| Rimini 1991. Appunti di cronaca (nera) apparsi sulla mia rubrica Tama(404) ne il Ponte (n. 30) di Rimini.
«Rimini è terra di libertà, ma non di trasgressione. È la terra degli incontri, della convivenza civile, del rispetto dei diritti». Così la pensa il nostro sindaco, Marco Moretti. Dalle parole ai fatti. Ore 3 dell'8 agosto. Ragazzi lombardi, in discoteca, attaccano lite con coetanei napoletani. L'esibizione prosegue in strada. Luca Scio, 16 anni, uno skinhead (testa rasata), figlio di immigrati meridionali a Milano, viene ucciso con un colpo al cuore. Movente, si racconta, una lite sul calcio. Testimoni riferiscono le solite frasi razzistiche. Sembra che i milanesi abbiano offeso Maradona. Al di là dello sport, c'è la divisa degli skin: svastiche, teschi, giubbetti neri, un antiquariato inequivocabile. Sul luogo del delitto scrivono: «Qui è morto un eroe». Commenta il prof. P. Fabbri: «Rimini ha ancora un turismo anni '20, legato ad un ritmo di vacanze immutato, e presenta la faccia e i rischi della grande metropoli». Scrive il prof. G. Proni: «Anche a Rimini, la violenza è ovunque, nel corpo bello, nella macchina più costosa... Un contrario rifiuta tutto questo. Con la testa rasata maschera la sua debolezza. È più facile picchiare la gente che sopportare la quotidianità incolore e misera». La gente si sfoga sui giornali: «A Rimini è il caos. Ormai è diventato pericoloso viverci». Ma Riccione non è diversa: la dc locale sostiene che «la baldoria che dura 24 ore su 24 costringe la famiglia in vacanza all'assedio». A Rimini, di notte, sono danneggiati gli stabilimenti balneari. In un'intervista al TG3, un ragazzo spiega: «Noi giovani dobbiamo pur sfogarci...». Sul lungomare, di sera qualcuno si diverte a sfregiare le vetture in sosta con un coltello, da un'auto in corsa. Ma tutto il mondo è paese. In Liguria, la polizia deve presidiare i treni notturni per la Riviera. A Jesolo, è nato un comitato contro il degrado e la violenza. In una rissa notturna 10 feriti, c'erano anche soldati Usa, e per terra pugnali. Torniamo a Rimini. Dopo la bomba del 9 agosto alle poste di via Campana, il governo ci promette superpoliziotti. Il 12, altri tre skin milanesi di 17 anni feriscono un vuccumprà senegalese, a Misano. Arrestati a Miramare, sei ragazzi milanesi, per rissa con coltello. A Bellaria, due bresciani "corteggiano" ragazze al grido di «Vi sgozziamo». Nella notte tra 17 e 18, a San Mauro, sparatoria dalla solita "Uno" bianca contro tre senegalesi: due morti. E a Viserbella, una molotov colpisce la "Ritmo" dove dormiva un tunisino. Ma stiamo tranquilli. La nostra è «terra di libertà, non di trasgressione». Lo Stivale ci guarda e sempre più ci rassomiglia, secondo M. Deaglio («La Stampa»,18.8): «Invece di sentirsi liberi, contenti e appagati, gli italiani del "modello Rimini" stanno scivolando lungo una cupa china di violenza».
Passiamo alla puntata 407 sempre del 1991, il Ponte n. 33. Ecco che cosa scrivevo.
