Dopo quasi vent’anni di lontananza dal personaggio,
sia Spielberg che Ford riprendono con schietta freschezza la proficua
collaborazione per raccontare le avventure di Indiana Jones. Sin dall’apertura,
con implicito omaggio a American Graffiti
di Lucas, mentore del personaggio, Spielberg ritrova la verve del grande
affabulatore fantastico tralasciata con gli impegnativi progetti degli ultimi
anni e riparte a giocare riesumando lo stile e il tono delle passate puntate
come se avesse appena smesso.
I riferimenti più fitti riguardano I predatori dell’Arca perduta,
capostipite e “pilota” della serie, da cui mutua il personaggio femminile della
Allen (con una certa coerenza poiché i tre capitoli precedenti si susseguivano
in ordine anticronologico, ognuno collocandosi temporalmente prima del
precedente), mentre l’idea della serialità viene accentuata dalla presenza
dell’erede, il figlio ignoto e aspirante archeologo (Jones III). E la serialità
è in effetti un elemento ricorrente di questo episodio delle peripezie del
professore avventuriero, con i precisi rimandi al primo film, di cui ripete anche
la trama col desiderio impossibile di onnipotenza e di una onniscienza che
dissolve il corpo nella contemplazione del proibito, ambito esclusivo dell’ultraterreno,
gli accenni alla successiva serie televisiva derivata (Le avventure del giovane Indiana Jones), i riferimenti ad altri
personaggi assenti (Jones Sr, l’amico collega, ecc.), nonché, stilisticamente,
nei continui andirivieni temporali delle citazioni cinematografiche, dalle luci
noir, al recupero dell’iconografia Fifties di Brando (Il selvaggio) e alle citazioni di situazioni note prelevate dagli
altri tre capitoli. Indiana Jones
vive di rimandi, è un esperimento di cinema di riferimento in cui tutto rinvia
ad altro e si arricchisce per riflesso, sul costante filo ironico di un gioco
premeditato e appariscente, volutamente coinvolgente per uno spettatore
attento.
C’è anche un’inquadratura dell’Arca che si scopre
nascosta nel deposito militare, e la originaria citazione di Quarto Potere si aggiorna all’Area 51,
fulcro dei misteri esoterici americani, riferimento obbligato per ogni filone
paranoico paranormale (X Files,
Roswell ecc.) e introduzione della nuova tematica
extraterrestre, di un ancestrale popolo di esploratori e collezionisti,
archeologi ante-litteram che
infondono delle loro conoscenze gli umani. Una conoscenza che si è ormai resa
autonoma e potenzialmente pericolosa perché sono gli Anni Cinquanta della
guerra fredda e del pericolo nucleare. I nazisti dei film precedenti sono stati
sostituiti dagli altrettanto temibili sovietici, la tecnologia atomica devasta
di esperimenti inquietanti il deserto dell’Arizona, la società è ossessionata
dal controllo e l’FBI di Hoover invade vita privata e pubblica alla ricerca di
cospiratori e traditori, mentre i nemici veri scorazzano imperturbabili sul
suolo americano.
Nascosto tra le pieghe del divertimento, il monito
libertario di Spielberg fa capolino nelle assonanze tra quegli anni e l’odierna
società americana, così indifferente alle garanzie civili. E tra esplosioni
atomiche, morti viventi, conoscenze perdute e aspirazioni totalitarie, Indiana Jones acquisisce una maturità
cupa, si accorge dello scorrere ineluttabile del tempo e della permanenza del
destino, nascondendolo dietro all’invecchiamento dei personaggi sviluppato con
ironia e battute costanti, mentre prosegue nel gioco apparentemente futile di
un perfetto passatempo, agile e movimentato, portato avanti con innegabile brio
e sincero divertimento.
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