| Tama 1013, 31.10.2010 Memoria corta, dramma lungo
Ha ragione Giovanni Bianconi a definire l'Italia un Paese dalla memoria corta (CorSera, 23.10) a proposito del processo per la strage di Brescia, 28 maggio 1974, con 8 morti e 94 feriti. La vicenda giudiziaria ancora aperta dopo 36 anni, dimostra un aspetto inquietante. Lo illustra a Bianconi l'avv. Michele Bontempi, anni 37, figlio di uno dei feriti, e legale per il padre ed alcune famiglie degli uccisi: sono emersi "depistaggi da parte dei servizi segreti". A cui va aggiunta "una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo". Ne ha parlato un giudice istruttore. Bianconi aggiunge: nello stesso 1974 ci sono state informative dei servizi "dalle quali traspariva già il ruolo di alcuni ambienti neofascisti". Ma soltanto dal 1992 fra mille difficoltà esse cominciano ad arrivare ai magistrati inquirenti. Il processo attuale per l'eccidio di piazza della Loggia, commenta Bianconi, avviene in un silenzio pressoché totale. Siamo uno strano Paese, conclude: anziché coltivare la memoria si lascia crescere l'oblio. Le sue parole trovano conferma nella notizia di fonte statunitense relativa a nuovi documenti sulla guerra in Irak pubblicati da WikiLeaks. Uno riguarda l'uccisione di Nicola Calipari nel 2005, dopo aver liberato la giornalista rapita Giuliana Sgrena. La quale non crede alla rivelazione per cui gli Usa erano stati allertati sull'arrivo di un'auto imbottita di tritolo: contro di essa dal posto di blocco avrebbero sparato per evitare una strage. La fonte segreta parlava di una Chevrolet blu. Calipari e Sgrena erano in una Toyota bianca. Inoltre Calipari mentre cercava la Sgrena, fu all'inizio intralciato e deviato da vari servizi segreti. Commenta Rosa Villecco vedova Calipari: la Cassazione ha negato la possibilità di celebrare un processo in Italia, e sulla morte del marito è stato decretato il trentennale segreto di Stato. Si ritorna al punto da cui siamo partiti. Quasi quattro decenni per Brescia e per la morte di Calipari. Alla cui famiglia auguriamo di avere l'energia necessaria per far tener presente una storia che non va dimenticata. Rosa Calipari ha confidato a Repubblica i suoi dubbi, il più importante riguarda il ruolo del marito, "conosciutissimo dall'intelligence Usa con la quale collaborava regolarmente". Si ritorna pure a quel porto delle nebbie in cui fra politica e servizi segreti ci sono stati (o sono ancora?) troppi accordi. E dove può naufragare la democrazia. [1013] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1012, 24.10.2010 2011, gli Ufo: Maroni lo sa?
Scrivo una cosa indegna, per la quale dovrebbero cacciarmi. L'oroscopo del ministro degli Interni (sulla possibilità di incidenti a Roma sabato scorso 16.10 alla manifestazione della Fiom), non si è avverato. Forse succederà il contrario con gli Ufo, grazie agli spostamenti di Plutone, Nettuno ed Urano. Queste previsioni mi fanno lo stesso effetto provocato nel ministro Sacconi dai dati della Banca d'Italia sui disoccupati all'11%: sono astruserie, ovvero come dice lui cose esoteriche, per pochi eletti, quelli che poi comandano. Ma un ministro non comanda niente? Non è proprio lui uno di quei pochi eletti che tutto sanno e tutto dirigono? Quelli della Fiom non piacciono al socialista Sacconi, perché (parole sue) sono una minoranza radicale inadatta a governare. Giusto. La gente che vive del proprio lavoro, cerca di avere un posto, non soltanto per smentire Bankitalia, ma soprattutto per allevare figli, avviarli al lavoro o allo studio, condurre decentemente l'esistenza. Sacconi invoca come necessaria l'unità di tutti i moderati e di tutti i riformisti contro l'estremismo di chi desidera vivere del proprio lavoro, e non sogna posti in parlamento (od in alternativa alla tv), come quelli promessi a certe fanciulle da qualche illustre governante italiano (era solo l'anno scorso). Il guaio è che i moderati sono divisi. Marcello Sorgi (La Stampa, 16.10) accusa il cavaliere di aver scelto la strada dello scontro frontale nella dialettica politica. Lo stesso giorno sul Corrierone Piero Ostellino spiega che viviamo in un clima da guerra civile per colpa di squadristi piccoli e grandi. Li identifica in chi ha opinioni diverse dalle sue, le uniche liberali ed ammesse sul