata possibilità di trasferire i monoblocco a rotelle da un locale all’altro si rivela in realtà un’operazione lenta, faticosa e complicata da cavi volanti, tubi, fori e altre scomodità.

 

3. FINALMENTE  SPLIT!

 

Tutti questi inconvenienti vengono spazzati via dall’avvento del climatizzatore split.

Il principio dello split è quello di separare dal resto dell’impianto i componenti più ingombranti e rumorosi, cioè il compressore e il condensatore, e “segregarli” in un contenitore di lamiera o di plastica da installare all’esterno dell’abitazione (su una parete, su un terrazzo, sul tetto o a terra), collegato alla sezione interna attraverso due tubi di rame per il refrigerante e un cavo elettrico per l’alimentazione. Questa soluzione risolve i problemi di rumorosità, ingombro e scarso rendimento tipici dei monoblocco e in più permette una grande libertà di scelta e di posizionamento delle unità interne, che si possono installare a parete, a terra, a soffitto e nei controsoffitti.

 

Grazie a questi vantaggi gli split si diffondono velocemente e oggi rappresentano la tipologia di gran lunga più diffusa nelle abitazioni e, più in generale, nelle applicazioni domestiche e commerciali di piccola e media potenza. Si può senz’altro affermare che il climatizzatore split è ormai un vero e proprio elettrodomestico, facile da usare, economico e affidabile al pari di una TV, di un HI-FI o di un frigorifero domestico. La regione geografica dove si osserva la massima diffusione degli impianti split è l’Estremo Oriente e in particolare il Giappone, Paese nel quale le abitazioni residenziali hanno dimensioni estremamente ridotte e le esigenze di comfort ambientale prevalgono sugli aspetti estetici.