Nevio Matteini, una biografia.
A cento anni dalla nascita.
A cento anni dalla nascita, Nevio Matteini è ricordato da una biografia che suo figlio Annio Maria ha pubblicato presso Guaraldi.
Il volume raccoglie memorie domestiche, racconta vari panorami storici che hanno fatto da sfondo al lavoro di Nevio Matteini, e documenta un'intensa attività di cronista e di scrittore.
Ho conosciuto bene il prof. Matteini. Mio padre Valfredo curò per l'editore Cappelli di Bologna la diffusione e la vendita di un'opera di Matteini, «Romagna», apparsa nel 1963.
Trent'anni dopo, il 10 gennaio 1993, riprendendo una frase di Sergio Zavoli, secondo cui «Rimini non onora il cittadino che si fa onore», scrivevo quanto segue.
Ci è capitato di parlarne con un vecchio amico che vive e lavora a Milano, l'arch. Annio Maria Matteini, con cui abbiamo amaramente constatato come nulla Rimini faccia per ricordare chi alla nostra città ha dato tanto. Suo padre, lo scrittore Nevio Matteini, è scomparso il 16 gennaio 1992: ad un anno di distanza, la Cultura riminese sembra averlo dimenticato. E con il suo, potremmo citare altri nomi, tra cui quelli del prof. Carlo Alberto Balducci che ci lasciò nell'estate del '91, o di Luigi Pasquini, Davide Minghini, Flavio Lombardini, Oreste Cavallari, morti da più tempo, e quindi testimoni ancora più accusatori dell'andazzo. È crudele che la città del padre di «Amarcord» debba lamentare quell'invecchiamento aterosclerotico che si sostanzia tra le altre cose nella dimenticanza.
Fine della citazione. Ora aggiungo una notizia d'archivio. Rimini non è soltanto la città delle dimenticanza, ma pure dell'arroganza di certi padri inquisitori, di cui fece le spese lo stesso Nevio Matteini, forse per primo, sul finire degli anni Settanta, con un duro attacco ricevuto da un foglio locale, che prendeva di mira la sua Storia di Rimini.
Ho già raccontato anni fa che in seconda Magistrale fui rimandato in Italiano, ed il prof. Matteini disse a mio padre di andare a ripetizione da lui. Alla lettura della prima prova scritta che mi aveva assegnata (i suoi titoli erano chiaramente liceali, ovvero non facili), ebbi la soddisfazione di sentirmi dire: «Ma lei sa scrivere».
La sua abitudine di dare del lei agli studenti. La adottai quando poi cominciai ad insegnare pure io.
Una delle prime supplenze, appena laureato, nella primavera del 1966, fu proprio nella cattedra di Filosofia, tenuta dal prof. Matteini allo Scientifico Serpieri.
Un gruppo di studenti m'interpella per una conversazione pomeridiana autogestita (l'aggettivo non era ancora entrato nel lessico studentesco). Ci vado volentieri, discutiamo a lungo con libertà ed amicizia. Poi alla fine, uno dei ragazzi della mia terza classe mi ferma: «Lei ieri ci ha dato un'interpretazione luterana di sant'Agostino». Mi mostra il quaderno degli appunti. Gli spiego che la frase tra virgolette non era un mio commento ma un testo dello stesso filosofo d'Ippona.
Il giovanotto si giustifica: ha ricevuto l'imbeccata dell'appunto sugli appunti del sottoscritto da un mio collega di corso, l'insegnate di Religione.
Nel libro di Annio Matteini, ci sono pagine di grande onestà intellettuale, come quando egli ricorda quanto suo padre «avesse patito per la propria giovanile adesione al fascismo», senza mai celarla per «differenziarsi dai tanti che avevano cercato di celare o di negare un passato analogo» (p. 19).
Un altro passo da segnalare: il prof. Matteini aveva un assoluto disdegno verso la borghesia arricchita, altolocata ed incolta che pretendeva di dirigere la vita cittadina, anche grazie all'«ostentato ossequio alle gerarchie ecclesiastiche locali».