mercato. La sua rubrica s'intitola "Il dubbio", ma sembra la continua riproposta del pregiudizio che nella società è un grave peccato politico accettare la libertà delle idee. Rassomiglia tanto a quel Monaldo Leopardi delineato da Pietro Citati nella biografia del figlio Giacomo: un uomo immobile nel suo borgo selvaggio, che se avesse girato il mondo al ritorno in patria avrebbe soltanto "animato di polemiche, articoli astiosi e bizzarrie lunatiche un foglio di estrema destra". La nostra patria è quella che alla partita di Genova non ha perquisito il capopolo serbo Ivan Bogdanov (dietro cui ci sarebbe la mafia di Belgrado), ma sequestrato le merendine ai bambini ospiti. Qualcuno lo credeva diretto non allo stadio ligure, ma al corteo romano della Fiom. [1012] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1011, 17.10.2010 Tutti uniti in fitta schiera
Aumenta il numero di chi non sopporta più l'informazione politica della tv. Ci siamo permessi di gridare qui un vano "basta" (26.9). Con diversa autorità e altra platea di lettori, Lietta Tornabuoni (Stampa, 7.10) ha deriso le trasmissioni che portano alla ribalta sempre la stessa compagnia di giro: figure intelligenti, penetranti e brillanti che rispondono soltanto vaghezze ed insulsaggini. Lasciamole cuocere nel loro grasso, come dicevano i nostri vecchi. Non abbiamo nulla di importante da scrivere sulla cronaca locale: ormai i problemi delle nostre banche sono diventati una prevedibile serie di romanzi d'appendice, un po' noiosi ed un po' inquietanti nelle loro singole puntate. Per rispetto verso l'obbligo di riempire questo spazio, raccontiamo vecchi ricordi. Dopo oltre mezzo secolo l'Aeronautica militare lascia Miramare. Le divise vennero a Rimini perché Forlì pretese i voli civili. E dalla parte del cittadone dovette stare il presidente dell'Apt, comandante Alessandro Cecchi di Rimini. Dove aveva ricoperto analoga carica all'Azienda di Soggiorno. Sessant'anni fa esatti, il 13 settembre 1950 visita il Tempio malatestiano il presidente della Repubblica Luigi Einaudi in compagnia della consorte donna Ida. Arriva da Riccione dove ha partecipato al convegno nazionale della stampa. Il 21 settembre il Tempio è riconsacrato. La scelta della data non fu casuale. Nello stesso giorno, sei anni prima c'era stata la Liberazione di Rimini. La guerra non era finita in Italia, bisognava aspettare qualche altro mese, sino a quel 25 aprile 1945 che oggi fa storcere la bocca ai molti italiani che prendono la Storia come se fosse un supplemento illustrato di qualche festival canoro o di un concorso di miss. E si mostrano saldi nella loro "non conoscenza" delle cose, confondendo Resistenza con Risorgimento. È stato ricordato anche il mezzo secolo del grattacielo, primo esempio postmoderno d'importazione d'idee. Lo aveva Cesenatico, dovevamo costruirlo pure noi. Intanto avevano rimosso la fontana dei quattro cavalli perché doveva svilupparsi un'arteria dal porto canale di Rimini a quello di Riccione. Al Kursaal ci aveva pensato la politica: una schifezza per borghesi ed aristocratici da cacciare nel dimenticatoio. E fu demolito. Altre brutture vennero. Fu il cemento selvaggio ma democratico che ora minaccia (privo degli aggettivi della vergogna e con tanto di decreti bollati) pure il timido, talora goliardico, teatro Novelli. [1011] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1010, 10.10.2010 Cose vere e supposte
Il nuovo straordinario miracolo italiano promesso nel 1994 da Forza Italia non s'è visto. Lo cita Anna Tonelli ("Stato spettacolo"). Per Maurizio Viroli ("La libertà dei servi") ci sono invece i miracolati: i cortigiani corrotti. Tra cui il giornalista che dava notizie false al soldo dei servizi segreti. Certe cose non piacciono neppure all'avvocato del premier on. Ghedini. Che da Repubblica ha precisato: "Persino nel mio partito le compagnie me le scelgo io". Vittorio Feltri si considerava uomo di fiducia di Berlusconi. Ha avuto un brutto risveglio leggendo certe sue parole: "Anche i giornali vicini a noi ci fanno più male che bene". Feltri s'è detto pronto a togliere il disturbo. L'ombra di Giuliano Ferrara si profila alle sue spalle, con la saggezza di chi invita da anni Berlusconi a non ascoltare (è testuale) suggeritori stupidi ed inesperti. Il