Dopo quindici anni di ingiusta galera, un barbiere fa
ritorno a Londra con l’unico scopo di cercare vendetta ed infliggere la morte
al colpevole di ogni sua pena con gli attrezzi del mestiere, le lame da rasoio
nascoste nella casa che era stata sua e in cui aveva conosciuto un’effimera
felicità. Sweeney Todd è la sua nuova identità, la resurrezione tragica di un
uomo comune trasformato in efferata macchina omicida. Todd è un non vivente,
uno zombie animato da un unico scopo, mosso solo dalla bramosia di togliere la
vita a chi gliel’ha strappata per un capriccio per l’insana invidia di
appropriarsi di sua moglie, quel giudice Turpin che diventa l’emblema di
un’ingiustizia perpetrata per puro egoismo. Adattando il musical originale, Tim
Burton ordisce una farsa raccapricciante in cui la musica e il cantato
conferiscono al film una dimensione onirica, l’aspetto di un incubo trascinante
che sortisce un effetto di efferato grottesco e stride di macabra poesia.
Tutti i personaggi sono dominati e animati dal desiderio,
da sogni ugualmente infranti, miraggi cancellati dal delirio vendicativo del
barbiere; la fantasia familiare di Mrs Lovett - la complice di Todd -,
l’illusione di riordino borghese del giudice, l’ambizione di ricchezza del falso
barbiere italiano, il bisogno di amorosa stabilità dell’orfanello. Sono tutti
accecati dal sangue che imbratta gli occhi e toglie la capacità di scindere la
realtà dal sogno e che li trasforma in deliranti marionette alla disperante
ricerca di un’ipotesi remota di vita migliore.
L’arrivo di Todd è un virus che invade Londra, è
l’inizio di un’epidemia mortale sbarcata di notte da una nave nella metropoli
ottocentesca di Jack Lo Squartatore (le cui gesta erano già state raccontate in
un precedente film interpretato da Depp, From Hell). Rifacendosi a piene
mani all’iconografia classica a cui l’incipit, l’insistenza sul sangue e le
scenografie fanno ampio riferimento, Burton costruisce un film di vampiri sotto
mentite spoglie, mostra una città di esseri pallidi e già trapassati che
agiscono mossi solo da un istinto imperativo di sopravvivenza che si traduce
nella morte altrui. Todd è il vettore di un odio cieco e assetato di sangue, la
fonte di un fiume rosso che zampilla e scorre a profusione, invadendo lo
schermo e i personaggi, è il paziente zero di un contagio ineluttabile e
mortifero che si trasmette ad ognuno e ne cancella l’innocenza tramutandolo in
essere demoniaco.
L’imperiosa volontà di vendetta del barbiere
potrebbe colorarsi di rivendicazione sociale (punire la borghesia che
vampirizza le classi subalterne), di sarcasmo marxista (dare in pasto alle sue
vittime chi si nutre degli sfruttati), ma si tinge solo di sangue per
l’intransigenza dell’ossessione, mentre del periodo storico eredita la
maniacalità industriale con cui sopprime una vittima dopo l’altra come in una
catena di montaggio, con tanto di ausilio di macchinari per evitare il
dispendio di tempo ed energia.
Tutto è finalizzato al raggiungimento del maggior
numero di morti per un “Edward Mani di Rasoio” che, persa l’inossidabile
ingenuità, si è trasformato in un robot senz’anima che altro non vuole che
sopprimere la fonte del dolore, il segnale residuo di un’umanità pregressa, persa
in un trauma inguaribile. Una lesione morale e psicologica così accecante da
portarlo ad un parossismo omicida che trasforma un preciso progetto personale
di vendetta in frenesia mortale e in furia omicida, che fa del barbiere un
assassino seriale dal preciso modus operandi, ben organizzato ma casuale
nella scelta delle vittime. E la stessa motivazione originale si smarrisce
nella profusione di sgozzamenti, nell’assenza di selezione, nel delirio di
onnipotenza dato della facilità nel togliere la vita.
Mentre l’emoglobina riempie lo schermo, lo scherno
derisorio di una cecità tragica non permette allo squartatore di riconoscere la
donna amata, e il film si conclude su un ultimo colpo di rasoio che crea una
pietà macabra, una scultura di corpi senza vita, incisi nella carne e incollati
dal sangue che cola dalla gole come lacrime di un dolore viscerale e profondo,
inutile e insaziabile.
Solo i due giovani innamorati rimangono tangenziali
alla rabbia omicida, imbrattati dal sangue e lambiti dalla follia, ma forse
ancora relativamente innocenti.
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