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di antonio fabbri

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JJ ABRAMS E L'AURA DELL'AUTORE
INTRODUZIONE
di Antonio Fabbri
INTRODUZIONE


J’aime beaucoup les grandes séries américaines. […] D’abord [pour] leur qualité, proprement cinématographique. C’est là que sont l’invention et l’innovation, sur tous les plans, récit, montage, casting, son… Ils sont en avance sur Hollywood.
(Chris Marker)

Certains traitent cela avec condescendance, mais il y a beaucoup plus de cinéma dans « X-Files » que dans beaucoup de films.
(Alain Resnais)


“Once upon a time…”.
C’è stato un tempo in cui le serie televisive americane vivevano in un eterno presente durante il quale tutto si concludeva entro i determinati limiti di un episodio, per ricominciare nel successivo come se niente fosse effettivamente successo. La serialità “classica”, sino agli inizi degli Anni Ottanta, ha sofferto di una “sindrome di Sisifo”: gli episodi si replicavano sempre simili, con variazioni minime su un medesimo tema che si riproponeva identico ogni volta, ripetendo all’infinito lo schema dell’impianto iniziale. Questa routine settimanale ha iniziato a cambiare con l’introduzione delle serie serializzate, quando la tendenza soap è stata impiantata sul corpo della meccanica seriale.
Nei melodrammi televisivi, le soap-opera programmate quotidianamente durante il palinsesto diurno ad uso e consumo prevalente di spettatrici romantiche , le storie proseguono di puntata in puntata, trascinando personaggi e situazioni nel trascorrere del tempo. Dopo l’introduzione in prima serata di alcune soap familiari  alla fine degli Anni Settanta, nel decennio successivo il meccanismo di prosecuzione continuativa si trasferisce a serie drammatiche di ambientazione realistica , per poi diffondersi progressivamente a qualsiasi tipologia di racconto. Gli episodi diventano legati tra loro, gli avvenimenti rimbalzano da un episodio ad un altro, la narrazione si adegua e si organizza su una sintassi sequenziale che sostituisce la paratassi dallo schema inossidabile. Si sviluppano assi narrativi orizzontali che riuniscono diverse puntate e che si sommano agli assi verticali, alla narrazione puntiforme (verticale) limitata al singolo episodio. Le serie si avvicinano ai serial, iniziano a scoprire la durata lavorando sulla lunghezza e una medesima storia prosegue per stagioni intere invece di interrompersi e ricominciare in coincidenza con l’inizio e la fine di ogni puntata .

Il tempo incluso.
Le vicende dei personaggi si storicizzano negli episodi passati, le psicologie si approfondiscono nelle variabili degli incontri e nella progressione lineare che importa in ogni puntata il bagaglio mnemonico delle precedenti. L’ingrediente cronologico, sino allora inedito, diventa determinante alla costruzione di un flusso simile a quello romanzesco e il fattore temporale rivoluziona e trascende la scrittura parcellizzata da novella imperante nella struttura seriale precedente. Da quel momento, le serie evolvono con i loro spettatori, in un mondo parallelo ma scandito in modo simile a quello reale a cui è intimamente legato dallo scorrere del medesimo tempo che, ora, si riflette nella finzione.
Al posto della ripetizione appena variata delle serie classiche, in cui il finale di un episodio riporta alle condizioni di partenza come se quasi niente fosse successo, nelle serie serializzate i vari eventi sono intervallati di una settimana gli uni dagli altri, come se i lassi di programmazione coincidessero agli intervalli di vita degli spettatori. In conseguenza all’evoluzione dei giorni e dei mesi, poi degli anni con le diverse stagioni che si susseguono, la serializzazione inizia a proporre dei riferimenti cronologici. Gli episodi si organizzano per assecondare la programmazione originale americana, si abbinano alle festività e alle ricorrenze nazionali per seguire il calendario e offrire una mimesi con la realtà del pubblico . Alla semplice corrispondenza dei tempi si aggiunge anche una coincidenza con gli avvenimenti salienti dell’attualità o della cronaca, i cui riferimenti trovano spazio in una trama che si sviluppa in perfetta simmetria con l’evoluzione della società americana nel suo complesso e nel momento stesso della sua trasformazione .

