Lo strutturalismo

 

Quando si parla di Strutturalismo, si intende generalmente quella corrente di pensiero sviluppatasi a partire dagli anni '50 grazie alle intuizioni di Claude Lèvi-Strauss (1908-). Più che di un paradigma antropologico strutturato su di una base metodologica specifica, tuttavia, lo strutturalismo può essere considerato come una sorta di "filosofia di carattere antropologico", che tenta di dar conto del reale utilizzando idee e principi teorici provenienti da ambiti di sapere eterogenei, organizzati all'interno di un campo esperenziale non sempre sottoponibile a verifica sperimentale. Con la nascita dello strutturalismo, si intese creare un ponte metodologico in grado di mettere a confronto culture diverse, facendole incontrare, e rendendole in questo modo funzionanti come semplici variabili di temi universali costanti, nella dimensione sottostante lo spirito umano, l'inconscio.

Possiamo considerare un precursore dell'analisi strutturale l'antropologo americano Lewis Henry Morgan, il quale, analizzando i termini di parentela degli Irochesi, e comparandoli con altre terminologie di parentela, individua quello che viene chiamato un sistema, del quale indica i principi generali esistenti a seconda dei diversi contesti.

L'idea di comprendere e mettere in luce i meccanismi attraverso cui una società funziona e perpetua se stessa nel tempo, è alla base del paradigma di A.R.Radcliffe Brown, sullo studio degli Andamanesi, di Evans-Pritchard sui Nuer, di Fortes sui Tallensi. Tuttavia, questi tipi di studi possono essere considerati di tipo strutturale, finalizzati, cioè, allo studio di una struttura sociale messa in luce direttamente dalla realtà osservabile, e non strutturalista, che invece tende ad andare oltre questo ambito della realtà per ricercare le strutture nascoste (le strutture inconsce), in grado, al contrario, di spiegare le reali motivazioni che si celano dietro i fenomeni sociali. Per Lèvi-Strauss, ad esempio, l'universalità della proibizione dell'incesto diveniva comprensibile se la si metteva in rapporto al concetto di reciprocità. Privarsi delle proprie donne, infatti, voleva dire aprire un canale comunicativo con altri gruppi che, attraverso la regola dell'esogamia, faceva si che si stabilissero continui rapporti di comunicazione tra gruppi diversi, rapporti fondati sul principio di reciprocità.

L'analisi strutturalista tende ad andare oltre i specifici ambiti sociali, per ritrovare quelle categorie universali presenti nella mente umana; letta in questi termini, le differenze culturali vanno lette come variabili di temi costanti, puntando su di una natura umana sempre uguale a se stessa, non soggetta alle intemperie storiche e culturali. Cosi facendo, però, si tende a perdere di vista l'analisi diacronica dei fatti (ossia storica), per concentrarsi sulla ricerca di quelle strutture mentali nascoste, di cui le varie culture rappresenterebbero la facciata esterna.

Al di là del fascino intrinseco che un paradigma del genere può evocare, grazie al cui contributo sono andate formandosi l'Etnoscienza e l'antropologia cognitiva, è doveroso ricordare come lo strutturalismo sia, in realtà, la fusione di idee e stimoli provenienti da altri ambiti conoscitivi, tra cui la sociologia di Emile Durkheim, la psicoanalisi di Jung, la linguistica strutturale di Jakobson e Bogatirèv. L'analisi strutturalista, se da un lato può evocare rappresentazioni suggestive nell'ambito delle scienze sociali, dall'altro finisce per avvicinarsi più ad una moda filosofica che ad un paradigma scientifico in grado di dar conto di una lettura critica del reale. Non stupisce, ad esempio, che diversi fautori della cosiddetta Antropologia cognitiva siano scienziati con una forte preparazione filosofica, la quale tende a porsi problematiche di carattere generale, tralasciando il reale contenuto che si cela dietro una cultura o una società.

 

 

 

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