Tre ventenni milanesi, pericolosi criminali, nei mesi estivi avevano spostato la loro base a Rimini, dove vendevano hashish con criteri manageriali. Il sindaco Micucci di Cattolica accusa due o tre camorristi napoletani di grosso calibro, che nel suo Comune «muovono e coordinano decine di malviventi di mezza tacca», mentre appaiono «segnali ben più inquietanti, tipici del racket». Il sindaco Fabbri di Bellaria parla di «investimenti poco chiari» nel turismo, e di «qualche tentativo di racket sùbito isolato». A Rimini, secondo il capogruppo pds Chicchi, siamo soltanto al «possibile ingresso della malavita». Da Cattolica, il capogruppo pds Gabellini ammette: «La malavita organizzata sta rafforzando le radici». Il racket c'è a Catania, a Milano e a Cattolica. Rimini si defila sempre. A Riccione, ignoti hanno bruciato a giugno, in una settimana, quattro ville. Il sindaco Pierani sostiene che «i problemi a lungo termine si chiamano estorsioni e ordine pubblico» e che, dopo quegli incendi, «è inutile chiudere gli occhi di fronte a questa realtà». Paolo Bacillieri ha venduto il suo night: «L'ambiente è ora troppo brutto». Di ville a fuoco, ne sono andate tante in Versilia, da dove è giunta poco tempo fa un'alta autorità di Rimini, rassicurandoci che sulla quella costa tutto era tranquillo. In 16 mesi, ci sono stati sei vittime nello scontro tra bande attive in droga, azzardo e prostituzione. A Rimini, la consigliera "verde" Venturini denuncia un complotto per eliminarla: avrebbe ispirato Servadei e Piro nelle denunce «sull'intreccio tra malavita e politica». Anche Piro ha ricevuto equivoche attenzioni. A Rimini, esistono due scuole di pensiero. Chi dice che non accade nulla. (È una congiura del silenzio «per paura di perdere voti», secondo il giudice Sapio). E chi dice che il marcio di Rimini non c'è a Viareggio (il semiologo G. Proni). La terza corrente (G. F. Dasi) s'interroga sul «Carlino» se sia meglio Pippo Franco o Alba Parietti. Lui, dice Dasi. Ad alzare il tono, dopo aver alzato il tiro, ci pensano i killer della Uno bianca che telefonano a Sapio suggerendogli di leggersi (in vacanza) un racconto di E. A. Poe. Sapio, dopo aver invocato, per i misteri della via Emilia, una manciata d'investigatori dalla normale intelligenza, pensa ora ad un semiologo. Pierani forse pensa che, ottenuta Miss Italia, Riccione si meriti un sindaco senatore. L'aria intanto è rinfrescata.
Dalla puntata 413 (sempre 1991), il Ponte n. 39.
Quando si dice il caso. Sabato 26 ottobre, mentre il «Corriere della Sera» intitolava in prima pagina: «Attacco alla mafia», le cronache locali avrebbero potuto riassumersi con un: «Attacco della mafia». Il giorno prima, infatti, sull'A-14 tra Rimini e Cesena, erano stati rivenuti i corpi, nascosti nel bagagliaio di una vettura abbandonata, di due persone uccise a colpi di pistola alla nuca. Le vittime, entrambe di 36 anni, erano domiciliate a Rimini: Agostino D'Agati era stato arrestato due anni e mezzo fa, a Palermo (dove era nato), assieme al futuro pentito Totuccio Contorno. Venne poi trasferito a Rimini dove, scaduti i termini di custodia cautelare, viveva da incensurato con obbligo di firma bisettimanale in Commissariato. Ernesto Buffa, barese, faceva invece il rappresentante di cosmetici, e sarebbe stato estraneo al regolamento di conti. L'episodio riminese potrebbe rientrare in una guerra a livello nazionale tra clan mafiosi per il controllo del mercato della droga, che l'altra settimana in Lombardia ha fatto tre vittime. Non siamo più a Rimini, ma a Palermo? La formula consolatoria offertaci fino a poco tempo fa, recitava come una parola d'ordine che «Rimini non è Palermo». In questi anni, la malavita ha compiuto da noi un salto di qualità che era facilmente prevedibile. Negli ultimi periodi, ci sono stati fatti drammatici (come quelli attribuiti alla banda della "Uno bianca") e notizie rassicuranti («L'abbiamo sgominata»), ma rivelatesi poi infondate. Se si fossero letti i recenti servizi di cronaca su quanto accadeva ad esempio in Versilia, si sarebbe compreso che prima o poi anche in Romagna avremmo avuto sangue in ambienti che gli inquirenti definiscono mafiosi. In Versilia, le Forze dell'ordine sono passate all'offensiva: i giornali del 24 ottobre hanno riferito di 26 persone arrestate; e due donne catanesi sono state fermate a... Cattolica. Qui a Rimini, fino all'altra settimana, la Magistratura dichiarava di non aver trovato le prove di collusioni mafiose sulla nostra costa. Ciò può rassicurarci fino al prossimo episodio, essendo questo del 25 ottobre ormai passato, doverosamente, in archivio. Finora, Rimini è stata mandata avanti con la terapia dell'ottimismo, non casuale (del tipo «tanto per dire qualcosa, diamo buone notizie»), ma dotto, cioè fondato su di un ben preciso ragionamento. Il guaio è che questo ragionamento rassomiglia troppo a quello che il manzoniano don Ferrante faceva per dimostrare che la peste non esiste. Ma, per colpa della peste, don Ferrante poi morì, «come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle».