Antonio Montanari

Archivio

Il Cagliostro di Matteini
Uno psicopatico minato nel fisico
[2008]
"Lo storico Nevio Matteini dice che tentò a più riprese di guadagnarsi la fiducia dei massoni romani, ma con scarsi risultati...". Nel capitolo dedicato ad Alessandro Cagliostro, nella sua storia d'Italia del Settecento, Indro Montanelli ha destinato ad una notorietà internazionale lo studioso Nevio Matteini (Rimini 1914-1992) per il suo saggio del 1960 dedicato a Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, ora riproposto (settima ristampa) dalla Città di San Leo con prefazione di Annio Maria Matteini, figlio dell'autore.
"Chi fu Cagliostro?" si chiedeva Nevio Matteini. La sua risposta è chiara: si trattava di un "povero essere psicopatico e gravemente minato nel fisico".
Il giudizio nasce dalla documentazione raccolta: i rapporti ufficiali del castellano di San Leo al presidente della legazione d'Urbino. "Inquietissimo", Balsamo manifesta le "più scandalose smanie" non moderate neppure dall'uso del bastone.
Che alla fine dei suoi giorni, incarcerato e malato, Cagliostro esplodesse in siffatto comportamento, non meraviglia. Ciò che stupisce ancor oggi è tutta la sua vita precedente. Per una complessa serie di circostanze, essa diventa qualcosa che (forse) Cagliostro non fu.
Il 7 aprile 1791 Cagliostro è condannato a morte. Papa Pio VI lo grazia e lo fa rinchiudere nel carcere di San Leo. Da questo momento l'uomo vecchio, quel Giuseppe Balsamo nato nel 1743 a Palermo, si trasforma in simbolo di tante cose, a volte speculari e contrapposte fra loro (il libero pensiero e l'oscurantismo ecclesiastico), a volte lontanissime dalle grandi questioni intellettuali, come il ruolo di sua moglie Lorenza Feliciani.
E' lei che fa la prima denunzia contro il marito nel 1789. A Parigi i rivoltosi hanno preso la Bastiglia. A Roma le spie covate in famiglia collaborano al sistema politico ecclesiastico basato sulla delazione e sul sospetto, trionfante dalla Controriforma in poi.
Balsamo ha viaggiato per l'Europa spacciandosi per il conte Alessandro Cagliostro. Lorenza è romana, una popolana di Trastevere, "avida di denaro, di lusso e di piaceri", la racconta Matteini. Secondo Cagliostro, la moglie si era mossa contro di lui a causa delle mene della corte di Francia.
Cagliostro confessa di averla fatta nuotare nell'oro, e di averla portata a sedere a fianco delle più superbe dame delle alte corti. Ma non può essere stata lei a tradirlo, si consola: soltanto perché non "acuta di mente", lei è stata la prima vittima di qualche seduzione.
Certo è che la bella Lorenza amava la vita. Arrestato il marito, seduce il cappuccino incarcerato con lui, un teologo svizzero in procinto di diventar vescovo. Condannato a dieci anni, lui riesce ben presto a liberarsi dai ceppi della legge, forse nel gennaio 1793 (quando avviene a Roma il linciaggio del giornalista Hugo di Bassville, segretario dell'ambasciata francese), per finire fra le braccia accoglienti di lei.
Come osserva Matteini, alla fine la Chiesa di Roma fece "di un avventuriero che mirava solo a mungere quattrini, un martire del pensiero".
Di recente un amico mi ha mostrato una pagina inedita di Aurelio Bertola (marzo 1788) che parla di Cagliostro: "... straordinario uomo; straordinario veramente, giacché senza una gran ragion, senza gran ricchezza, senza gran sapere, senza alcuna amabilità di tratto, senza alcuna eloquenza, sempre ha avuto il segreto di diventar ricco, di passar per dottissimo, di avere amici e fautori e partigiani, quanto forse alcun altro non abbia mai". Insomma un gran ciarlatano.
Annio Matteini presenta la ristampa con un commosso ritratto del padre, ed utili notizie sulle novità presenti in questo antico saggio su Cagliostro.

