visione critica
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di antonio fabbri

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Quo vadis, baby?
di Gabriele Salvatores
Giorgia è una detective privata e lavora nell'agenzia del padre. Un giorno riceve un pacco dal passato, uno scatolone pieno di vecchie vhs con il diario filmato di Ada, la sorella, aspirante attrice morta suicida 18 anni prima. Così, per deformazione professionale e curiosità privata, Giorgia inizia a investigare sulla morte di Ada cercando di ricostruirne gli ultimi giorni e gli ultimi incontri.
Tra citazioni cinefile, confessioni in video, filmini familiari in super8, Salvatores rivela uno stile nervoso e convulso, disegna un noir sui generis che indaga, ma sulle immagini, non solo quelle riprodotte su vari formati bensì, soprattutto, sull'immagine di sé che ognuno ha e si costruisce.
Quell'immagine che, come il cinema, è sempre una proiezione, riproduzione di desideri o sovrapposizione di stereotipi, e che il tempo poi demolisce, travisandola negli anni o nella prospettiva. Ognuno è perso in questa propria verità, che è certezza solo privata ma realtà molto relativa, che il passato conserva e adultera, sedimentandovi memorie ed errori, impressioni e illusioni.
Il film è abitato dall'adesione di Angela Baraldi al personaggio di Giorgia, quarantenne e solitario maschiaccio cui la cantante contribuisce a dare l'aspetto trasandato da rocchettaro ad ogni costo; come lei tutti i personaggi sembrano avere bisogno di vino, nicotina o droghe varie per sostenersi e non guardarsi in faccia, affrontare la propria immagine, nello specchio o negli occhi degli altri, soprattutto se questi sono occhi dei familiari.
Perché è la famiglia il vero palcoscenico del film, il set chiuso in cui tutto si svolge. La famiglia, popolata di drammi o tragedie, ma sempre animata dall'incomprensione che agita le acque e intorbida i rapporti, rende la convivenza impossibile e la normalità un'utopia rassicurante, cui rassegnarsi o aspirare.
Giorgia rovista nel baule dei propri ricordi e lo schermo della sua tv evoca un fantasma sconosciuto ed evanescente. Tutto nel film rimanda al tempo andato, agli anni che pesano, al passato che mai si placa e la cui memoria sempre riacuisce gli errori che feriscono. Il giallo forse non ha soluzione, perché gli equivoci non si risolvono, le verità non combaciano, la memoria mente. È un film in cui tutto è già successo, e che si trasforma nell'elaborazione di un lutto sempre rimandato, che non serve a seppellire la sorella ma a liberarsi dagli orpelli e dai fardelli della vita. Forse per vivere il presente bisogna sacrificare il passato, liberarsi del suo peso, come riappropriarsi e riscoprire le parole di una canzone cantata così spesso da averne perso il senso e interpretarla, per una volta, a modo proprio.
     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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