alla ricerca di Anna |
Il
vento si fermava sull’uscio di quella casa con il fiato sospeso.
Il
vecchio insegnante, insonne ne ascoltava il lungo respiro,
stringendo
gli occhiali di tartaruga che puliva
con
i polpastrelli delle dita
o
con il fazzoletto sgualcito, sempre lo stesso,
che
con aria lenta tirava dalla tasca della giacca da camera.
Così
aspettava l’alba e la luce che filtrasse la finestra
di
quel palazzo della Salerno antica,
un
angolo fatiscente ed addormentato,
con
le bianche facciate rivolte verso mare.
Poi,
con il trascorrere delle ore,
tutto
intorno appariva solitario e soleggiato
suggerendo
un senso di immobilità
che
faceva dimenticare il tempo
sottolineato
dai rintocchi delle tante Chiese
che
risalgono pietra dopo pietra
fino
al castello di Arechi che sovrasta la città.
Si sollevò appena lasciando cadere il respiro greve
come
un sospetto di salute malferma,
materializzando
la sua vecchiaia, ormai, senza attese.
La
stanza si illuminava seguendo il corso del giorno
e
al calore del sole si dissolveva l’umidità,
un
microcosmo di acari e polvere sollevato
da
cuscini e divani consumati e …
il
freddo che "perciava" le ossa della sua mano,
le
dita lunghe e nodose come rami di alberi secolari,
tanto
ricurve da farlo soffrire.
Non
gli sfuggiva la trama misteriosa di questo abbandono
e
gli anni non avevano diluito il ricordo
di
una bella giornata di maggio, ricca di primavera quando,
traducendo
un testo di Euripide, chiese ai suoi ragazzi
dove
era “αν”
(una
piccola particella dubitativa greca la cui lettura è “an”).
La
sua richiesta in un crescendo divenne un’indagine febbrile,
il
tentativo di coinvolgere trenta studenti indisciplinati
e
riottosi in una ricerca che rappresentava la chiave di volta,
il
senso compiuto alla comprensione del testo.
Chi era αν ? mi chiedo,
oggi,
perché
ero uno di quegli alunni,
forse
l’atomo ricco di energia che legava,
in
maniera misteriosa, presente e passato,
reale
e immaginario, vero e falso, noto e ignoto.
Dove
era αν se non in una profondità
nascosta
che
soltanto lui conosceva ma che sfuggiva agli altri.
Forse
in quella particella si era stranamente concentrata
l’eredità
del maestro,
il
valore e l’attenzione per le piccole cose,
un
pensiero Cartesiano.
Il suo duro accento calabrese, a sua insaputa,
traduceva
“αν” in “αννα”
e
Anna chiamata tante volte si materializzò,
nella
mente dei ragazzi,
in
una figura femminile che con i suoi lunghi capelli
trascinò
tutti in uno schiamazzo infinito
che
lo lasciò incerto ed attonito.
Divenne
un uomo di spalle per non tradire emozioni
ma
il suo umore cambiò.
Fu stordito da quel malessere che alberga sonnolente
in
ciascuno di noi e si risveglia, misteriosamente,
per
un fatto accidentale e apparentemente senza significato.
αν
era la solitudine,
parte
di una ricerca non condivisibile
perché
sopraggiungeva un tempo diverso
e
con esso la depressione che,
oggi,
per nemesi storica, cerco di curargli.