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di antonio fabbri

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In Medium stat virtus

Gli schermi televisivi si sono di recente affollati di fantasmi e spiriti di trapassati. Afterlife (Jimmy) è una serie britannica che unisce il realismo di Loach o Leigh (da cui mutua la protagonista, Lesley Sharp) a tentazioni horror: il dono medianico è vissuto come un’insopportabile maledizione che fa risuonare nel personaggio principale l’eco del dolore di vivi e morti. Haunted-Fantasmi (Fantasy) tenta una variazione hard-boiled del tema parapsicologico: un detective privato, dopo una esperienza di pre-morte, riesce a rimanere in contatto con i deceduti, i quali diventano i suoi più assidui clienti. Tru Calling (Fox) è invece la versione cinetica e giovanilistica della capacità di comunicazione con l’aldilà: Eliza Dushku corre per la città rivivendo il giorno precedente (come in Ricomincio da capo di Ramis) su richiesta di un trapassato di fresco che ha reclamato aiuto per non farlo morire.
Se queste due serie americane sono state interrotte alla prima o alla seconda stagione, negli Usa stanno ora avendo un discreto successo Ghost whisperer (Fox Life) e soprattutto Medium (Rai Tre). La serie con Jennifer Love Hewitt tenta un connubio tra atmosfere gotiche e sitcom familiare: sorta di fata turchina piccolo-borghese, la protagonista tenta di portare sulla retta via dell'aldilà gli spiriti inquieti assillati da conti ancora aperti con i vivi, mentre cerca di conciliare quel dono ingombrante con la propria vita privata in una periferia urbana improbabile e stereotipata. Benché basata su un concetto analogo, Medium è, al contrario, una serie perfettamente ancorata alla realtà.
Debitrice a grandi linee dei procedural investigativi, con tanto di riferimenti legali e incursioni nel courtroom drama (la protagonista lavora come consulente anomalo per il procuratore di Phoenix), Medium è del tutto priva delle patinature fotografiche caratteristiche di molta produzione recente (CSI, ad esempio), è girata in modo realistico con inquadrature quasi sempre ad altezza d'uomo, gli interni domestici credibili e vissuti, sono perfettamente aderenti alla vita familiare di una coppia con tre figlie piccole. In questa quotidianità quasi banale si insinuano però i morti che, più o meno tranquillamente, vengono a conversare con Allison Dubois o abitano i suoi sogni. I trapassati invadono la scena e l’inquadratura con normalità, senza particolari effetti speciali, rendendo gli spettatori partecipi della rassegnazione della protagonista alla loro implacabile permanenza, permeando un impianto profondamente realistico di un apparato metaforico e surreale che si confonde con lo stesso fluire dei giorni e delle persone reali. L'aldilà non è un luogo di sospirata piacevolezza o di faticosa redenzione. È una dimensione parallela dell'esistenza, simile alla vita precedente, spesso in essa confluente, e di cui ai medium è dato di vedere i punti di connessione. Solo a volte nella serie creata da Glenn Gordon Caron la stilizzazione viene spinta sino all’inverosimiglianza, con l’accentuazione delle connotazioni oniriche e un effetto di cartapesta voluto ed esibito che toglie concretezza fisica ad una visione che comunica con l’eccentricità del linguaggio dei sogni.

Medium non contiene azione: quasi sempre tutto si è già svolto, l’impegno di Allison è spesso, per forza di cose, post-mortem; molto viene quindi veicolato dai dialoghi, serrati ed ironici in ambito familiare, ma anche duri e violenti sul piano lavorativo. Il maggior punto di forza della serie è proprio nella capacità di fondere la quotidianità della protagonista, sposata ad un matematico che "irrazionalmente" accetta le capacità parapsicologiche della moglie e la comune vita con tre figlie piccole, al costante contatto con anime irrequiete, all’impegno giudiziario. Benché abitata da spiriti e defunti, la serie riesce a miscelare leggerezza ed ironia con il raccapriccio della morte e della ferocia, a trasmettere, complessivamente, serenità, la vita familiare fungendo da potente contraltare alla crudeltà delle indagini o delle situazioni. Il rapporto tra i due coniugi è di totale e reciproca fiducia, di affetto amoroso ancora intatto, di accettazione delle rispettive peculiarità. Eppure le riprese sono sempre a macchina in spalla, non hanno mai la tranquilla solidità di un sostegno fisso, sono impercettibilmente mosse, tremolanti, sotterraneamente minacciose, minate da un senso di profonda precarietà, un'inquietudine diffusa bilanciata dalla solidità di un rapporto affettivo sincero e passionale, di una tranquillità necessaria, spesso messa a repentaglio (nella seconda stagione) proprio dall'invadenza dei morti e dall'eccessivo coinvolgimento di Allison nelle indagini.
Patricia Arquette e tutto il cast contribuiscono alla creazione di un universo realisticamente attendibile, con un'intimità familiare prevalentemente serena in cui l’apprensione latente viene momentaneamente accantonata o superata. Molto è dovuto alla stessa protagonista, al suo volto bello e imperfetto, insieme sereno e tormentato, carnale ed etereo al contempo, come si era già accorto David Lynch che le aveva affidato un ruolo doppio e opposto in Strade perdute. La sua Allison Dubois è un personaggio profondamente umano, non brilla per intelligenza o stravaganza ma soltanto per un inopportuno potere di connessione dimensionale con i morti, retaggio di famiglia che le figlie stanno ereditando. È una medium suo malgrado, che decide di sfruttare l’inedita facoltà extrasensoriale non per un'astratta sete di giustizia ma per concreto bisogno di verità, perché le visioni sono assillanti e la tormentano, si presentano sotto forma di enigmi onirici che impongono una decifrazione. Allison non è un’eroina, è solo una persona media in una situazione paradossale e paranormale (come sembra indicare la stessa sigla musicale che miscela allusioni ad Herrman, quindi ad Hitchcock e al ricorrente plot dell’uomo normale in una circostanza straordinaria, con echi di X-Files per l’elemento fantastico), la sua ricerca della verità risponde alla semplice necessità di ritrovare la pace e un sonno tranquillo. Non c’è nulla di anticonformista in Allison, anzi i suoi sforzi sono tutti nel cercare di mantenere intatto il guscio di morbida normalità che le percezioni medianiche dolorosamente infrangono.
Lavorando per il procuratore di Phoenix, pubblico accusatore in uno Stato, l’Arizona, che tuttora pratica l'ineffabile ricorso alla pena di morte come punizione suprema, Allison non oppone una netta ostilità alla sentenza capitale; anzi, si esprime più volte in suo favore, come gran parte dell’opinione pubblica americana, sebbene questo atteggiamento sembri anche contraddittorio per una medium, visto che i morti le parlano e ogni esecuzione rischia di far aumentare il numero di interlocutori indesiderati. Così come il rifugio domestico, così necessario per Allison, può essere letto come una banale ode alla famiglia tradizionale. La stessa serie, pur con scelte registiche a volte molto azzardate (c'è una grande insistenza sul "fuori campo"), solleva spesso dubbi morali ma non prende una vera posizione, introduce argomenti spinosi e li tratta con oggettività, allo stesso modo dei fantasmi che entrano in campo come se ci fossero da sempre e la macchina da presa non li avesse inquadrati, invadono lo spazio visivo e diventano una presenza, quotidiana ed inquietante, da cui è infine impossibile prescindere.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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