visione critica
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di antonio fabbri

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Danny the Dog
di Louis Leterrier

La sceneggiatura di Luc Besson prevede che un bambino cinese (Danny) sia rapito da un gangster di provincia (siamo a Glasgow) e trasformato, negli anni, in temibile picchiatore. Tenuto prigioniero nei sotterranei e privato di ogni contatto con il mondo, questo Nikita asiatico ubbidisce ciecamente agli ordini del padrone, senza rimorsi né pensieri, come un cane e con tanto di collare. Finché un giorno, liberato dal caso, non viene accolto da un accordatore di pianoforte e dalla figlia, curato con un'inedita dolcezza che guida il suo risveglio alla vita, accompagnato dalla musica di pianoforte, che si rivelerà poi il represso leit-motiv delle personali vicissitudini di Danny.
Il film, francese per produzione e regia, anglosassone per cast e ambizioni, gioca molto su questo doppio livello, tra violenza esasperata e visione idilliaca della vita familiare, alternando il subdolo e terrigno Bob Hoskins (magnifico) al sincero e soave Morgan Freeman, figure paterne contrastanti nelle quali prevale, da una parte l'abuso e lo sfruttamento, dall'altra l'educazione e la convivenza paritaria, la negazione del mondo esterno contro l'esaltazione delle percezione sino allo sbocciare dei sentimenti, la colonna sonora dei Massive Attak a confronto con i brani classici per piano.
Se il plot appare semplice nella sua esplicita dualità, il film permette, forse per la prima volta di mettere in evidenza il valore di Jet Li. Se come atleta le sue doti fisiche sono ostate ampiamente sfruttate (in Cina, quindi in America), pochi film avevano permesso, se non a tratti, di percepire la qualità attoriale dell'ex campione cinese di arti marziali. Il dualismo narrativo si trasforma quindi nella capacità di Leterrier di mettere per l'ennesima volta in mostra l'agilità di Li nelle scene di combattimento, non edulcorate né frantumate da quel montaggio eccessivo che di solito danneggia la resa filmica di una vera capacità acrobatica; d'altra parte, il regista per la prima volta approfondisce la qualità recitativa di Li permettendogli di lavorare sulle sfumature per rendere con efficacia il passaggio all'umanità del cane Danny, la scoperta di una potenzialità emotiva del personaggio che va di pari passo con quella del suo interprete.
Viene quindi a trovarsi giustificata anche l'eccessiva leziosità della vita familiare, talmente idealizzata da sembrare astratta, così come altrettanto astratta è la perfezione omicida della macchina da combattimento che è Danny. E tra questi estremi, Jet Li riesce a dare vita ad un personaggio a suo modo realistico.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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