Non dev'essere un caso se in Transamerica il
nome del personaggio di Felicity Huffman, più nota come Lynette Scavo, sia
Bree, come quello di una delle altre protagoniste di Desperate Housewives.
Anzi, la Bree di Transamerica, in attesa del definitivo taglio
chirurgico dalla vecchia identità maschile, sembra la versione transgender del
personaggio di Wysteria Lane, e recita in punta di forchetta un'aspirante
casalinga azzimata che eredita la comicità maschile di Lynette e l'esasperazione
isterica di Bree. Transamerica non fa che acutizzare e rendere palese il
sottotesto gay della serie di Marc Cherry, dove Bree se non un transessuale, è
perlomeno un travestito disperato, la cui perfezionistica femminilità non viene
sufficientemente riconosciuta. E simile a quello di Bree è anche il rapporto
teso con il figlio, ostile e di aperta definizione sessuale.
Ma Transamerica abbonda di riferimenti
filmici vari: questa versione light di Un anno con tredici lune
unisce l'atmosfera (e alcuni temi) del segmento western di Belli e dannati
(che già prima di Brokeback Mountain aveva associato west e gay), ed è
costruito sulla falsariga di Priscilla con un simile viaggio
transcontinentale (in America, come in Australia) alla ricerca di un figlio ignoto,
con l'evidente difficoltà di assumere un ruolo ed un inedito affetto per un
personaggio dall'identità incerta (un transessuale, un travestito) e
inizialmente refrattario a ritrovarsi incarnazione del canonico ed
istituzionale "papà". Inoltre, la dignità attempata di Graham Greene,
cowboy indiano attratto da Bree rimanda alla certezza romantica del cowboy
australiano che si innamora sinceramente dell''improbabile donna incarnata da
Terence Stamp. L'atmosfera camp straripante di Priscilla si stempera però
qui in una colonna sonora non prettamente identificabile, se si eccettua il
blues bianco finale di Dolly Parton, cantante che è l'esasperazione
iconografica di attributi femminili in versione country.
Transamerica è anche un roadmovie, un altro genere
cinematografico, come il western, tipicamente maschile (Thelma & Louise
non era che la traduzione femminista in un certo machismo), che qui oscilla tra
Stephan Elliot e Wim Wenders, tralasciando però la ricognizione
territoriale per un viaggio genericamente esistenziale che attraversa la
definizione di famiglia. Varie sono le tipologie familiari che si incontrano
del film: il doppio ruolo parentale di Bree (madre o padre?), che si complica
con quello di amante o amica potenziale; la famiglia adottiva del figlio, luogo
di abusi e ignominia da parte del patrigno; la famiglia di "Stanley",
l'identità originale di Bree, tradizionalmente disfunzionale e pacchianamente
texana che, tra contraddizioni e ruoli sbilanciati (madre opprimente, padre
silente e debole), ha portato anche ad una sorella alcolizzata. Per giungere,
in un film non conciliatorio ma sommessamente ottimistico, alla scelta di una
famiglia anomala, dai ruoli indefiniti e variabili, ma spontaneamente salda. Le
potenzialità drammatiche del soggetto sono trattate con la leggerezza di una
vaga atmosfera da sitcom, una dramatic comedy meglio scritta che girata
(stilisticamente è piatta e non aiutata da una fotografia sciatta) che, nel suo
drastico rifiuto del "politically correct", palesa una vistosa messa
in berlina del puritanesimo americano contemporaneo, con tanto di riferimento
ai Cristiani Rinati di Bush (e ad una fantomatica ed irriverente Chiesa del
Padre Potenziale).
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