Il tema fisso.
Nelle serie serializzate l’effetto speculare tra verità e fantasia verosimile si rafforza e l’apparenza realistica si approfondisce con la possibilità di sviluppo e di sfumatura della psicologica dei protagonisti. Allo scavo dei caratteri, non più limitato dai vincoli di una stesura forzatamente interrotta e priva di effettivo sviluppo dall’obbligo della ripetizione, si aggiunge ora la possibilità di inserire personaggi secondari ricorrenti in una illusione completa di vita vera, replicata nella sua discontinua omogeneità, negli andirivieni degli incontri e nei riflessi del mondo esterno. Il personaggio diventa così il centro della narrazione e si impone sull’impianto che, così, rimane sullo sfondo, perdendo la preminenza assolutistica precedente. Attorno al protagonista si sviluppa un microcosmo di figure vitali che corroborano la veridicità psicologica del contesto, anche quando il genere di appartenenza è fantastico.
Le relazioni interpersonali, prive della caducità di uno sviluppo contenuto ad un singolo episodio, si impongono come asse portante, di fatto riallacciando la serie serializzata al presupposto soap ma con maggiore attinenza alla verità condivisa, privo dei fronzoli spudoratamente melodrammatici o delle assurdità narrative tipiche del racconto romantico televisivo consueto. La famiglia e gli amori, in quanto naturalmente contigui alla quotidianità dei personaggi, risalgono così in superficie, sfruttando la disponibilità temporale per una estensione diffusa e calibrata ed ispessire il fattore umano delle vicende.

L’emergere della memoria.
Nella serializzazione la serialità televisiva acquisisce una memoria e questa si impossessa della narrazione, diventa uno strumento necessario alla creazione e alla fruizione settimanale, inserite entrambe sull’asse portante della scansione cronologica. Se per le serie classiche la reminiscenza era un ausilio facoltativo, ogni episodio essendo un segmento concluso e svincolato dal precedente o dal successivo se non per la parentela imposta dalla ricorrenza del protagonista e della situazione iniziale, e per i serial un accessorio contraddittorio , nelle serie serializzate la conoscenza dell’antefatto diventa essenziale alla comprensione del presente, a sua volta determinante per la preparazione del futuro in una complessa e articolata sinergia consequenziale.
La serialità televisiva, prolungata nel tempo e interrotta dall’appuntamento ricorrente, si modella sul precedente letterario della costruzione a dispense, con tutti gli artifici di fidelizzazione dell’interlocutore . Si sviluppano quindi meccanismi di collegamento inter-episodico con rimandi al passato (flash-back), il frequente ricorso alla classica interruzione al culmine della tensione (cliffhanger), la determinazione di trame secondarie con moltiplicazione dei protagonisti (sub-plot), per arrivare sino all’interconnessione tra serie diverse (cross-over), spesso derivate (spin-off). Allo stop-and-go della serialità classica, con la riproposta delle premesse alla chiusura di ogni episodio dopo la temporanea digressione che sembra invalidarle, si sostituisce la costruzione intergrata per aggiunta successiva, la prevalenza della consequenzialità a dispetto della costruzione per frammenti che rimane il vincolo della collocazione nel palinsesto televisivo.
La memoria si fa anche esegesi nella mescolanza dei generi, nella sovrapposizione di soggetti e di contenuti che definisce la nuova serialità consapevole che emerge a partire dagli Anni Novanta. I pubblici, in precedenza compartimentati , si sovrappongono, i serial attingono gli uni dagli altri, si incrociano nei riferimenti comuni, nelle variazioni del trattamento di una trama. Si evidenzia quindi uno stile, temporaneamente mutevole ma complessivamente coerente, cangiante da serie a serie a seconda della prevalenza di un ingrediente e della ricombinazione dei suoi elementi.
L’ideatore di una serie non si limita quindi più ad escogitare un concept da variare ma crea le basi di una struttura articolata e progressiva, di una piramide narrativa che va definendosi mentre si racconta e di cui ogni episodio diventa un’imprescindibile tappa di accrescimento informativo. Rispetto al vuoto pneumatico che sembra circondare i protagonisti delle serie passate, nei  nuovi serial esiste un mondo fatto di personaggi e di storie, un universo di riferimento a cui ricorrere per chiarire un dettaglio o capire un comportamento. Al predominio del produttore, abile a trovare formule infinitamente declinabili all’identico, negli Anni Novanta si sostituisce il creatore seriale, capace di strutturare un mondo plausibile e concreto, fatto di personaggi vitali e di un contesto credibile e dinamico, integrato con il mondo reale che spesso interferisce con quello fantastico nell’illusione complessiva di una condivisa verità .

