Il diffusionismo

 

La corrente diffusionista fu un fenomeno essenzialmente austro-tedesco, anche se diventò un paradigma piuttosto importante sia in Europa che in America. L'idea che una cultura, o segmenti di essa, possa migrare e diffondersi, appartiene certamente alle normali dinamiche verificatesi nel corso della storia dell'umanità, dove l'incontro tra realtà diverse ha portato ad un continuo ed inarrestabile flusso di conoscenze, in entrata ed in uscita. Portata a conseguenze estreme, tuttavia, o assunta come unica modalità esplicativa, la teoria diffusionista rischia di diventare un metodo analitico eccessivamente deterministico e meccanico. Il concetto di cerchi culturali è significativo in tal senso; con questo si intendeva una serie di tratti culturali rintracciabili in diversi punti del globo, la cui presenza in luoghi distanti tra di loro, avrebbe dovuto spiegarsi come il risultato di diverse migrazioni di elementi, migrazioni che sarebbero dovute avvenire in un passato più o meno remoto. La corrente diffusionista nacque all'inizio del '900 anche come generale rifiuto del paradigma evoluzionistico, a cui veniva criticato l'eccessivo psicologismo come causa delle spiegazioni riguardo le differenze culturali esistenti. Al concetto di cerchio culturale, faceva seguito il tema degenerazionista, ossia la tendenza a considerare l'allontanamento di un tratto culturale dal luogo di origine come indice della sua decadenza, rispetto alla sua primigenia perfezione.

Gli autori più rappresentativi del paradigma furono Leo Frobenius (1873-1938), Fritz Graebner (1877-1934) e Wilhelm Schmidt (1868-1954), i quali svilupparono le idee ed il criterio del geografo Friedrich Raztel (1844-1904). Per Frobenius, ad esempio, la presenza di tratti culturali simili in due zone geografiche differenti, equivaleva a trovarsi di fronte ad un cerchio culturale. Tra le idee che formavano il paradigma vi era il concetto organico secondo cui i tratti culturali non migravano mai isolatamente, ma in complessi strutturati e funzionali.

Negli Stati Uniti la scuola di Boas portò ad un'attenzione particolare verso la distribuzione delle culture materiali, dei loro prestiti ed dei loro funzionamenti. Differente per impostazione teorica fu il concetto di area culturale, ossia un area geografica in cui fossero presenti certi tratti a cui fosse possibile assegnare una specifica identità. La distribuzione dei tratti culturali, all'interno di un'idea di società vista come la somma complessiva dei tratti componenti, creò il problema di determinarne la loro origine e funzione, che venne interpretata come la normale conseguenza di processi di diffusione. Al contrario degli studiosi europei, che decontestualizzarono l'idea di diffusione per creare una teoria che fosse in grado di spiegare l'intera storia della società umana, quelli americani si limitarono a valutare l'importanza che questa poteva aver avuto limitatamente ai gruppi indiani residenti in aree geografiche circoscritte. Carl Wissler (1870-1947) fu sicuramente un pioniere in questo tipo di studi. Scolaro di Boas, considerò l'idea di area culturale come un un ambito di diffusione di elementi culturali simili, a partire da un centro di irradiazione (che chiamò centro culturale). Nel centro si sarebbero dovuti ritrovare tutti gli elementi che caratterizzavano l'area che si stava studiando, che divenivano progressivamente meno strutturati man mano che ci si allontanava da esso. Il concetto di area culturale introduceva un elemento temporale, che era in grado di spiegare, per gli esponenti del paradigma, il progressivo spostamento dal centro alla periferia. I tratti più distanti dal centro dovevano, di conseguenza, essere i più antichi, e quindi appartenere al nucleo originario. Tra le critiche mosse alla corrente diffusionista americana, c'era il fatto ovvio che i tratti non si diffondono in maniera uniforme in tutte le direzioni, mentre i tempi possono essere diversi in rapporto a diversi fattori contingenti, ed inoltre, accanto alla diffusione di elementi culturali, non si deve dimenticare che l'incontro tra culture diverse può avvenire anche mediante migrazione di popoli. La stessa idea di centro culturale pone limiti effettivi di dinamicità intrinseca, perché, al contrario di ciò che sembra pensare Wissler, il centro può modificarsi, e passare da un luogo geografico all'altro a causa di intervenute modificazioni storico-culturali.

Una variante delle teorie diffusioniste, in cui l'idea di prestito culturale fu portata alle conseguenze estreme, fu il cosiddetto iper-diffusionismo, di origine inglese, che tuttavia ebbe credito quasi esclusivamente al di fuori dei dibattiti accademici. Le teorie di Grafton Elliot Smith (1871-1937) e di William Perry (1887-1949), se lette alla luce delle attuali conoscenze, acquistano un senso decisamente fantasioso, ma non bisogna dimenticare che un antropologo come Rivers si fece, verso la fine della sua vita, assertore delle medesime idee, mentre l'antropologo polacco Malinowski vi entrò in aperta polemica pubblicando degli articoli su riviste specializzate. L'idea fondamentale di Smith e Perry postulava che la culla dell'umanità, dell'intera umanità, dovesse ritrovarsi nell'antico Egitto. Per un processo di diffusione costante e globale, tutte le culture umane dovettero subire questo tipo di contatto, tanto che era possibile rintracciare, in tutto il globo, i segni di questo enorme processo di diffusione, iniziato circa sette mila anni fa. I vari tratti avrebbero perduto, nei loro continui spostamenti, l'originaria perfezione, andando in contro ad un processo di degenerazione rispetto ad una primordiale perfezione. Tra le prove a sostegno di tali ipotesi, Smith e Perry citarono la pratica della mummificazione, rintracciata, a loro dire, presso diverse culture dell'America latina precolombiana. Alla base del paradigma iper-duffusionista furono poste le teorie eliocentriche ed eliolitiche, riguardanti la quasi universale diffusione del culto del sole e dei grandi monumenti in pietra; le piramidi maya, ad esempio, portavano, in quest'ottica, una conferma importante, perché rappresentavano, per Perry, la degenerazione delle antiche e più perfette piramidi egizie.

 

 

 

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