Pascoli studente di seconda liceo, Rimini 1871
Carte inedite sugli amici di scuola, tra cui c'è Pellegrino Bagli

["il Ponte", Rimini, n. 17, 06.05.2012]
Giovanni Pascoli ha 16 anni quando giunge a Rimini nel novembre 1871, quattro dopo l'uccisione del padre Ruggero, e tre dalla morte della sorella Margherita e della madre Caterina Vincenzi. Il fratello Luigi, 17 anni, se n'è appena andato il 19 ottobre per meningite. Con Giovanni, ci sono gli altri cinque: Giacomo (19 anni), Raffaele (14), Giuseppe (detto Alessandro, 12), Ida (8), e Mariù (6) futura biografa ufficiale del poeta.
"L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano", narra Mariù: "La vita che si conduceva a Rimini... era di una economia che appena consentiva il puro necessario". In questa miseria maturano le scelte culturali e politiche di Pascoli. Favorite anche dal clima che trova nel Liceo Gambalunga, dove è iscritto alla seconda classe. Pochi mesi prima vi è accaduto un episodio che agita la città ed illustra le inquietudini del mondo giovanile riminese del tempo. Lo ricostruiamo con carte inedite dell'Archivio Storico Comunale.
Sabato 3 giugno due studenti entrano nelle grotte del palazzo, dopo averne forzata la porta. Li vede un "giovane di bottega" del bidello Clemente Vernocchi che chiama immediatamente le Guardie municipali le quali ispezionano le grotte ed i locali superiori, però "senza rinvenire alcuno".
Nel pomeriggio Vernocchi informa il direttore della scuola "come persone si fossero introdotte dalla parte ultima superiore del Palazzo Gambalunga in una delle latrine, che sporge in uno dei cortili, e che ivi facevano pressa e rumore alla porta per uscire". Il direttore si reca subito al Palazzo Gambalunga, dove ordina a Vernocchi di "portarsi ad aprire". Dalle scale scendono i due alunni del primo corso liceale Luigi Garzolini e Pellegrino Bagli.
Il direttore il giorno 5 invia un "rapporto" al sindaco di Rimini: "Feci loro il dovuto rimprovero, aggiungendo, che ne avrei data parte alla S. V. Illustrissima". Il "rapporto" segnala che "mette veramente raccapriccio il vedere l'immenso pericolo a cui si sono esposti" i due giovani per la loro sconsideratezza. Essi infatti sono "discesi dai soffitti del Gambalunga mercé una vecchia assicella appoggiata fra muro e muro sopra una leggerissima sporgenza di mattoni nella Latrina, che pende su di una profonda altezza".
Il sindaco decide la sospensione dei due allievi "fino a nuovo ordine" ed incarica la "Commissione degli Studj" d'esaminare il caso, "per le ulteriori misure che si crederà d'assumere". Il bidello Vernocchi accusa: "I suddetti due scolari sono soliti nell'uscire a far del chiasso". Il professor Carlo Tonini (che sarà anche insegnante di Pascoli per le Lettere greche e latine), dichiara che i due sono "poco studiosi, poco docili, poco educati", e che "se codesti due scolari se ne andassero, la scuola rimarrebbe più quieta". Il professor Luigi Tonini, docente di Storia e padre di Carlo, sottolinea: "Le ammonizioni fanno con loro poco frutto". Ribadisce che sono "poco educati" e che "quando non vi sono essi, la Scuola va meglio". Concorda pure il prof. di Matematica, Luigi Giacomini: i due "mancano spesso da scuola, e studiano poco".
Gli imputati confessano. Trovarono la cantina aperta, e vi furono rinchiusi dal bidello Vernocchi. Il 15 novembre Pellegrino Bagli invia una domanda di perdono al sindaco: "Che mai, io chiedo, che mai ho io fatto? Perché tanta severità per libero ed onesto cittadino; mentre vediamo il vile sicario girare per le pubbliche vie, e far parte dei pubblici e privati divertimenti. Ella dirà ch'io vado fuori d'argomento, ma con questo ho voluto mostrare che quegli il quale o per educazione o per tema non fa atti violenti, viene trattato da vile schiavo. Abbastanza ho detto". S'intravede già il Pellegrino Bagli (1854-1893) che sarà amico di Andrea Costa e socialista, svolgendo un'intensa attività politica.
Antonio Montanari

La casa in via San Simone ed una lapide bugiarda
I documenti presentati qui, saranno illustrati il 12 maggio alle 15,30, al Museo della Città dall’autore del pezzo, Antonio Montanari, nel corso di una giornata di studi organizzata da Oriana Maroni per la Biblioteca Civica Gambalunga, con altri interventi di Marco Veglia, Elisabetta Graziosi, Umberto Carpi e Dino Mengozzi. Ingresso libero pure per il concerto delle 18, con canti anarchici tra Ottocento e primo Novecento.
La via San Simone ricordata da Mariù Pascoli, oggi si chiama Alessandro Serpieri, maestro di Giovanni ad Urbino. La casa abitata dai Pascoli corrisponde all’odierno civico 17. Lì vicino sorge il palazzo Martinelli dove nel 1798 morì Aurelio Bertola.
Dal 1962 nella piazzetta “delle poveracce” una lapide bugiarda ricorda, sul muro dell’antica locanda “dell’Unione”, che lì “abitò studente” Giovanni Pascoli “negli anni 1871 e 1872”. In una di quelle stanze, la numero sei, il poeta invece passò una notte ed un giorno nel settembre 1877. Era in bolletta dura tanto che, non potendo saldare il conto (lire 41,50), lasciò in pegno all’albergatore Matteo Barbiani un po’ di “biancaria”: tre camicie, un paio di mutande ed un fazzoletto.
Per veder onorato il debito, Barbiani (1878) si rivolse inutilmente ad un fraterno e ricco amico di Pascoli, Domenico Francolini, mazziniano e poi anarchico. La “biancaria” del poeta fu regalata ad un povero attore di passaggio per Rimini.
Pascoli conosce Francolini proprio nel 1871-72, quando ha come compagno di classe Caio Renzetti, ex garzone di barbiere. Non avendo “modo alcuno di provvedersi di libri, e, quel che è peggio, dell'alimento necessario a chi tutto il giorno dee applicarsi allo studio”, Renzetti chiede al Comune un sussidio mensile. Francolini e Renzetti sono accomunati da un impegno sociale che dura per tutta la vita.
Chiara Zoli

Alle pagine di Riministoria su Giovanni Pascoli.
Al testo integrale su Pellegrino Bagli.

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