Dal concetto al progetto.
Le serie classiche si esaurivano nella semplice ripetizione del concetto di partenza, erano fomula show dalla struttura invariabile: un poliziotto alle prese con un criminale diverso ad ogni puntata, un medico preoccupato da un caso difficile per episodio, una squadra che porta a compimento una missione nella canonica ora di palinsesto a disposizione. «[C’]étaient des successions d’histoires policières ou de science-fiction aux personnages peu étoffés, d’où toute progression psychologique était forcément absente et dont les scénaristes se souciaient peu de cohérence chronologique» . Le differenze tra gli episodi riguardavano elementi accessori di definizione delle singole trame, con personaggi collaterali sempre diversificati per non annoiare il pubblico ma eclissati ed espulsi alla fine di ogni puntata a rassicurare lo spettatore nella prosecuzione di un’avventura analoga la settimana successiva.
Con la serializzazione progressiva il fulcro d’interesse si sposta dalla definizione di una semplice “situazione” ai protagonisti, la fissità di un impianto prescelto per la sola mobilità delle variabili si traduce ora nell’avanzamento lineare di un’evoluzione personale. La consequenzialità temporale degli avvenimenti scardina la semplice riproposta inalterata dell’impianto originale per diluire alcuni elementi della narrazione durante tutto l’arco stagionale, strutturato adesso uniformemente secondo una progettualità evidente, un percorso che si dipana da un dato di partenza ad un preciso punto di arrivo, lontano alcuni episodi o intere stagioni. La dimensione temporale permette l’introduzione di una premeditazione nella sequenza degli episodi, la necessità di una concatenazione logica degli avvenimenti o della ricorrenza dei personaggi secondari. Una stagione di un telefilm diventa un’organica visione d’insieme delle avventure o disavventure dell’eroe come tappe di avvicinamento ad un senso compiuto, evidente nel progredire di un’azione complessiva, frastagliata solo dalla necessità dell’interruzione ebdomadaria imposta dalla programmazione televisiva.
In questa nuova evidenza dell’intenzione si è potuta inserire una dimensione personale della creazione seriale, non più limitata alla semplice invenzione di una struttura ripetitiva potenzialmente variabile all’infinito. La linearità continuativa ha assunto la priorità sulla parcellizzazione episodica, creando così un reticolo di rimandi e di connessioni, di parentesi aperte e sospese, di trame secondarie sfilacciate che necessitano di una ripresa per essere ricondotte a quella principale, dove trovano infine senso e conclusione. L’ambito narrativo delinea un percorso esistenziale, un tragitto nello spazio e nel tempo di personaggi alla scoperta e ridefinizione di un mondo con cui vengono in contatto per stratificazione successiva di esperienze.
È nel tempo che la serie si fa serial e l’autore trova lo spazio dell’espressione, il terreno adeguato all’introduzione di motivi ricorrenti, di temi personali, di tipologie affini di personaggi inseriti in una narrazione diventata flusso, carsico o evidente, ma dallo scorrere inarrestabile.

