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di antonio fabbri

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Sanremo 2013


Continuando la ricerca e la proposta dell’eccellenza in televisione, la conduzione di Fabio Fazio del recente Festival di Sanremo ha allineato la rassegna canora agli standard del conduttore di Che tempo che fa costruendo un Festival d’autore in ogni senso e in tutte le sue parti.
Se il concetto di autorialità, in ogni sua declinazione, può definirsi come scrittura autonoma di un percorso riconoscibile, la coerenza è il tratto distintivo della versione 2013 di Sanremo e la riconoscibilità dei singoli percorsi uno dei suoi ingredienti ed elementi fondanti. I vari concorrenti hanno presentato canzoni del tutto armoniche con la propria produzione; Littizzetto ha sdrammatizzato col consueto mordente la ripetitività della struttura, concedendosi letterine impertinenti e assoli di ironica lucidità femminista; Crozza ha fatto le sue imitazioni così come Bisio ha, al solito, ammiccato nel proprio monologo; Fazio ha rispettato i cardini festivalieri pur innovandoli dall’interno con numerosi apporti dalle precedenti esperienze televisive. Ha ripercorso la storia del Festival andando alla ricerca degli elementi più rappresentativi (canzoni, cantanti, presentatori) per riproporli con la mediazione dell’ironia (Anima mia); ha introdotto un moderno meccanismo da talent per la partecipazione del pubblico nella scelta tra due brani per ogni interprete, ma ha anche offerto una carrellata di volti famosi (come nel suo ultimo Sanremo nel 2000) per la presentazione del pezzo eletto. Il conduttore di Sanremo ha aperto la prima serata con una brevissima introduzione esplicativa sulla non necessaria distinzione tra popolare e facile, anzi, sulla difficoltà di essere popolare e ha inserito intermezzi di varia e spuria natura, anche se in prevalenza musicali (ballo, musica classica, cinema e fiction, sport, impegno - il duetto silente degli innamorati- e divertimento - le imitazioni di Marcoré -), alternando “alto” e “basso” com’è sua consuetudine, e ha terminato con una lista a due voci (Vieni via con me, Quello che (non) ho, Che tempo che fa del lunedì) con la compagna di palco con cui ha mantenuto il familiare gioco delle parti tra irriverenza e formalità.
Nella proposta di interludi legati a temi sociali così come negli “editoriali” comici di “Lucianina” (e in alcuni testi delle canzoni in gara così come nella scelta degli ospiti esterni alla gara) si è evidenziata l’idea ricorrente del rispetto dell’individualità, nelle differenze e nelle conformità, nella scelta personale e della sua indispensabile accettazione: un tema che attraversa e conferma la nozione di autorialità, la quale permea e plasma l’intera struttura dello spettacolo offerto nel 2013 dal Festival della Canzone Italiana.
Fabio Fazio si è poi concesso momenti di protagonismo con duetti canori e imitazioni (le quali rimandano direttamente ai suoi esordi o alle esperienza radiofoniche di Black Out) per una porzione di one man show che sta diventando parte integrante delle sue trasmissioni. La regia di Forzano, riconoscibile, si è caratterizzata da una maggiore luministica tridimensionalità fatta di proiezioni di luci e di colori lasciando marginali i caratteristici schermi mobili, pur presenti ma già ampiamente sfruttati in precedenza (Sanremo 2010 con Clerici, soprattutto). Se la firma di Duccio Forzano ha costituito un’ulteriore citazione delle altre esibizioni di Fazio, la presenza di un vero palco all’Ariston ha permesso alle precedenti esperienze di teatralizzazione della televisione, ovvero di restituzione sullo schermo della pluralità delle espressioni dell’intrattenimento culturale, di confrontarsi con una vera sala e con un pubblico non necessariamente complice.
Il 63° Festival di Sanremo è stato un ulteriore capitolo del tentativo del suo conduttore e autore di costruire uno spettacolo di qualità, di coniugare il successo degli ascolti con la ricchezza dei contenuti e di fare, in sintesi, servizio pubblico, intrattenere senza far abdicare l’intelligenza, costruire un varietà canonico seppure innovativo che possa rivolgersi anche ai telespettatori che avevano abbandonato il piccolo schermo per noia o disinteresse. E ha cercato, come ha affermato entrando sul palco con una dichiarazione d’intenti che l’Auditel ha poi confermato, di coniugare popolare e culturale, di coinvolgere il più gran numero di spettatori nella fedeltà al prodotto così come alle proprie intenzioni. Perché non si è trattato di rivoluzione, lettura propugnata da critici faziosi, ma di una proposta di evoluzione della televisione attraverso il suo capitolo più rappresentativo, della trasformazione dello spettacolo e dell’intrattenimento in tv da fruizione passiva a partecipazione intelligente (e non necessariamente intellettuale), fonte di stimolo ed emozione attraverso il divertimento, com’era nella tradizione della Rai. Anche se ad alcuni questo può parere intrinsecamente eversivo.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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