A
differenza degli altri biopic, ricostruzioni più o meno cronologiche della vita
di personaggi famosi, Todd Haynes non cerca la verità storica. Anzi, dissipa
immediatamente ogni dubbio spezzando la personalità di Bob Dylan in svariati
personaggi e lasciando che ognuno di essi viva autonomamente, nel suo tempo, a
suo modo e con quella specifica identità anagrafica fittizia che imprime al
singolo spezzone del film uno stile peculiare. Io non sono qui, come
recita il titolo, mira a deviare dalla verità biografica per arrivare ad una
più profonda sincerità, esistenziale e psicologica, costruisce un ritratto
poliedrico di un personaggio proteiforme e contraddittorio che ha sempre amato
nascondere parte della realtà (sin dal proprio nome) e che non si è mai curato
della supposta illegittimità dell'incoerenza.
Pur
rifacendosi alla percezione pubblica di Dylan nei suoi diversi aspetti
(politico, retorico, intimo, musicale) e affidando ciascuna visione ad un
interprete ben distinto, pur sfruttando l'iconografia dell'epoca per
ricostruzioni parziali del percorso storico del cantautore, Haynes tenta di
ritrarre la persona dietro ai personaggi, sebbene questa "persona"
spesso altro non sia che un'ulteriore maschera. E abolisce la struttura
cronologica, spostandosi nel tempo e nello spazio, con un filo conduttore
narrativo che si avvale principalmente della metafora, dell'assonanza con la
cronaca e di mezzi espressivi disparati. Così il viaggio nella personalità di
Dylan è anche l'attraversamento di un certo cinema, dalle avanguardie storiche
a quelle delle nouvelle vague più impegnate, senza tralasciare il l’onirismo di
Fellini o di Cocteau, né il percorso registico dello stesso Haynes, fatto di
sperimentazione poetica e di devoto, consapevole calligrafismo, cangiante a
seconda dei mezzi e dei temi dei film. Il regista trova in Dylan un soggetto a
lui consono e, al di là della fascinazione per la personalità del cantante o
per la sua musica, compone col menestrello di Duluth una tappa di un percorso
d'autore coerente, la cui mutevolezza apparente nasconde una profonda unità
tematica.
Le inquadrature sono spesso mobili, carrelli
laterali che avanzano lentamente come un panorama visto dai finestrini di un
treno o di una macchina in movimento. Il film è un viaggio in un'identità che
si sottrae alle definizioni, che guarda e rielabora un mondo che a sua volta la
spia e vorrebbe decifrarla, mentre le due parti si scrutano dai lati del vetro
vedendo il proprio riflesso. Attraversando ricostruzioni di finzione, lo stile
giornalistico dell'intervista e del reportage televisivo necessariamente
frustrante, l'evocazione storica, la ricostruzione ipotetica, la metafora
intima, o la fedele illustrazione delle musiche e dei testi, il film ricerca la
definizione di un' identità evanescente e variabile, spostandosi costantemente
tra l'intimo e il pubblico, tra la persona e il personaggio. Quando più si
attiene alla riconoscibilità esterna dei segni noti ed è inserito nel suo
tempo, Dylan è guardato dall'esterno, scrutato con la stessa insolenza curiosa
dei suoi contemporanei, mentre la narrazione in prima persona prevale allorché
Haynes tenta l'introspezione, si allontana dal dato storico e biografico per
parlare per immagini, preferisce alla cronaca la poesia, quel linguaggio
figurato, traslato e criptico, che abita i testi del cantante e che finisce,
più di un comizio o di una confessione autobiografica, a trasmetterne un'intima
verità. Io non sono qui è un percorso visivo ed emozionale in musica,
non sempre subito decifrabile, la cui libertà stilistica è il segno di un
atteggiamento narrativamente disinvolto che rifiuta ogni conformismo e
predilige la sincerità di una scelta fuori dagli schemi, che sono sempre
altrui, dando parole e voce ad immagini evocanti Dylan.
Più volte nel film si afferma l'impossibilità di
essere capiti. E in fondo, l'inutilità di esserlo. Ognuno ha le sue ragioni,
sebbene a volte siano oscure a se stessi. Rimane solo la libertà di accettare
le proprie contraddizioni, cercare quell'onestà interiore che è l'unico
sinonimo accettabile e riconoscibile di libertà, interiore e sociale, i cui
parametri sono però individuali e mutevoli, e che si può a volte apparentare
alla felicità. Il resto, solo supposizioni. |