I tempi moderni.
In alcune serie più recenti qualcosa è cambiato. La struttura portante della serializzazione non è quasi mai rimessa in discussione  mentre lo svolgimento temporale è andato modificandosi, tendendo ad articolarsi autonomamente e in maniera peculiare a ciascuna serie. Lo scorrere del tempo non è più ininterrotto e regolare ma viene spesso deviato, fermato, sospeso, ripetuto variato o distillato con attenzione, sebbene continui a scivolare e a coinvolgere lo spettatore tra le sue seducenti volute, come un pensiero liberato dagli argini, un fiume che scava il proprio letto e percorso avanzando.
La trasformazione e la manipolazione della cronologia sono entrate a far parte integrante di molte serie contemporanee e molte di esse sono adesso costruite sugli effetti temporali, diventati il fondamento stesso di uno stile. Il tempo e la sua interpolazione sostituiscono la formula dello show, si traducono in nuovo concetto originale. In serie come Journeyman (Id., Nbc, 2007) o Day Break (Id., Abc, 2006) il tempo è una plastilina plasmabile, da piegare alle istanze narrative di un viaggiatore nel passato, alla costante ricerca di una modifica benevola dell’altrui destino, o di un poliziotto incastrato da un oscuro complotto, che può chiarire rivivendo la medesima giornata nelle sue infinite varianti, di sceneggiatura e di scelta esistenziale.
Niente è sacrificato nella definizione dei personaggi, che rimangono del tutto credibili, ma nei nuovi serial si stempera la semplice fotocopia della vita. Anche nelle serie che restano ancorate alla verità e alla fedeltà alla traccia di rispecchiamento realistico, alcuni episodi sono spesso caratterizzati da una forte discontinuità temporale. È il caso, ad esempio, di E. R. - Medici in prima linea (E. R., Nbc, 1994-2009): un solo avvenimento visto e ripetuto diversamente (8.1), un caso clinico raccontato al contrario (12.12), la durata reale che irrompe durante un’agonia (11.6) o si impone per un’intera puntata (4.1). Per alcune serie, il tempo diventa il motivo conduttore vincolante. Per gli agenti dell’Fbi di Senza traccia (Without a Trace, Cbs, dal 2002) ogni momento perso mette maggiormente a repentaglio la vita della persona scomparsa. I poliziotti della squadra degli omicidi rimasti insoluti di Cold Case - Delitti irrisolti (Cold Case, Cbs, dal 2003) devono trovare le risonanze del passato nel presente per spolverarlo dalle menzogne che non hanno permesso di accedere alla verità in prima istanza. L’ultimo capitolo di Six Feet Under (Id., Hbo, 2001-2005) accompagna in accelerato i protagonisti verso il trapasso - l’inevitabile esito comune di cui la serie fa il suo cardine - dopo averli osservati nel tempo sospeso di una vita visitata dai fantasmi e perseguitata dai rimorsi dei propri errori. In West Wing - Tutti gli uomini del presidente (The West Wing, Nbc, 1999-2006) il tempo diventa elastico, modificato dall’apertura di incisi o di sottolineature, di citazioni o di precisazioni che scuotono la linearità cronologica per assoggettarla alla retorica del discorso politico, all’accordo con le regole della dialettica di un monologo presidenziale. La verità si elude nella costruzione à la Rashômon di Boomtown (Id., Nbc, 2002-2003), con gli eventi narrati rivisti dal punto di vista di ogni protagonista, il tempo è ripetuto e ricomposto a restituire la natura frattale di una realtà articolata e contraddittoria, ferita dalle menzogne e dalle manomissioni dei personaggi. La narrazione di 24 (Id., Fox, dal 2001) imita il tempo reale e spezzetta in altrettanti episodi le ore di ogni infernale giornata di Jack Bauer impegnato in pericolose in azioni antiterroristiche, mentre le diverse stagioni si susseguono ad intervalli variabili creando una realtà alternativa mai del tutto coincidente con quella vera: negli anni il divario aumenta e lo spettatore si ritrova altrove e quelle ventiquattro ore scandite minuto per minuto sono solo parcelle illusorie di una verità differente.
Il tempo si è ormai svincolato dalla semplice simmetria con la vita, le serie hanno abbandonato gli ormeggi realistici per avventurarsi altrove, sfruttando l’agilità della libertà dalla cronologia per fare del tempo stesso un importante ingrediente narrativo, l’architrave, spesso, di un dispositivo modellabile a piacere. Se il flusso dei tempi paralleli tra le serie serializzate e la vita offrono una rassicurante simbiosi tra la finzione e la realtà e la possibilità di reciproco amalgama, il tempo rivoluzionato dei serial evoluti si apre alla sperimentazione e al paradosso, all’infrazione della semplice linearità per arrivare alla congettura, all’esplorazione delle infinite variabili della narrazione.
Non sono più la verosimiglianza della vicenda o il simulacro della vita a prevalere bensì le possibilità del racconto: è l’intreccio che si impone sull’effetto di realtà della fabula. Il tempo si è liberato dalle costrizioni e i riferimenti al quotidiano sono solo convenzioni che diventa infine facile infrangere. La conseguente diminuzione in realismo viene compensata da un arricchimento in possibilità combinatorie e in potenzialità espressive, dal fiorire di risorse romanzesche di un inestinguibile flusso narrativo diversificato e cangiante.

