I Gesuiti a Rimini, 1627-1773 [1992] La prima richiesta è del 1554 Il nobile Alessandro Fedeli, nel 1596 fa testamento: lascia al figlio Roberto i propri beni, con una clausola. Se il figlio morirà senza prole, tutto il patrimonio andrà ai Gesuiti, per istituire un collegio a Rimini. Roberto (un tipo così così, se è vero che era reo di omicidio) non avrà figli, ma alla sua morte l'eredità verrà contesa ai Gesuiti dal Fisco e dalla Fabbrica di S. Pietro, organo competente nel giudicare le eredità contrastate. Sembra comunque che i Gesuiti abbiano potuto avere a disposizione quell'eredità che è la prima lasciata alla Compagnia da un nostro concittadino. La richiesta di venire a Rimini era stata fatta inizialmente alla Compagnia di Sant'Ignazio nel 1554, ed era stata rivolta proprio al fondatore da Alessandro Tingoli, a nome della Magistratura cittadina. Ignazio, poco più che trentenne, era passato da Rimini alla fine del marzo 1523, come Giovanni Rimondini ha rivelato sulle colonne del "Ponte", e come ora scrive nel catalogo della mostra, dal quale citiamo tutte le notizie storiche che stiamo riportando. "Vestito di un paio di calzoni di tela grossolana che gli arrivavano fino al ginocchio, con un giubbotto di tela nera ampiamente strappato sulle spalle, diretto a Venezia dove contava di imbarcarsi per raggiungere la Terra Santa", Ignazio forse ha "pernottato sotto i portici o, più verosimilmente nell'Ospedale della Misericordia". Ai riminesi, Ignazio risponde il 14 dicembre 1554: "In me, et in tutta questa Casa c'è molta pronta volontà et devotione di corrispondere à quella di VV.SS. verso di noi, et servire alla Sua Città à gloria di Dio Nostro Signore quando le forze fossero da poterlo fare secondo la nostra professione, ma queste ci mancano al presente". Come spiega Rimondini, "per istituire un collegio, la Compagnia richiedeva un cumulo di beni, donati o lasciati in eredità, sufficienti per il mantenimento dei padri, l'acquisto delle fabbriche, la costruzione della chiesa e del collegio". Il vero fondatore del collegio di Rimini è il nobile Francesco Rigazzi. Nel 1610, dopo aver diseredato il figlio Giovanni Antonio (un bastardo criminale, lui lo definisce), lascia usufruttuaria la moglie Portia Guiducci. Alla di lei morte, i beni finiranno ai Gesuiti "col patto però, che detti padri siano tenuti a fondare in Rimino un Colegio nel quale siano obligati à gloria di Jddio et à benefitio della mia carissima patria insegnare, et fare tutte quelle operationi, che fanno ne gli altri Colegj d'Italia si di legere publicamente come di ogni cosa solita da farsi da loro nell'altre Città". Nel 1619, nel '22 e nel '26 ("donatio inter vivos"), Rigazzi conferma le sue volontà. Dal '27, i Gesuiti cominciano ad operare a Rimini : "Nei giorni di Carnevale", scrive Rimondini, "predicano in piazza, spettacolo insolito a Rimini che provoca delle proteste". Due anni dopo, alcuni nobili adolescenti insultano il padre Giuliano Palomino, venuto a predicare in duomo. Gli altri Ordini religiosi locali protestano a Roma contro i Gesuiti, incolpati di godere del "legato" di Rigazzi, pur non avendo una loro chiesa in città. Rigazzi allora offre ai padri il suo granaio, che viene trasformato in "una chiesetta" ed aperta, nel nome di San Francesco Saverio, il 14 giugno 1631. Il 22 agosto, Rigazzi muore. La vedova apre ai Gesuiti un pezzo della sua casa, dove da novembre s'inizia "la scola". Il 1631 è così l'anno in cui, "sia pure in forma embrionale", dice Rimondini, cominciano a funzionare chiesa e collegio. Tra '40 e '42 si apre poi il "collegio di Celibate dedicate a S. Cecilia", riservato a nobili fanciulle che si impegnavano in voti monastici temporanei. Nel 1646, Rimini conta nel collegio gesuitico 5 classi (contro le 11 di Bologna e le 6 di Ferrara), con 169 alunni (434 erano sotto le due torri, 298 nella città estense). Nel 1655, il protonotario riminese Cesare Galli lascia erede la Compagnia del suo patrimonio, con l'obbligo di costruire una nuova chiesa, che verrà edificata a partire dal 1719. Nel 1667, i Gesuiti (quando un nobile bastona un loro sacerdote che ostacolava la sua passione amorosa per una giovane), progettano di lasciare la città. "Non risulta che questa partenza ci sia stata ". Infine, con il "breve di moto proprio del Regnante Pontefice Clemente XIV", notificato dal Vescovo Francesco Castellani la sera del 22 agosto del 1773, si chiude la storia cittadina dei Gesuiti. La Compagnia viene soppressa: Clemente XIV, papa Ganganelli di Santarcangelo, "aveva dotuto accettare fin dalla sua elezione di sacrificare pro bono pacis l'ordine più prestigioso della Chiesa", del quale era stato allievo. [In un vecchio