lo scemo del paese

 Un cielo smerigliato rifletteva nell’acqua del torrente ed era uno sventolio di minuscole lucciole irrequiete e selvatiche. C’era, anche, una città nascosta, la città delle Trecase che si animava sotto l’arco dell’unico ponte che legava le due parti del paese ma relegava la profonda indifferenza degli uni verso gli altri a una ragione geografica, una divisione di sponde.

Il ponte aveva ceduto la naturale forza, era come il dorso curvo di un animale preistorico invecchiato e dalla pelle rugosa. Una pietra friabile e giallognola consumata da progetti minacciosi e dalla completa indifferenza dei benpensanti che dormivano, di notte, con la bocca aperta e il fiato pesante.

A mezzanotte, lo scemo del paese parlava, come sempre, con la sua ombra. Quella volta disse che sarebbe rimasto senza casa perché il ponte era casa sua, la casa di quelli che, come lui, erano senza casa. Come un oscuro collezionista ascoltava nelle notti, volutamente, insonni perché abitate da denti di lupo che accendevano d’improvviso la sua oscurità e gli assalivano il petto svenandolo … ascoltava il lamento della pietra.

Soltanto lui possedeva il metro  per calcolare il movimento impercettibile delle  sponde che si distanziavano tra loro rifiutando una convivenza ipocrita: il rapporto tra la gente si era deteriorato, nel tempo, in un sentimento opposto, consegnando il paese all’arroganza di altri. Allora, dopo aver raccolto i pensieri tra le pieghe dei vestiti sfilacciati, iniziò a raccontare, trasformando la voce in una vibrazione leggera e continua, la storia delle Trecase, piccoli ciottoli, bianchi e levigati dall’acqua, semplicemente, raccontava l’Italia che raccoglie per intera la mia identità di medico di famiglia.

Corrado  Caso

dal 31 dicembre 2003 sul web