Il complesso di inferiorità.
C’è stato un tempo in cui la serialità televisiva americana era considerata la sorella minore e negletta del cinema, la vergognosa espressione di un racconto limitato, condannato alla semplice ripetizione senza stimoli né interessi, senza intenti né mezzi . Imparentate alla cinematografia per la comune appartenenza alla comunicazione audiovisiva, le serie potevano solo permettersi di riprendere, semplificate, alcune trame di film famosi per declinarle, condensate, in forma episodica e ribadirle settimanalmente a reiterare e dilatare un successo pregresso, sulla cui rendita sopravvivevano e di cui si nutrivano come semplici parassiti .
Parallelamente e contemporaneamente all’evoluzione e modernizzazione dell’impianto seriale, il cinema americano commerciale, in costante asfissia d’ispirazione e latitanza d’innovazione (con la moltiplicazione numerica di titoli di successo), inizia però a guardare alla serialità come ad un bacino di trame disponibili, già passate alla prova del pubblico nella durata della programmazione sui canali generalisti, di fatto invertendo la precedente sudditanza del medium televisivo. Il rapporto di dipendenza e di derivazione delle serie dal cinema si capovolge, la subordinazione si stempera e il cinema attinge ad alcune serie note per farne pellicole. Iniziano, infatti, negli Anni Novanta adattamenti di serie  (di successo e non), e la stessa meccanica della reiterazione si impossessa del cinema. I film vengono progettati in partenza per essere modulati in vari capitoli, ad immagine modello televisivo diventato adesso fonte di ispirazione e di trattamento della narrazione: le trame rimangono sospese per rilanciare un’ipotesi di proseguimento, personaggi indugiano in sottofondo con la promessa di un ulteriore approfondimento, nodi psicologici rimangono inevasi a premessa di un recupero attivo.
Costretto alla condensazione in una durata canonica, il soggetto telefilmico soffre al cinema di un’eccessiva rarefazione che porta ad un’approssimazione nella definizione delle psicologie . L’inossidabile identificazione dell’adolescente come spettatore tipo delle pellicole destinate al successo finisce col rarefare le tematiche, diluire le implicazioni, tendere ad un eccesso di leggibilità che impoverisce il film a tutto vantaggio della serie, che si appoggiano alla larga disponibilità di approfondimento concessa dalla dilatazione temporale e dall’appuntamento settimanale. Forzato alla necessità di stupefazione necessaria alla spettacolarità dell’evento cinematografico, il cinema americano mainstream abusa di interferenze digitali ed è tentato dal tralasciare quanto ritiene residuo e secondario, svuotandosi di contenuto e limitandosi alla superficie appariscente di una narrazione in perdita di fascino.
La serialità, al contrario, pur avvicinandosi al cinema nel ricorso agli effetti speciali, alla qualità dell’interpretazione e dei vari ingredienti della composizione cinematografica , si concede il tempo dello scavo. La costanza dell’impianto, inoltre, autorizza l’infrazione e la sperimentazione si fa largo nella narrazione con una diversificazione stilistica che spesso coinvolge ogni singolo episodio, il quale  così diventa profondamente diverso dal precedente in un continuo rilancio della capacità di rinnovamento di un impianto solo in apparenza standardizzato. Nel giocare con la propria costruzione e le sue modalità, la serialità acquisisce consapevolezza narratologica e semantica, e la variazione si sposta dai semplici ingredienti del racconto alle forme della sua espressione. «La televisione ha spazzato via ogni residuo di superiorità d’immaginario del cinema. È la serialità televisiva […] ad avere dimostrato di poter ottenere investimenti produttivi cospicui, di poter utilizzare forme linguistiche che nulla hanno da individuare al cinema, e […] di rappresentare oggi, in America, il punto più evoluto di sperimentazione narrativa» .
Dopo essere a lungo stata il parente povero del cinema, la serialità americana degli ultimi decenni ha intrapreso una rivoluzione di ampia portata che ne ha fatto - e continua a fare - un laboratorio di idee, temi, strutture e impianti narrativi innovativi, diventa uno schermo non addomesticato su cui trovano accoglienza argomenti scomodi, punti di vista eccentrici e critici dell’attualità sociale e politica. Mettendo a raffronto il cinema degli Studios e la serialità dei canali nazionali americani per la comune appartenenza all’ambito commerciale , la bilancia della qualità tende spesso a favorire il prodotto televisivo per pregi di scrittura e di coesione, tanto da attrarre anche attori cinematografici di primo piano verso il piacere del racconto a puntate, proseguendo gli ormai ineludibili corto-circuiti di interferenza reciproca tra i due ambiti dell’intrattenimento di massa dell’industria dello spettacolo statunitense .

