Gli schermi televisivi si sono di recente affollati
di fantasmi e spiriti di trapassati. Afterlife (Jimmy) è una serie
britannica che unisce il realismo di Loach o Leigh (da cui mutua la
protagonista, Lesley Sharp) a tentazioni horror: il dono medianico è vissuto
come un’insopportabile maledizione che fa risuonare nel personaggio principale
l’eco del dolore di vivi e morti. Haunted-Fantasmi (Fantasy) tenta una
variazione hard-boiled del tema parapsicologico: un detective privato,
dopo una esperienza di pre-morte, riesce a rimanere in contatto con i deceduti,
i quali diventano i suoi più assidui clienti. Tru Calling (Fox) è invece
la versione cinetica e giovanilistica della capacità di comunicazione con
l’aldilà: Eliza Dushku corre per la città rivivendo il giorno precedente (come
in Ricomincio da capo di Ramis) su richiesta di un trapassato di fresco
che ha reclamato aiuto per non farlo morire.
Se queste due serie americane sono state interrotte
alla prima o alla seconda stagione, negli Usa stanno ora avendo un discreto
successo Ghost whisperer (Fox Life) e soprattutto Medium (Rai
Tre). La serie con Jennifer Love Hewitt tenta un connubio tra atmosfere gotiche
e sitcom familiare: sorta di fata turchina piccolo-borghese, la protagonista
tenta di portare sulla retta via dell'aldilà gli spiriti inquieti assillati da
conti ancora aperti con i vivi, mentre cerca di conciliare quel dono
ingombrante con la propria vita privata in una periferia urbana improbabile e
stereotipata. Benché basata su un concetto analogo, Medium è, al
contrario, una serie perfettamente ancorata alla realtà.
Debitrice a grandi linee dei procedural investigativi,
con tanto di riferimenti legali e incursioni nel courtroom drama (la
protagonista lavora come consulente anomalo per il procuratore di Phoenix), Medium
è del tutto priva delle patinature fotografiche caratteristiche di molta
produzione recente (CSI, ad esempio), è girata in modo realistico con
inquadrature quasi sempre ad altezza d'uomo, gli interni domestici credibili e
vissuti, sono perfettamente aderenti alla vita familiare di una coppia con tre
figlie piccole. In questa quotidianità quasi banale si insinuano però i morti
che, più o meno tranquillamente, vengono a conversare con Allison Dubois o abitano
i suoi sogni. I trapassati invadono la scena e l’inquadratura con normalità,
senza particolari effetti speciali, rendendo gli spettatori partecipi della
rassegnazione della protagonista alla loro implacabile permanenza, permeando un
impianto profondamente realistico di un apparato metaforico e surreale che si
confonde con lo stesso fluire dei giorni e delle persone reali. L'aldilà non è
un luogo di sospirata piacevolezza o di faticosa redenzione. È una dimensione
parallela dell'esistenza, simile alla vita precedente, spesso in essa
confluente, e di cui ai medium è dato di vedere i punti di connessione. Solo a
volte nella serie creata da Glenn Gordon Caron la stilizzazione viene spinta
sino all’inverosimiglianza, con l’accentuazione delle connotazioni oniriche e
un effetto di cartapesta voluto ed esibito che toglie concretezza fisica ad una
visione che comunica con l’eccentricità del linguaggio dei sogni.
Medium non contiene azione: quasi sempre tutto si è già
svolto, l’impegno di Allison è spesso, per forza di cose, post-mortem; molto
viene quindi veicolato dai dialoghi, serrati ed ironici in ambito familiare, ma
anche duri e violenti sul piano lavorativo. Il maggior punto di forza della
serie è proprio nella capacità di fondere la quotidianità della protagonista,
sposata ad un matematico che "irrazionalmente" accetta le capacità
parapsicologiche della moglie e la comune vita con tre figlie piccole, al
costante contatto con anime irrequiete, all’impegno giudiziario. Benché abitata
da spiriti e defunti, la serie riesce a miscelare leggerezza ed ironia con il
raccapriccio della morte e della ferocia, a trasmettere, complessivamente,
serenità, la vita familiare fungendo da potente contraltare alla crudeltà delle
indagini o delle situazioni. Il rapporto tra i due coniugi è di totale e
reciproca fiducia, di affetto amoroso ancora intatto, di accettazione delle
rispettive peculiarità. Eppure le riprese sono sempre a macchina in spalla, non
hanno mai la tranquilla solidità di un sostegno fisso, sono impercettibilmente
mosse, tremolanti, sotterraneamente minacciose, minate da un senso di profonda
precarietà, un'inquietudine diffusa bilanciata dalla solidità di un rapporto
affettivo sincero e passionale, di una tranquillità necessaria, spesso messa a
repentaglio (nella seconda stagione) proprio dall'invadenza dei morti e
dall'eccessivo coinvolgimento di Allison nelle indagini.
Patricia Arquette e tutto il cast contribuiscono
alla creazione di un universo realisticamente attendibile, con un'intimità
familiare prevalentemente serena in cui l’apprensione latente viene
momentaneamente accantonata o superata. Molto è dovuto alla stessa
protagonista, al suo volto bello e imperfetto, insieme sereno e tormentato,
carnale ed etereo al contempo, come si era già accorto David Lynch che le aveva
affidato un ruolo doppio e opposto in Strade perdute. La sua Allison
Dubois è un personaggio profondamente umano, non brilla per intelligenza o
stravaganza ma soltanto per un inopportuno potere di connessione dimensionale
con i morti, retaggio di famiglia che le figlie stanno ereditando. È una medium
suo malgrado, che decide di sfruttare l’inedita facoltà extrasensoriale non per
un'astratta sete di giustizia ma per concreto bisogno di verità, perché le
visioni sono assillanti e la tormentano, si presentano sotto forma di enigmi
onirici che impongono una decifrazione. Allison non è un’eroina, è solo una
persona media in una situazione paradossale e paranormale (come sembra indicare
la stessa sigla musicale che miscela allusioni ad Herrman, quindi ad Hitchcock
e al ricorrente plot dell’uomo normale in una circostanza straordinaria, con
echi di X-Files per l’elemento fantastico), la sua ricerca della verità
risponde alla semplice necessità di ritrovare la pace e un sonno tranquillo.
Non c’è nulla di anticonformista in Allison, anzi i suoi sforzi sono tutti nel
cercare di mantenere intatto il guscio di morbida normalità che le percezioni
medianiche dolorosamente infrangono.
Lavorando per il procuratore di Phoenix, pubblico
accusatore in uno Stato, l’Arizona, che tuttora pratica l'ineffabile ricorso
alla pena di morte come punizione suprema, Allison non oppone una netta
ostilità alla sentenza capitale; anzi, si esprime più volte in suo favore, come
gran parte dell’opinione pubblica americana, sebbene questo atteggiamento
sembri anche contraddittorio per una medium, visto che i morti le parlano e
ogni esecuzione rischia di far aumentare il numero di interlocutori
indesiderati. Così come il rifugio domestico, così necessario per Allison, può
essere letto come una banale ode alla famiglia tradizionale. La stessa serie,
pur con scelte registiche a volte molto azzardate (c'è una grande insistenza
sul "fuori campo"), solleva spesso dubbi morali ma non prende una
vera posizione, introduce argomenti spinosi e li tratta con oggettività, allo
stesso modo dei fantasmi che entrano in campo come se ci fossero da sempre e la
macchina da presa non li avesse inquadrati, invadono lo spazio visivo e
diventano una presenza, quotidiana ed inquietante, da cui è infine impossibile
prescindere.
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