Per restare in tema di Giustizia. Cito dalla puntata 389, il Ponte n. 15.
Pessimismo? Sentite qua: a Rimini, «se la giustizia civile è morta, quella penale è moribonda». Così, il procuratore della Repubblica, Franco Battaglino, in un incontro del Rotary a Misano: chissà perché le grandi notizie si apprendono soltanto ai banchetti della gente importante. Se invitassi un'autorità a casa mia, parlerebbe allo stesso modo? A Misano si è appreso che «nessuno ci assicura che lo spaccio della droga in Riviera non abbia collegamenti con vertici mafiosi». (Noi è un pezzo che lo scriviamo).
Nella puntata 416, il Ponte n. 42, si legge quanto segue.
L'homo ariminensis è sempre in ritardo, ed ha contagiato anche chi arriva in città. Un esempio. Il procuratore della Repubblica Battaglino, interrogato dalla «Gazzetta» sulla presenza mafiosa in Riviera, dopo aver ribadito che Rimini non è Palermo, ha raccontato: «I mafiosi non vanno certo nel Sahara, dove si muore di fame e di sete. Il fenomeno è forse aumentato rispetto ad alcuni anni fa».
Nella puntata 421, il Ponte n. 1 del 1992, osservo:
Il sindaco di Cattolica nomina uno sceriffo americano «per far luce sugli intrighi malavitosi» nel suo territorio. A Rimini, «Carlino» e Confcommercio nell'ottobre '90 hanno svolto un'indagine statistica (972 interviste) sull'ordine pubblico. Cito da pag. 4 del fascicolo che raccoglie i risultati: a meno che «gli imprenditori non vivano già in un clima di omertà..., i dati non avvalorano l'ipotesi circa l'esistenza di una criminalità organizzata». Ma perché allora, partendo proprio da quell'indagine, un dirigente della Confcommercio continua a dichiarare ai cronisti che a Rimini c'è malavita organizzata? Rimini, città malavitosa o misteriosa?
Puntata 496 (il Ponte 36, ottobre 1993).
La Commissione parlamentare antimafia, martedì 28 settembre, ha fatto sosta a Forlì ricevendo magistrati, Forze dell'Ordine e sindaci. Il suo presidente, on. Luciano Violante, ha definito la Romagna «terra di investimenti della criminalità organizzata». Secondo autorevoli fonti locali (procuratore Battaglino), invece, nel Riminese non ci sarebbe un «insediamento» di delinquenti, ma soltanto una loro «infiltrazione», senza alcun controllo del territorio. La Commissione avrebbe anche mostrato un inedito dossier su riminesi al di sopra di ogni sospetto, ma in odore di Codice penale. Cioè, essa sarebbe venuta qui più per dire che per ascoltare. Il che dice parecchio. Nello stesso giorno, quotidiani e tivù nazionali riportavano la notizia che, a Cerasolo Ausa, si producono due profumi il cui nome è tutto un programma: «Il Camorrista» e «Il Mafioso». Un loro successo commerciale, darà ragione all'on. Violante, sconfessando gli ottimismi nostrani? E se la faccenda fosse un semplice tranello pubblicitario?
Nel n. 500 del Tama, il Ponte 40 del novembre 1993, ricordavo qualcosa di dieci anni della rubrica.
Ho cercato di fare cronaca. Cinque anni fa parlavo di sindaci con redditi da cinque milioni all'anno, che non potevano permettersi mai una cravatta nuova, per cui erano costretti ad indossare soltanto la fascia tricolore. Adesso si scopre che hanno una pensione da tre milioni al mese. Congelata. Nell'84 riferivo l'allarme dell'on. Servadei sul racket in Romagna. Tre anni fa raccontavo che per il Questore di Forlì, Rimini non era Palermo. Adesso, la Commissione antimafia viene a dirci i suoi dubbi. Nove anni fa, alla Biblioteca Gambalunga il problema era di «eliminare i teppisti». Adesso forse elimineranno gran parte del pubblico, per mancanza di personale. Di questo passo, il Comune introdurrà l'ingresso a pagamento. Un Vigile multerà i clandestini, così come chi dà da mangiare ai piccioni: pennuti delle piazze cittadine, non aspettate più che vi getti il cono del gelato. In un'Italia che ha fatto tante indigestioni, a voi tocca l'unica dieta imposta dalla legge. Auguri.
© by Antonio Montanari / "Il Ponte" settimanale di Rimini, 2010
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