La perdita dell’innocenza.
Stimolante esempio di convergenza e precursore della moderna contaminazione tra i due media, l’antesignana Twin Peaks (Abc, 1990-1991) di David Lynch trasferisce sul piccolo schermo, all’interno di una sintassi prettamente seriale, lo sperimentalismo del cinema d’avanguardia ottenendo d’emblée un clamoroso ed insperato successo. Con una base poliziesca di indagine sull’efferato omicidio di un’adolescente, il regista innesta ossessioni personali di scavo dell’ipocrisia della provincia americana derivate da Velluto Blu (Blue Velvet, David Lynch, 1986), venate di horror paranormale e condite dal gusto del grottesco esasperato, mentre l’andamento generale si modella sulle soap-opera con l’estrema dilatazione della trama, la preminenza dell’elemento amoroso e il montaggio alternato di trame parallele.
Alla confluenza di vari generi, Twin Peaks trova il suo corrispettivo cinematografico in Cuore Selvaggio (Wild At Heart, David Lynch, 1991), che va a costituire con serial un dittico di interferenze cine-televisive complementari. Nel film i codici catodici vengono assorbiti e integrati dalla costruzione e dai personaggi principali sino a farne il fondamento inconsapevole di ogni forma di pensiero e di comportamento. Cuore selvaggio, miscelando influenze disparate, da Il mago di Oz al mitologema di Elvis, dalla soap a Godard , restituisce un immaginario collettivo claustrofobico e ossessivo, abitato dai mostri della propria confusa formazione culturale, modellata dai moduli della televisione e dai modelli riciclati dalla cultura pop (riproposti dal teleschermo), innestati sulla pochezza fantastica dei travagliati protagonisti. Nel film, espedienti originariamente di matrice cinematografica, in seguito generalizzati, sfruttati e deformati dalla televisione (il montaggio in parallelo, l'intersecazione dei diversi tracciati narrativi, l'illustrazione quasi pedante dei dialoghi, il ricorso al flash-back), vengono recuperati e reinseriti ex-abrupto in un contesto cinematografico creando un potente effetto di grottesco per la consapevole eccedenza di chiarezza che spinge ogni elemento sulla sua superficie visibile od udibile del film.
L’universo lynchano è sempre ossessivamente interiorizzato, ogni film si svolge nei recessi psicologici e patologici dei suoi buffi protagonisti: anche in Cuore selvaggio Lynch descrive la visione del mondo di personaggi che non possono più prescindere da una forte dipendenza, in massima parte inconsapevole, dal piccolo schermo. Per farlo, ricorre a quel canone espressivo che gli è proprio e per mezzo del quale ingrandisce e gonfia un dettaglio noto sino a renderlo mostruoso ed inquietante. In Cuore selvaggio è la televisione ad essere dilatata alle dimensioni cinematografiche, con conseguente esibizione di grottesco funzionale, mentre nel serial sono i modelli cinematografici a creare il referente inconsapevole dei personaggi . Per ulteriormente annodare cinema e televisione, Lynch ha diretto in forma di film un prequel alla serie, dopo la sua brusca chiusura : Twin Peaks - Fuoco cammina con me (Twin Peaks - Fire Walk With Me, David Lynch, 1993). anche Mulholland Drive (Id., David Lynch, 2001) era nato come progetto seriale, poi condensato grazie a capitali francesi in un unico onirico film che riunisce il pilota e nuove parti aggiunte dopo il rifiuto dell’emittente (Abc) di proseguire la costosa produzione.
Sdoganando la sovrapposizione consapevole di cinema e di televisione, Twin Peaks diventa il simbolo di una corrispondenza d’intenti e di modi tra grande e piccolo schermo, e lo stimolo ad un approfondimento della convergenza, che può quindi liberarsi dell’apparente concettualismo dell’impostazione di Lynch che andrà sviluppandosi, nelle forme della serialità commerciale, a partire dal decennio inaugurato dalla serie e dal film. Ma la stessa imponenza della figura del regista impone una visione d’autore alla televisione, nel momento cardine della trasformazione della serialità da puro meccanismo ripetitivo a dialogo consapevole con un pubblico attento: «Twin Peaks rappresenta uno dei primi e più fulgidi esempi di autorialità televisiva» .

L’autore al tempo delle serie.
Con l’avvento delle nuove produzioni seriali televisive si assiste alla necessità di una rimodulazione del concetto di “autore”, sedimentatosi nella sua accezione cinematografica come relativo al solo ruolo registico (o, nella migliore delle ipotesi, associato o sovrapposto a quello di sceneggiatore). Indipendentemente dalla matrice produttiva del film stesso, la reperibilità di alcuni elementi di permanenza tra le pellicole di un medesimo regista è tale da delineare un andamento organico tra i diversi lavori. La tracciabilità di una intenzionalità tramite ossessioni e osservazioni ricorrenti, espresse in forme originali e personali, rende i film tasselli coerenti di un’opera complessiva.
Il panorama seriale attuale, nella sua espressione americana di sistema industriale e commerciale rodato e funzionante, non è dissimile da quello della classicità hollywodiana osservato dalla Nouvelle Vague, da cui era stata distillata la determinazione di una firma visibile e riconoscibile di un autore. Ma la pluralità delle partecipazioni e dei contributi, con diversi sceneggiatori e registi cangianti ad ogni episodio, rende inammissibile il semplice adeguamento del concetto canonico al contesto seriale. L’elemento unificante della volontà autoriale è invece rintracciabile figura del “creatore” di una serie, il depositario del concetto di base di una proposta televisiva, detentore del suo sviluppo nell’articolazione degli episodi e nella costruzione dei personaggi. È il creatore, in quanto fulcro decisionale e arbitro artistico di ogni elemento significante, ad assumere le veci di novello autore di una costruzione seriale .