contestatore del 1968 armato di bastone a Valle Giulia, ha compreso le lezioni della Storia. Un fratello di latte e di note del premier, Fedele (di nome e di fatto) Confalonieri, non ha fiducia nel futuro: "Se a Fini gli gira si deve andare a casa" ha detto alla Fondazione Craxi. Fini (che Tonelli racconta, da Fiuggi al viaggio in Israele, 2003, con la frase sul fascismo male assoluto), è stato fatto oggetto di attenzioni particolari da due quotidiani vicini al capo del governo. Quando è spuntata una pistola sulla scala di casa del direttore Belpietro, s'è dirottata la questione: certi oppositori del governo (Di Pietro e Grillo) creano un clima terroristico. Rose e fiori invece per il senatore di maggioranza Ciarrapico che ha chiamato Fini traditore, con la battuta sulla kippah che vuol suonare così: è al soldo della finanza ebraica. Il ministro degli Interni ammonisce: siamo come al tempo delle BR. Ma un magistrato non simpatizzante verso la rivoluzione e sulla scena dal 1979, Pietro Calogero, spiega in "Terrore rosso": negli anni del brigatismo ci furono interventi di apparati pubblici per spostare l'asse politico da sinistra verso il centro o il centrodestra. Dal pianerottolo di casa Belpietro gli investigatori scorgono per ora soltanto varie "incongruenze" (La Stampa). Un agente ha sparato all'attentatore. Che con l'arma aveva fatto cilecca, prima di scappare non visto da nessuno. Con quello stesso agente, ci fu analogo episodio nel 1995, obiettivo il procuratore D'Ambrosio tuttora scettico sull'accaduto che lo riguardava. Come si dice, ci sono cose vere e supposte. [1010] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
Tama 1009, 03.10.2010 Ma che colpa abbiamo noi?
Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, ha attaccato il governo. Per risolvere la crisi non siamo andati meglio degli altri. E la pazienza degli imprenditori è alla fine. Il più colpito sarà stato Piero Ostellino avendo pubblicato sul CorSera l'elogio della globalizzazione, con fulmini contro Rousseau e Marx: in 20 anni la povertà del mondo si è ridotta del 20%, ed i borghesi si sono triplicati nei Paesi in via di sviluppo. Come al solito chi è rimasto povero è un fesso. Deve pensarla così pure la regina Elisabetta II: nel 2004 a corto di soldi per le sue finanze, fece richiesta di sussidio ad un fondo riservato ai meno abbienti. Ostellino da gran liberale ammette che in giro si muore ancora di fame. Se però i disgraziati del Terzo Mondo hanno la pazienza di attendere il corso di capitalismo, mercato e globalizzazione (e se tacciono i nemici di tali sistemi) qualcun altro si salverà. Non poteva aggiungere il buon Ostellino, e lo facciamo noi, che la pazienza dei moribondi d'Africa è infinita, rispetto a quella di cui ha parlato la signora Marcegaglia. La quale se la prende con il governo, come se ci fosse Romano Prodi. A Palazzo Chigi c'è uno di loro. Lo sanno? Il mite ambasciatore Sergio Romano dal CorSera accusa di tutti i nostri mali l'intero Paese, sempre pronto alla violenza quando parla, e poi moderato entro le mura di casa per fare i propri affari. Barbara Spinelli sulla Stampa in contemporanea conclude: "Gli italiani sono meno colpevoli di quanto si creda". Sono mal informati, aggiunge a ragione. Se vogliamo leggere articoli economici credibili, dobbiamo rivolgerci a cronisti che lavorano all'estero. Francesco Guerrera del Financial Times di Nuova York ha spiegato sulla Stampa che la tragedia americana è nascosta dalle cifre fornite dal governo Usa. Senza occupazione, ha scritto, i consumatori non consumano e le imprese non producono. Se lo osserva un cronista dall'Italia, l'accusano di essere un marxista. I fatti sono questi: da noi la disoccupazione sale all'8,5% (a casa un giovane su tre, titola il sito "redattoresociale.it"), mentre la spesa pubblica per l'istruzione ci fa sfigurare a livello europeo, nel posto n. 21 su 27. Per essere riavviato al lavoro dopo la carica europea, il ministro Frattini intanto percepisce ancora da Bruxelles 11 mila euro al mese. Non possiamo commentare con toni urlati per non dispiacere a Sergio Romano. Sottovoce ricordiamo una canzonetta: ma che colpa abbiamo noi? [1009] Antonio Montanari (c) RIPRODUZIONE RISERVATA
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