libro di Giuseppe Pecci, Notizie e pettegolezzi romagnoli del Settecento, ho trovato numerose lettere di Girolamo Fabbri Ganganelli (1749-1779), pronipote di Clemente XIV ex sorore. Il 19 giugno 1773, egli scriveva da Roma all'abate riminese Battarra: "Il mondo Gesuitico credo che ormai sia moribondo, il suo giudizio finale e la eterna condanna non deve tardar molto a farsi sentire". Infatti, il 21 luglio il papa sottroscriveva il breve Ad perpetuam rei memoriam, con cui si sopprimeva la Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1534 ed approvata da Paolo II il 27 settembre 1540 con la bolla Regiminis militantis.] I Gesuiti appena giunti a Rimini furono ospitati nel palazzo vescovile, poi in una "casetta dirimpetto a S. Maria da Mare", chiesa parrocchiale retta da don Giuliano Floridi. La chiesa s'affacciava sull'attuale via Cavalieri. La "casetta" era vicina a quella di Francesco Rigazzi, proprietario anche del granaio che si apriva sull'attuale corso Giovanni XXIII, e nel quale venne aperta la "chiesetta" di San Francesco Saverio, nel 1631. La "chiesetta" era perpendicolare allo stesso corso Giovanni XXIII, e si trovava a nord (porto), all'incirca verso l'abside della chiesa attuale. Di fronte alla "chiesetta", lungo il corso citato, nell'area degli odierni giardini di piazza Ferrari, si trovava il monastero delle Convertite (ex prostitute). Quando muore Rigazzi, la sua vedova si ritira presso le monache di San'Eufemia, e dà ai Gesuiti alcuni locali della propria abitazione. Nasce così il primo nucleo culturale ed urbanistico della presenza dei gesuiti a Rimini, nell'area che per comodità chiameremo del "vecchio ospedale". Nel 1650, due "stanziotti" servivano per chiesa, scrive padre Ippolito Calciolari: il collegio era costituito non da una "Fabrica formata", ma "d'alquante casette, già di secolari aggregate insieme con quella del Fondatore", il citato Rigazzi. Nel '61, le Convertite fanno causa ai Gesuiti per l'apertura di finestre abusive, che violavano la privatezza delle Madri, le quali, secondo il vescovo d'Urbania, potevano affacciarsi così a "far bagordi" con gli scolari del collegio. Alla fine del secolo XVII, come attesta una carta parigina del 1710, i Gesuiti hanno ormai costruito quasi per intero la loro Isola, attraverso acquisti di altri edifici. Dove oggi sorge la chiesa "del Suffragio", in quella carta si legge: "Qui si deve fabbricare la chiesa nuova", a cui si porrà mano dal 1719. Le abitazioni dei Padri sono sulla via Cavalieri. Verso la fine di via Tonini, ci sono sei case, che non appartengono, ancora per poco, al collegio: "Ne sarà facile la Compera per compimento dell'Isola", dice una didascalia della stessa carta parigina. Nel 1739, la chiesa nuova era già terminata. L'attuale sede del Museo della Città è proprio nell'antico Collegio dei Gesuiti che costituisce una splendida testimonianza architettonica e storica. A fianco dell'antico Collegio, che fino circa a 25 anni fa è stato sede dell'ospedale civile, sorge la chiesa ora detta comunemente "del Suffragio", ma intitolata in realtà a San Francesco Saverio, primo grande missionario gesuita. La mostra è stata promossa dall'Assessorato alla Cultura e dai Musei comunali. Il Comitato scientifico è composto dal direttore dei Musei P.L. Foschi, dal direttore della biblioteca Gambalunghiana P. Meldini, dallo storico P.G. Pasini, da don A. Pasquini, rettore della chiesa di San Francesco Saverio, e dallo storico G. Rimondini. Pasini e Rimondini hanno anche curato il catalogo della mostra, diviso in due parti: la prima (di Pasini) illustra il percorso ed il materiale esposto, la secondo (di Rimondini) tratta in maniera particolareggiata del tema stesso dell'esposizione, cioè della presenza riminese dei Gesuiti. La mostra di cui stiamo parlando, è una nuova realizzazione dei Musei comunali che intendono valorizzare sempre più tanti aspetti della vita culturale e della storia di Rimini. In mezzo a gravi difficoltà finanziarie (il completamento del secondo lotto di lavori del Museo è previsto entro il prossimo anno, spera la prof. Martinez), il Museo riesce tuttavia a produrre cultura, sia con queste mostre sia con le iniziative collaterali rivolte alla città nel suo complesso, e agli insegnanti in modo specifico. Iniziative che hanno riscosso successo, e che dimostrano che Rimini non vuole essere soltanto "divertimentificio". [Il Ponte, 1992, n. 17] Antonio Montanari "Riministoria" è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 07.03.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 05.08.1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67, 21.03.2001. © Antonio Montanari. [1858, 28.03.2013, 18:00]. Mail |