| Tama 999, 27.06.2010 Vecchi baroni nuovi idioti
Sul Corrierone (19.6.10) Francesco Giavazzi ipotizza che il governo voglia "lasciar morire l'università per lento soffocamento", obbedendo ai vecchi baroni. Con parole irrituali per un foglio conservatore, Giavazzi conclude: "I ricchi possono sempre mandare i loro figli a studiare in Inghilterra. I poveracci meglio se all'università non ci vanno: continuino a guardare la tv e non leggano troppi libri, così non si faranno venire strane idee". Grazie ai vecchi baroni avremo dunque nuovi idioti con marchio di Stato. L'etichetta di bamboccioni esiste già. Un volume di M. Iezzi e T. Mastrobuoni ne aggiunge un'altra, con il suo titolo drammatico, "Gioventù sprecata". Andrea Camilleri avverte: il problema è di non passare dai bamboccioni ai barboni. Anna Tonelli in "Stato spettacolo. Pubblico e privato dagli anni '80 a oggi" fa un amaro bilancio: "lo Stato spettacolo cambia i comportamenti e le abitudini, sostituendo i sogni e le speranze collettive degli anni Sessanta e Settanta con la supremazia del privato che si fonde nel pubblico". Ne nasce un modello esistenziale che rende tutto eguale ma non è segno di democrazia. Maurizio Viroli con "La libertà dei servi" lancia una provocazione: l'Italia ora è un paese in cui vige appunto la libertà dei servi e non quella dei cittadini. Per avere la quale occorre una situazione diversa dall'attuale. Oggi c'è il potere inedito ed enorme di un uomo solo al comando del governo, di un partito e dell'informazione su carta ed in tv. Le responsabilità del mondo del giornalismo per evitare che il quadro politico degeneri, le ha illustrate Barbara Spinelli (17.5.09) attraverso un altro foglio conservatore, la Stampa: "la mala informazione è una delle principali sciagure italiane"; "La menzogna viene [...] dai governanti, e in genere dalla classe dirigente: che non è fatta solo di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in prima linea"; "I fatti sono reali, ma se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti, distorti) la realtà ne risente, ed è così che se ne crea una parallela". Con l'Unità (3.10.09) ha aggiunto: "La stampa di oggi è in pericolo non solo a causa di Berlusconi... [...] Spesso si ha l'impressione che i giornali italiani si censurino in anticipo, temendo chissà quali ritorsioni". Sulla Stampa (20.6.10), trattando di democrazie a rischio per la crisi economica, chiama l'Italia allergica alla cultura del controllo esercitato dall'informazione. [999]
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Tama 998, 20.06.2010 Passato futuro
Avevo preparato questo titolo alle 21.55 di giovedì 10 giugno, per tornare su questioni qui già accennate e poi trattate a fondo dall'ing. Luciano Gorini nel Corriere Romagna di quel giorno. Sabato 12 ho letto nel Ponte il bel pezzo di Emilio Bracconi sulla Barafonda rovinata dal cemento, con un passaggio conclusivo di grande saggezza: nessuna nostalgia per il passato, ma per un futuro che poteva essere diverso, ed "è stato compromesso dagli egoismi e dalla insipienze". Le sue parole mi hanno felicemente confermato nella scelta del titolo. I due interventi di Gorini e Bracconi, sono accomunati da una passione che si trasforma in denuncia pubblica. Gorini tratta dell'anfiteatro da restituire integralmente alla città, trasferendo l'Asilo Svizzero (Ceis). Del ponte di Tiberio (per cui propone una diga a monte dello stesso ponte). Ed infine della salvaguardia, sotto i bastioni, della Mutua ("una bella, grande struttura abbastanza recente"), da accompagnare ad un diverso intervento a castel Sismondo, un fossato poco costoso e compatibile con il mercato. Gorini racconta dei suoi interventi a Roma per l'anfiteatro e le difficoltà di colloquio con il sindaco di Rimini. Questi per il fossato gli ha dato una risposta chiara: tutto dipende dai rapporti tra Comune ed una fondazione bancaria. La quale, come ho già scritto, non pone il problema tra le sue priorità. Mentre sembra che altri si affannino per demolire la Mutua. A che cosa serva tutto questo stato di incertezza, se non di confusione, non sono in grado di comprendere. Le città dovrebbero essere amministrate anche con l'aiuto di persone esperte come nel caso dell'ing. Gorini. Che ha rivestito pure cariche pubbliche, e quindi sa come muoversi nei labirinti delle burocrazie locali e romane. Una città come Rimini, ricca anche di storia, non ha al momento un assessore alla Cultura a tempo pieno. Dopo che il prof. Pivato è diventato Magnifico rettore ad Urbino, la delega ad una collega già con tante rogne da affrontare, è stata un esempio di quella vecchia politica che sentiamo condannare da tutti. Ovvero la politica del Palazzo lontano da una realtà che non può percepire, non per colpa personale di questo o quell'assessore, ma del fatto che non sono premiate o riconosciute le professionalità e le competenze. Mentre Rimini litigava confusamente sulla Fondazione Fellini, a Bologna si realizzavano interessanti e numerose manifestazioni in ricordo del nostro regista. [998]
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Tama 997, 13.06.2010 Ha ragione Pupi Avati
Sosteneva Federico Fellini che chi ha visto Bologna, ha visto il mondo. Da Bologna magistra, nel suo ricordo, arriva la voce di Pupi Avati, presidente di una fondazione cittadina intestata all'autore di "Amarcord". Voce critica, pungente, amara perché addolorata. Non per vigliaccheria, ma unicamente per mancanza di spazio, tralascio la polemica che riguarda le future sorti della fondazione. Mi soffermo soltanto su di un passaggio dell'intervista che Avati ha concesso a Manuela Angelini del "Corriere Romagna" il 4 giugno. Per mio fatto personale di piccola devozione domestica verso quella frase di Fellini su Bologna custode dei segreti universali, accetto come oro colato l'opinione che Pupi Avati ha espresso sopra la cattiva abitudine riminese di dare ragione a chi parla con la voce più alta. Avati ovviamente non conosce altri segreti indigeni. Ma la frase da lui pronunciata limitatamente alle vicende della fondazione Fellini, ai miei occhi assume il valore di massima morale capace di sintetizzare costumi e malcostumi molto diffusi. Aggiungerei soltanto che con il passare dei decenni (non sempre il tempo fa migliorare le cose come il vino in cantina), alla pessima abitudine segnalata da Avati, si è aggiunto un altro fatto che chiamerei il servilismo a cottimo. Per cui chi mira a qualche risultato personale, s'abbassa a rendere qualsiasi basso favore a chi manovra i cordoni della borsa o custodisce le chiavi delle segrete stanze del potere. Il caso concreto. Sulle colonne del Ponte nel 2006 scrissi che se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma (1614), a quella di Francescani e Malatesti del XV secolo (e futura Universitaria...) spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto. La mia nota provocò qualche ira nascosta poi divenuta una voce circolante contro il sottoscritto, prendendo corpo in un articolo di giornale tra il folle ed il fantasioso. Folle perché contro ogni evidenza si negava la biblioteca, attestata da inventario del 1561 edito nel 1901. Fantasioso perché nell'accusarmi di aver scritto la solita "patacata riminese", si aggiungeva che ero attaccato da un "libello" apparso nelle librerie. L'autore dell'articolo mi confidò che non di libello trattavasi ma di una mail giunta in redazione. Orbene se una redazione dà ascolto ad una voce messa in giro, è perché la reputa gridata al punto di essere vera. [997]
Al dossier sulla Biblioteca Malatestiana di San Francesco a Rimini.
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