1992. In ricordo di Nevio Matteini
Nevio Matteini, storico di Rimini e della Romagna, è deceduto a 77 anni. Era stato insegnante di storia e filosofia nel liceo scientifico Serpieri. Con lui scompare un appassionato cultore delle vicende recenti e remote delle nostre terre e della Repubblica di San Marino. Giornalista pubblicista dal 1951, ha collaborato a diverse testate, narrando figure e curiosità del mondo che ci circonda, e che lui esplorava con l'attenzione del cronista giustamente pignolo e l'analisi accurata dell'intellettuale consapevole che cultura è anche parlare di fatti umili e quotidiani. C'è al proposito un suo brano in un'opera del 1963, «Romagna», edita da Cappelli di Bologna, con le stupende foto di Davide Minghini: «I luoghi comuni vogliono una Romagna violenta, sanguinaria, intollerante, sbracata, scettica in religione, eroica per costituzione, classista in politica, vociante, pantagruelica. Una terra insomma singolare più per i difetti, che per le virtù… Ma la verità è un'altra. Il romagnolo è per natura contrario alla spacconeria, buono e ingenuo, rude e sincero, discreto e generoso, tollerante e timido, indipendente e solitario, incredulo più per protesta che per atteggiamento critico». Sono parole che illuminano un mondo, e che spiegano un metodo di lavoro. In quel libro, Matteini ha compiuto un viaggio nella vita d'ogni giorno e tra gli umori della gente comune, alla quale si sentiva legato per estrazione, prima di descrivere i vari itinerari storico-geografici: la scelta delle stesse foto che illustrano il testo documenta questo interesse umano nella descrizione dei luoghi.
Quel libro riproponeva un titolo del '54, sempre uscito da Cappelli, sotto cui erano contenute biografie che spaziavano da Caterina Sforza a Ida Pascoli, da Luigi Orsini al Passatore. Una sostanziosa documentazione sorreggeva il “medaglione” critico, alimentava i ritratti che si allineavano come in una immaginaria galleria, ove artisti e avventurieri trovavano posto e dignità nel ricordo, accanto agli uomini d'arme ed ai poeti.
Nel '52 era apparsa la sua opera prima presso Fiorenzo Mazzini, su Alfredo Oriani, un altro romagnolo illustre e controverso. Le guide turistiche e culturali di Rimini, San Marino e San Leo avevano accompagnato altri volumi, su Francesca da Rimini, il Conte di Cagliostro, i giornali romagnoli e il «Rimino», una delle prime gazzette d'Italia ed un saggio specialistico, sul più antico oppositore politico di Dante, Guido Vernani da Rimini. Sul finire dell'88, uscì «La Repubblica di San Marino nella storia e nell'arte», un volume di 500 pagine, ricco di documenti e di bibliografie che riassume e conclude tutte le precedenti ricerche legate all'«antica terra della libertà».
Nel '77, per i tipi di Maggioli apparve «Rimini negli ultimi due secoli», opera ricca di notizie e di curiose annotazioni, attraverso le quali Matteini ha ricostruito episodi e figure di una città, nella sua evoluzione economica e sociale. Di particolare pregio, la descrizione dei giorni dell'ultima guerra. Sui bombardamenti dal 1° novembre '43 al 21 settembre '44, c'è un passaggio fulminante che fa apprezzare il suo stile narrativo, rivolto all'essenzialità: «Dieci mesi di straziante agonia. Miseria. Fame. Sequestri. Saccheggi. Vessazioni. Rastrellamenti. Vendette. Eccidi».
Matteini, nelle sue fatiche, ha sempre unito all'informazione storica una dignità artistica, da “bella pagina” che si esprimeva con quella sicurezza a cui, noi ragazzi degli anni '60, guardavamo con ammirazione e con invidia. Un'appendice a questi due tomi, contiene la storia del cimitero di Rimini, dove riposa dal 1970 un figlio di Matteini, Ennio, scomparso non ancora ventenne in seguito ad un incidente stradale. A lui, il padre volle dedicare nel '71 un volumetto che raccoglieva lavori scolastici, prose, poesie e disegni del povero ragazzo, introdotti da Carlo Alberto Balducci. Nevio Matteini rivolse al figlio alcune tese e commosse pagine di un dialogo in cui, tra lo strazio, sembra aprirsi la speranza di un conforto: «Nei tuoi occhi tristi, che pur brillavano per sottile vena di dolcezza, era riflesso il tuo destino?… Ennio, aiutaci. Allora stretti a te, sarà bello sentire l'odore del mare e il cinguettio dei passeri sui rami del cipresso». Adesso, sotto quel cipresso padre e figlio riposano assieme.
Antonio Montanari

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