1990. Lettera aperta
al Questore di Forlì


Egregio signor Questore di Forlì. E così, anche l'estate '90 va in archivio. Aspettiamo, intanto, la sua conferenza-stampa di fine stagione, in cui traccerà un bilancio conclusivo sull'ordine pubblico in Riviera. Siamo sicuri che ribadirà una sua opinione già espressa, negli ultimi anni, in simili occasioni: e cioè che Rimini «non è Palermo». Su questo non ci piove, la geografia non ammette smentite.
Lei sostiene che fenomeni mafiosi, da noi, non esistono. Nessuno può darle torto, anche se molti nutrono forti dubbi in proposito. Tutto sta, forse, nell'intendersi sulle parole. Mafia, camorra, 'ndrangheta sono marchi registrati di cui è vietata l'importazione? Oppure sono tendenze, "suggerimenti" che qualcuno potrebbe raccogliere e poi sviluppare a proprio piacimento?
Certi misteriosi incendi, ad esempio, sono variazioni sul tema del racket, oppure esercitazioni per i Vigili del fuoco? Che dire del business della droga? Il giro di affari della prostituzione, che cos'è, artigianato turistico? Il denaro 'sporco' gira per le banche o nelle lavanderie?
Il suo ottimismo, signor Questore, non sembra venir meno neppure davanti al fenomeno della criminalità organizzata: che esiste, e lei lo ammette, ma per tranquillizzare tutti noi, quasi a volerci fornire una camomilla per via giornalistica, lei precisa sùbito che di piccola criminalità si tratta, non di quella grande, presente in altre parti d'Italia. Le cose, viste dalla parte della gente, e non con l'occhio dell'alto burocrate, sono un poco diverse. Una signora che, scippata, finisce in ospedale con fratture serie, le contesterebbe l'aggettivo «piccola» appioppato alla criminalità di cui sopra.
Punti di vista, appunto. Giusto: ma si tratta di vederci bene. Ad esempio: a Riccione, in giugno, arrestano (per un furto d'auto) uno slavo pluriomicida, ma nessuno (neppure a Rimini), si accorge di lui: il reo subisce il processo sorridendo, ed ottiene, dopo la condanna, la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare (sono fatti recenti), sembra altre sei persone, in due tornate. Questo slavo, Lyubisa Urbanovic, aveva una base tra Rimini e Santarcangelo. A Rimini era già stato arrestato. Secondo il suo avvocato, egli è un tipo che si nota bene, per aver «il petto coperto da spaventose cicatrici». Forse per pudicizia, né carabinieri né poliziotti lo hanno mai fotografato "nature", prendendo nota di quei «segni particolari» tanto evidenti. E così il 'grande' delinquente (che uccide lontano dalla Riviera), finisce soltanto nelle statistiche della nostra 'piccola' criminalità, a causa di un furto d'auto («Cosa s'ha da fa' pe' campà...»).
Cordialmente. Tama [1990, puntata n. 362]

Chi era Lyubisa Urbanovic
Scrive Piero Colapricco sul ferragosto del 1990 a Pontevico, nel Bresciano: "... con particolari che risparmiamo, venne sterminata una famiglia di quattro persone da un giovane e violentissimo criminale serbo, Ljubisa Urbanovic, catturato oltre confine dopo una lunga caccia".

Leggiamo dal CorSera del 18 gennaio 1995 nel pezzo di Sandro Repossi

"Ljubisa Urbanovic, 31 anni, sangue slavo che gli scorre nelle vene, meglio conosciuto come Manolo, il nomignolo che gli e' stato affibbiato e con il quale e' divenuto famoso per le terribili imprese compiute. I giudici del tribunale di Pavia ieri pomeriggio lo hanno condannato a dieci anni di reclusione ed al pagamento di quattro milioni di multa, ritenendolo responsabile dell' azione da "arancia meccanica" compiuta la sera del 12 settembre 1990 in casa di Walter Belloni, a Chignolo Po. Quella sera un terzetto di nomadi slavi, capeggiati proprio da Manolo, entro' di prepotenza nella villetta della famiglia Belloni, in viale Cremona a Chignolo Po. L' uomo e i suoi due giovani figli (una ragazzina di dodici anni e un bambino di otto) vennero legati ed imbavagliati in salotto. Stella Tacchinardi, moglie di Belloni, fu trascinata da Manolo in camera da letto. "Se non vuoi far l' amore con me, violento tua figlia". Per salvare la propria creatura la donna si sottopose all' umiliazione. Subito dopo il terzetto fece razzia di soldi, oro ed altri monili e finalmente se ne ando' . A distanza di quattro anni e mezzo la terribile azione di violenza della banda degli slavi (meglio conosciuta anche come banda della Magnum 357) e' approdata nell' aula del tribunale di Pavia."

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01.06.2010.
Aggiornata
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