In
quest’astuta prosecuzione aggiornata e retrodatata di Alien da parte del regista originale, tutto viene preso alla
lettera. A distanza di oltre 30 anni, di quattro film dedicati e due derivati,
videogiochi e spostamento nella mitologica del culto del modello iniziale, il
film non può che ripartire dalle premesse, amplificandole secondo la logica del
sequel e azzerandole nella
prospettiva del prequel che, in
parte, si vuole necessariamente un reboot
tecnologico della medesima trama.
Dato
che la matrice ha definito una mitologia ormai classica, Prometheus costruisce una trama alla ricerca delle origini, non
solo della saga ma della stessa umanità, nata dall’inseminazione di un pianeta
sterile da parte di una razza aliena umanoide dalle fatture divine. Giganti
bluastri dal naso greco donano la vita alla Terra e, a distanza di millenni, i
loro discendenti evoluti si avventurano nel buoi dello spazio per incontrare i
padri celesti.
Una
nave nello spazio con un equipaggio addormentato sorvegliata da un androide
ridefinisce, secondo i consueti moduli allargati delle prosecuzioni (17 membri
noti dell’equipaggio contro i 7 dell’equipaggio della Nostromo), un deposito di
vittime designate mentre l’ambiente a disposizione si espande ad un insediamento
ignoto su un pianeta inesplorato.
L’intero
film è informato così dall’idea della creazione - originale narrativamente, e
genetica drammaturgicamente -, dall’idea di costruire del nuovo dal noto, di
dare e ridare la vita. Così come gli Ingegneri hanno donato il soffio vitale al
pianeta, Scott e i suoi sceneggiatori vogliono riportare in vita Alien e gli alieni a noi noti. Un prequel deve definire, soprattutto, un
moto di avvicinamento ad una trama nota. L’alieno come noi lo conosciamo sarà
il frutto dell’unione artificiosa dell’intervento di un androide maligno (che
si vuole esploratore e capopopolo alla stregua del suo modello Lawrence d’Arabia, nell’accezione di
Lean) e di una scienziata caparbia, è il parto irrazionale di una coppia
anomala che crea una variazione genetica che inaugura l’universo narrativo
conosciuto. Ma, secondo i canoni del reboot
contemporaneo, l’epilogo è soltanto il prologo evidente di una continuazione
annunciata, il nuovo variato diventa capostipite di una serialità ridefinita,
secondo un’ulteriore declinazione del concetto di creazione e filiazione.
Mentre
l’inedita coppia genitoriale superstite si rimette in viaggio verso un’altra
origine, lontano dalla Terra e dal territorio esplorato del già narrato per
promettere nuove e diverse avventure nella retromarcia del tempo e dell’azione
verso la fonte della nuova mitologia (la provenienza dei semidei), quella
classica può abilmente discendere separata da questo incipit, con successivi aggiustamenti in attesa di chiarificazione.
Così
il film stesso si antepone al canone dell’universo di riferimento per deviarlo
opportunamente ma senza infrangerlo, prende alla lettera il concetto di seguito
per innestarlo all’interno di quello di origine in quanto ridefinizione del
concetto iniziale trasformando tutti questi procedimenti retorici in trama,
esattamente come il genitore articolato dell’alieno parassita l’umano per
permettere la nascita e lo sviluppo del deleterio feto. Non solo il concetto di
slasher fantascientifico viene
recuperato e moltiplicato ma nella trama vengono mantenuti anche gli apporti
successivi degli Alien derivativi di
una minaccia in avvicinamento verso la Terra, di una razza costruita come arma
di distruzione di massa di scala planetaria, dell’avidità delle corporation che rischiano di annientare
l’umanità, dell’interesse egoistico come fautore del pericolo dell’estinzione.
E la sceneggiatura non risparmia di inglobare anche l’interpretazione critica fatta
ai precursori che vedevano nella nascita del mostro una visione infernale della
nascita offrendoci una vera scena di parto mostruoso, anche autogestito dalla
protagonista secondo i canoni androgini già esplicitati in precedenza da
Sigourney Weaver.
Dare
nuova vita con il materiale già a disposizione, farlo crescere e maturare per
descriverne la nascita e la genesi fa del film un perfetto esempio applicato e
funzionante di metacinema celato. Prometheus,
come indicato dal titolo, parla di nascita e di esplorazione, di fecondazione e
di sterilità, di rinnovamento genetico e di annientamento, di dono e di
delusione perché la vita donata può dover essere revocata e la curiosità
nuocere.
Tra
desiderio di filiazione e anelito metafisico alla ricerca della discendenza e
della creazione, vettori divergenti intelligentemente integrati alla trama, il
senso negato della famiglia e la necessità di sopravvivenza per adattamenti
successivi, la razionalità prevalente sulla dinamica degli affetti, il film
dimostra grande intelligenza costruttiva ma eccessiva prudenza registica, come
se non riuscisse a definire uno stile necessario ad assecondare le proprie
infinte ambizioni finendo per essere come il personaggio della Theron, algido
sino al sospetto del poco umano, o gli zigomi della Rapace: artificioso.
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