Tra serial e cinema: J. J. Abrams.
    Nell’industria americana dello spettacolo non esiste una gerarchia tra l’espressione cinematografica o quella televisiva, il successo economico e il riconoscimento conseguente cancellando ogni differenziazione. Attori e autori, registi e produttori passano indifferentemente dall’uno all’altro mezzo, sfruttano la visibilità della tv per promuovere il cinema e la nobilitazione di questo per coprire l’apparente vacuità di un appuntamento settimanale in un contenitore domestico dal contenuto disparato, si fanno le ossa in televisione per costituire un curriculum necessario all’approdo cinematografico e viceversa.
    Il precoce esordio nell’industria dell’intrattenimento hollywoodiana di Jeffery Jacob Abrams avviene in campo cinematografico, con la stesura della sceneggiatura di un film di basso profilo. Sin dal secondo script, il giovane sceneggiatore si trova catapultato in prima linea con A proposito di Henry (Regarding Henry, Mike Nichols, 1991), film a grosso budget di Mike Nichols, e prosegue un percorso cinematografico classico di scrittore (e marginalmente di produttore) al servizio di registi più o meno noti lasciando comunque emergere, pur nella differenza qualitativa dei copioni, una coerenza di temi e di interessi, l’intento di scavo e di ricombinazione di elementi ricorrenti che delineano una trama d’autore.
Dopo il grande successo di Armageddon (Id., Michael Bay, 1998), di cui riscrive la sceneggiatura, Abrams approda infine in televisione. Il suo primo approccio - Felicity (Abc, 1998-2002), creata in collaborazione con Matt Reeves e programmata a cavallo del passaggio del decennio e del secolo - si inserisce all’interno della norma codificata del dramma romantico adolescenziale. Adeguato al realismo diffuso del genere di riferimento, il serial di Abrams diventa però il terreno di sperimentazione di un diversificato approccio alla materia narrativa. La ripetitività stessa dello schema permette l’introduzione di un’inedita elaborazione del materiale di partenza, di varianti soggettive e l’avvicinamento ad una forma di espressione autonoma, ancora acerba, che si approfondisce nelle successive opere televisive. Il flusso temporale, nell’adesione canonica allo scorrere parallelo di finzione e di vita, subisce in Felicity evidenti modifiche, che si affiancano inoltre all’introduzione di un ingrediente apparentemente incongruo nel contesto urbano e realistico: il fantastico.
Questi due elementi di innovazione e di forzatura della verosimiglianza trovano quindi un terreno propizio all’approfondimento nella serie successiva, Alias (Abc, 2001-2006), creata dal solo Abrams, rielaborazione giovanilistica del genere spionistico. A poco a poco, la realtà si sottrae per dare libero sfogo all’ambizione fantastica su base temporale, ad una frattura della continuità cronologica che devia la serie verso la ricerca di un intento d’autore.
Questa tendenza alla personalizzazione dell’assunto seriale si concretizza con ancora maggiore evidenza in Lost (Abc, dal 2004), in cui il tempo diventa il motore stesso della narrazione e si ritrova in ogni parcella di racconto, dalla strutturazione iniziale in flash-back aggiuntivi ad approfondire i personaggi, alla variazione in flash-forward sino alla rivelazione dell’entità anomala dell’isola su cui sono naufragati i sopravvissuti di un disastro aereo. Quel pezzo di terra emersa nell’oceano ma fuori da ogni mappa nota è una versione evoluta dell’invenzione di H.G Wells, una macchina del tempo perfettamente funzionante. Anche nella recente Fringe (Fox, dal 2008) il presente sembra determinato da avvenimenti risalenti a decenni anni prima e l’oggi si trova condizionato da un passato che spetta ai personaggi scoprire, mentre il fantastico apre pieghe e smagliature sempre più evidenti nella realtà.

“Time is on my side”.
In Abrams, il tempo, da semplice ausilio si fa tema e narrazione, passa in primo piano e diventa protagonista, incondizionato sebbene inconfessato, rubando la scena e il senso della vicenda ai personaggi principali. Questi combattono nel tempo e col tempo, cercano disperatamente di trovare una libertà d’intenti e d’azione da una corrente imperativa e categorica di determinazione imposta che ne travolge e stravolge l’esistenza. Il “viaggio dell’eroe” diventa così la ricerca di una univoca definizione di sé all’interno di parametri cangianti, di una normalità la cui dissoluzione è resa tangibile grazie all’espediente fantastico e all’imprevedibilità della progressione cronologica. L’unica verità residua, imposta come traccia di coerenza e offerta come specchio allo spettatore, è la veridicità del protagonista, la sua consistenza fisica e psicologica, ormai del tutto sganciate dalla evanescente risonanza realistica del contesto.
Se nelle serie coeve il tempo è ormai spesso indispensabile all’invenzione di un concetto telefilmico, in un’accezione sia fantastica che realistica, per Abrams la ricorrenza della variazione temporale diventa il segnale della prosecuzione di una ossessione personale, il leit-motiv segnaletico di uno stile e di un approccio. Prolessi e analessi non sono più i semplici meccanismi di organizzazione del racconto e si innalzano al rango di ingredienti costitutivi e distintivi di una narrazione senza più confini. Il tempo diventa il cardine caratteristico e il motivo dominante che informa la trama e la sintassi di un’opera, ormai personale.

