Alle origini di Rimini moderna (10). Studioso di Diritto e vescovo di Orvieto, un suo lavoro del 1552 è ricordato ancora oggi nelle università di tutto il mondo. Sconosciuto qui
Vanzi, una fama senza tramonto
[Versione non definitiva]

La fama di Sebastiano Vanzi come giurista di gran vaglia continua sino ai giorni nostri. Se ne parla tra gli studiosi di Diritto in tutto il mondo. Soltanto a Rimini Vanzi, che fu vescovo di Orvieto ed uno dei quattro Definitori del Concilio tridentino, è una figura completamente sconosciuta.

Anche negli USA
Documentiamo le più recenti citazioni di Vanzi quale autore del trattato sulle nullità processuali ("De nullitatibus sententiarum"), uscito in prima edizione a Lione nel 1552. Nel 1991 in un trattato di Diritto penale, Franco Cordero lo chiama "specialista dell'argomento". Tra 1997 e 2010 un docente statunitense, Richard H. Helmhoz, ne esamina il pensiero in ben tre saggi e cinque volumi di Storia del Diritto.
Nel 2006 un saggio di Andrea Landi definisce Vanzi “autorità indiscussa del processo romano-canonico”, osservando che i suoi dati biografici sono “pressoché totalmente sconosciuti”. Landi ricorda che “fin troppo pedissequo seguace” di Vanzi è Biagio Aldimari (o Altomari) che dà alla stampe un trattato analogo a Napoli (1700-1709) ed a Venezia (1701-1710). Nel 1720 c'è l'edizione di Colonia. Dopo di che, Vanzi non è più pubblicato. Ma non dimenticato.
Landi ricorda quanto Vanzi afferma nella prefazione: “egli avrebbe operato nella convinzione di essere utile ai pratici nello sforzo di semplificazione di una materia dispersa in mille rivoli e dopo aver più volte posto mano al suo progetto” senza riuscire a portarlo a termine. Soltanto nel lungo periodo di Sede vacante della Chiesa di Roma, dopo la morte di Paolo III avvenuta il 10 novembre 1549 e sino all'elezione di Giulio III (7 febbraio 1550), il nostro Vanzi può mettere in ordine idee e pagine sino ad allora raccolte. Finalmente, “non distratto da tutti gli altri affari” che doveva gestire a Roma, arriva a dare alla luce il suo volume.

Con grande modestia
Vanzi, nella dedica del suo lavoro indirizzata al vescovo di Perugia e Spoleto Fulvio Corneo (nipote per parte di sorella del nuovo papa Giulio III), con somma modestia definisce il “Tractatus” una cosa di poco conto (“ineptiae”), completata (appunto nel 1550) soltanto per proprio uso personale, perché non lo riteneva all'altezza di eventuali lettori (“quia pro aliis dignum non putarem”).
Lo stesso tono di grande modestia, è nella prefazione indirizzata “ad Lectorem”, dove Vanzi dichiara di aver voluto soltanto raccogliere con un breve e facile compendio un qualche argomento delle nullità, disperso in molti volumi delle leggi. Nel titolo che introduce al sommario, il trattato è detto “utilis et frequens”, ovvero utile e copioso.
Il 1550 è l'anno in cui papa Giulio III riapre lo “Studium Urbis”, l'università romana, chiuso dopo il sacco del 1527. Dove Vanzi possa aver frequentato gli studi giuridici, non è dato di sapere con certezza. Si può soltanto ipotizzare la sua presenza nell'Alma Mater bolognese, grazie al fatto che nel suo trattato troviamo temi affrontati in quell'università da un maestro del Diritto che vi insegna tra 1537 e 1541, il milanese Andrea Alciato (1492-1550), caposcuola del più maturo Umanesimo giuridico, in cattedra pure ad Avignone e Bruges. Vari volumi di Alciato escono a Lione, dove egli frequenta il “principe” di quei librai, Sébastien Gryphe, un esperto uomo d'affari ed agente della compagnia dei suoi colleghi veneziani, come si legge in un'opera di L. Febvre e H. J. Martin sulla “nascita del libro”.

Carriera a Roma
La carriera di Vanzi a Roma comincia quando Vescovo di Rimini è Giulio Parisani di Tolentino (1550-1574), nipote e successore del Cardinal Ascanio che ha retto la diocesi dal 1529, avendo poi come coadiutore lo stesso congiunto. Ascanio è ricordato per i molti ruoli svolti a Roma. Dove muore nel 1549. Se Vanzi compie la brillante carriera che conosciamo, la scoperta delle sue qualità intellettuali ed un orientamento didattico per i suoi studi, li possiamo accreditare al Cardinal Parisani.
Vanzi affronta la questione del rispetto della legge, intesa quale base di una società in cui esista uguaglianza giuridica fra tutti i cittadini, come sostenuto da Tommaso Moro (1478-1535). In lui c'è l'atteggiamento razionalistico che poi si ritrova in Ugo Grozio (1583-1645). A cui si deve l'idea di un diritto naturale al quale ispirare la costituzione politica degli Stati, seguendo l'ammaestramento di Erasmo da Rotterdam (1466?-1536) che nel 1516 con la “Institutio principis christiani” esorta a considerare i sudditi quali uomini liberi, legati da una specie di patto al loro principe.

