È la realizzazione di un sogno insperato la scoperta dei
propri poteri di teletrasporto per il giovane David, la concreta capacità di
eclissarsi da una vita da tipico e anonimo sfigato suburbano e provare
l'ebbrezza di avere a propria disposizione il mondo, diventato il set
funzionale alla realizzazione di ogni desiderio. I soldi non diventano un
problema (basta prenderli), ogni fantasia diviene realizzabile con la sola
forza del pensiero, i muri si attraversano, lo spazio-tempo si abbatte e nel
viaggio istantaneo è anche possibile portarsi dietro oggetti e persone, secondo
necessità. L'onnipotenza è a portata di mano, e l'invidia di chi non è dotato
di alcun potere si è disciplinata in una setta di mistici Paladini, assassini
organizzati miranti ad eliminare ogni “saltatore” esistente per la sua troppa
vicinanza alla divinità, crocifiggendolo nell'immobilità e fissandolo
definitivamente al suo tempo e spazio con una pugnalata rituale.
Jumper è organizzato su basi che codificano in forma di
plot l'adolescenza e le relative pulsioni, con il desiderio quasi soffocante di
libertà e l’insofferenza per i vincoli familiari, limitanti e frustranti,
l'ambizione alla realizzazione immediata di ogni impulso e il mondo visto come
semplice luogo di potenzialità da esprimere e sfruttare; poteva diventare un
film divertente se avesse trasformato le infinite variabili del teletrasporto
in espressione cinematografica di virtualità concreta, annullando la
consequenzialità dei raccordi, le funzionalità espressive del montaggio per
giungere ad una sintassi anarchicamente libera da codici. Ma il film di Liman
si limita a fornire il materiale utile ad una successiva serializzazione
dell'impianto, dando solo lo spunto per sviluppi ulteriori e lasciando alla fine
quasi inalterati i personaggi.
Dopo l'interessante primo capitolo di Bourne, Liman
sembra ormai occuparsi solo di film che recuperano elementi preesistenti e
gettino le basi per una proficua derivazione reiterante. Mr & Ms Smith
copiava il titolo da Hitchcock e l’idea da Huston (L’onore dei Prizzi),
arricchendola di effetti speciali e tecnologia e si era fatta l'ipotesi (poi
caduta) di uno sviluppo in forma di spin-off televivo. Jumper si
rifà a piene mani ai supereroi Marvel (la citazione ripetuta del “Team-up” tra
due supereroi appaiati contro un nemico comune è il riferimento culturale dei
protagonisti), tramite il filtro di Heroes (persone normali con
inaspettati superpoteri e trame familiari intrecciate), sfruttando i trucchi e
i personaggi di X-Men (Nightcrawler, senza l’aspetto rettile); il tutto in un
testo narrativamente piano e prevedibile, con la semplice esposizione degli
elementi in gioco e personaggi ridotti a gigioneggianti premesse, che delega
ogni approfondimento o sviluppo a ulteriori trame da venire.
Il protagonista, nel delirio di fuga, pensa di
potersi emancipare dalla famiglia e dal passato, ma rimane infine imbrigliato
in lacci e legami affettivi risalenti all’infanzia mai superata, e ogni
“jumper”, in un ironico contrappasso, viene bloccato dalle corde metalliche del
Paladino come una mosca in una ragnatela, fissato a terra per essere soppresso
come pericolosa anomalia, perseguitato e raggiunto quando è ancora giovane e
inespresso da parte di un adulto anziano (Samuel L. Jackson con parrucca
canuta). Il film stesso, di fronte alle possibilità che la trama suggerisce, si
limita a svolgere il minimo per evocare un massimo latente, vanificando le
ambizioni inscritte nel personaggio in una malinconica visione di
quell'adolescenza a cui, allegoricamente, allude. Perché postula,
freudianamente, l'impossibilità di evasione da quei vincoli sentimentali
(scelti o subiti) perennemente immutabili che condizionano e vanificano ogni
volontà di emancipazione. Mentre il cinema si esaurisce in una vetrina di
promesse suggerite e prive di concretezza di cui solo alimenta l'attesa,
fermandosi al primo livello di un videogioco ancora da caricare.
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