Andata e ritorno.
Tornato al cinema dopo l’incursione nella serialità, ma promosso oramai al ruolo di regista o di produttore plenipotenziario, Abrams mantiene fede all’impostazione che è andata definendosi durante il trascorso televisivo. Anzi, il passaggio per il piccolo schermo è diventato fondamentale al rientro nello spettacolo in sala avendogli permesso di cimentarsi con la regia, di mettersi alla prova con una sconfinata pletora di collaboratori tra cui ha potuto scegliere i più adatti e consoni ai propri gusti ed intenti. La pratica televisiva gli ha permesso inoltre di affinare moduli narrativi di infrazione della linearità cronologica (come l’inizio in medias res e il recupero a posteriori delle premesse), di cimentarsi con gli elementi caratterizzanti della costruzione seriale che, successivamente, vengono importati nei due film girati da Abrams e nelle produzioni di cui si fa garante economico e direttore artistico: la centralità del personaggio principale, la preminenza della scrittura sulla regia.
La caratteristica comune più evidente di Mission: Impossible III (Id., J.J. Abrams, 2006) o di Star Trek (Id., J.J. Abrams, 2009) è la riproposta cinematografica di un argomento televisivo, la conversione di una serie di successo al formato filmico. A suo agio sia in campo televisivo che cinematografico, Abrams sembra la perfetta scelta per la realizzazione di adattamenti cinematografici da presupposti seriali. Il regista e produttore prende però in contropiede la piattezza della ripetizione sul grande schermo di trame diffusamente note per inserirvi ed integrarvi metodologie di trattamento tipicamente televisive, pur senza tentare un’ibridazione artificiosa. Abrams non cerca di trascinare una serie al cinema importandovi il solo plot, bensì di trovargli un’efficace traduzione, secondo modalità prettamente cinematografiche modellate però sul referente dell’organizzazione televisiva del materiale disponibile.
Nel riadattare una serie per il cinema, l’approccio di Abrams al materiale precedente, rispettoso del complesso generale al fine di un immediato riconoscimento, porta però ad una ristrutturazione dell’impianto complessivo. I film vengono concepiti come episodio d’avvio di un nuovo sviluppo a puntate; a tal fine, Abrams opera una selezione degli elementi iniziali atti ad una prosecuzione continuativa dell’assunto, da protrarsi nel tempo di una durata determinabile dal successo della pellicola.
A questa riorganizzazione organica, Abrams aggiunge forme di potenziamento propulsivo legate ad internet e specifiche della produzione seriale, campagne promozionali di avvicinamento progressivo alla data di presentazione al pubblico (viral marketing), che tengono però anche conto della necessità di coordinamento e di accrescimento dell’interesse dello spettatore potenziale con la partecipazione attiva alla reperibilità in rete di materiali aggiuntivi o alla pubblicazione di integrazioni extra-filmiche con la diffusione di informazioni tramite un apparato multidisciplinare (serie di fumetti, siti partecipativi, spot televisivi, trailer). Lo spettatore cinematografico diventa, alla stregua di quello televisivo, un complice del film, si avvicina per fasi successive alla materia della pellicola in arrivo e la approfondisce preventivamente (ma anche a posteriori, inabissandosi nella materia stessa del film), si siede in sala in parte già edotto su quanto sta per iniziare e pronto alla sorpresa di uno spettacolo ancora in gran parte segreto e svelato solo della porzione necessaria alla seduzione.

“Il n'y a pas d'œuvre, il n'y a que des auteurs”.
Abrams eredita la professionalità, la consapevolezza della costruzione e la necessità di partecipazione dalla prassi seriale, unendovi la conoscenza cinematografica di un cinefilo parossisitico (e americanocentrico) alla ricerca di un forma di intrattenimento intelligente e coerente, sulle orme della lucida consapevolezza registica di Steven Spielberg e dell’abilità mitopoietica di George Lucas, a loro volta ben consci delle potenzialità seriali e interdisciplinari delle rispettive opere.
Anche i temi enucleati dal giovane sceneggiatore nelle prime esperienze cinematografiche subiscono una radicale rilettura nel ritorno al grande schermo, si modificano nel passaggio dalla creazione seriale per orientarsi alla definizione di una sintassi personale pensata sulla durata. Lo scrittore al servizio del regista di turno di unicuum autoconclusivi si trasforma, nelle opre più recenti, in attivo autore consapevole dalla forma mentis seriale. I film successivi alle serie ricercano una potenzialità di flessibilità al fine di una prosecuzione variata che possa originare ulteriori puntate, l’individuazione di elementi ricorrenti da riproporre e far evolvere, da modulare diversamente per rinnovarsi ogni volta, pur mantenendosi riconoscibili. Alla finzione perfetta del film classico, alla sinergia degli elementi interni inseriti in una struttura definita e chiusa, il nuovo cinema si apre all’indeterminatezza dell’apertura ai posteri, ad un’evoluzione possibile che trova il suo referente principe nella meccanica seriale, potenziata dal sincretismo delle varie forme di comunicazione di massa.
Esattamente inserito nel suo tempo e alla convergenza tra cinema e televisione, J. J. Abrams, regista, creatore e produttore di film e di serie, fa della serialità la propria imprescindibile “politica d’autore”.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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