Legge e politica
Nella prospettiva giuridica presente in Vanzi, si riflette la disputa del suo tempo tra il principio di autorità e l'atteggiamento critico che s'interroga sul senso delle strutture giuridiche, come attesta proprio Alciato. La politica è vista come un sistema di leggi, non quale narrazione del passato come in Machiavelli. È il ritorno al principio di Tommaso d'Aquino, della legge “humana” quale ordine che si realizza in vista del bene comune, mediante il “diritto delle genti”. Dal quale sono dettate le regole, la cui violazione è punita dallo “jus civile”.
Vanzi, spiegando nella premessa che sovente le dispute nel tribunali sboccano in un labirinto che spaventa quanti chiedono giustizia, richiama il tema della crisi del Diritto comune, un processo storico dal carattere europeo, centrato sull'analisi dei rapporti di potere, che si concluderà alla fine del Settecento.
L'opera di Vanzi comincia richiamando il passo ciceroniano del “De Officis” sulla necessità di definire ciò di cui si parla: “Omnis enim, quae a ratione suscipitur de aliqua re, institutio, debet a definitione proficisi; ut intelligatur, quid sit id, de quo disputetur” (I, 2). Il richiamo ad un classico latino è uno slancio umanistico presente in tutta la nuova cultura giuridica del suo tempo (osserva A. Padoa Schioppa, 2007), come dimostra Alciato, grande rinnovatore degli studi giuridici, per cui è definito “immortale” da G. Tiraboschi (1777).
Alciato sostiene la necessità di una preparazione filosofica per i giuristi. I richiami umanistici alla ragione in età rinascimentale (come nel caso di Vanzi), esprimono l'ansia di “scoprire e additare un mondo nuovo [...]: un mondo libero, aperto a una vita nuova dello spirito”, scriveva nel 1920 il filosofo Giovanni Gentile, citato da Nicola Gradini (2010).

Ad Orvieto
Nella storia delle "Chiese d'Italia" (V, 1846) don Giuseppe Cappelletti prete veneziano, descrive mons. Vanzi vescovo di Orvieto come "diligentissimo di regolare la sua diocesi secondo le costituzioni" tridentine: "intraprese due volte la visiti della diocesi, e due volte conseguentemente ne celebrò il sinodo, nel 1564 e nel 1568; eresse il seminario dei chierici, a cui diede in dote le rendite delle due cappelle di Santa Lucia e de' santi Cosma e Damiano, che sono nella chiesa di santa Cristina in Bolsena, e similmente le rendite della chiesa di san Bernardo fuori di Orvieto. Nell'anno 1567, rizzò nella cappella del santo corporale un altare, sotto la invocazione del santo Sepolcro, la dotò di un capitale di mille scudi d'oro, e ne diede il patronato alla sua famiglia, coll'obbligo di mantenere in Perugia sei giovani di Orvieto a studiare la filosofia".
Nella cappella del Corporale, nel 1571 Ippolito Scalza scolpì la tomba del vescovo Vanzi. Ad Orvieto si conservano ancora le sacre vesti da lui indossate al concilio tridentino.
Alla famiglia del vescovo appartengono altri personaggi che agiscono sulla scena di Rimini. Da suo fratello Ludovico deriva il pronipote Ignazio, bibliotecario in Gambalunga tra 1711 e 1715. Ad un ramo collaterale appartiene Angelo, teologo e il priore di Sant'Agostino (1618) che nel 1622 curò un'edizione del trattato sull'usura di Gregorio da Rimini, vissuto nel sec. XIV.
(10. Continua)

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Antonio Montanari

Scheda web
Nella puntata n. 6, "Porto e politica, affari e malaffare", ricordiamo che all'ordine dei canonici regolari agostiniani di San Giorgio in Alga appartiene Vanzio Vanzi, fattosi monaco nel 1609: era figlio di Giovanni, il padre del quale (Lodovico) era fratello di mons. Sebastiano vescovo di Orvieto.
Da Giovanni Vanzi nasce poi Vincenzo che sposa Lucrezia Clari che da lui genera Ignazio, bibliotecario gambalunghiano tra 1711 e 1716. Da Ignazio deriva Giuseppe Antonio che è padre di Giuseppe il quale da Giulia Fagnani ha un Giorgio andato sposo a Teodora Abbati che è madre di Pietro. Questo Pietro sposa una Colomba Mazzocchi che genera nel 1836 Maddalena Vanzi andata a nozze con Gaetano Nozzoli: dal loro matrimonio nasce Romolo Nozzoli che sposa Lucia Meldini avendone due figli, Maddalena (mia madre) e Guido.

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