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di antonio fabbri

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Déjà vu - Corsa contro il tempo

di Tony Scott

Un traghetto viene fatto scoppiare a New Orleans. L'indagine sembra seguire i normali canoni investigativi, ma le autorità hanno a disposizione una macchina del tempo con cui vedere fisicamente il passato e risolvere il caso.
Partendo da presupposti realistici, debitori dell'attentato di Oklahoma City (citato nei dialoghi), il film scavalca presto nel campo della fantasia, pur mantenendosi in un ambito visivo realistico. L'assunto fantascientifico diventa un pretesto narrativo potente, le cui implicazioni sono presto più propriamente sentimentali e esistenziali che filosofiche o scientifiche, il veicolo di una storia d'amore trans-temporale, l’opportunità inedita di tornare sui propri passi e di operare scelte diverse e forse migliori.
Benché affronti il terrorismo, il film si concentra sul nemico interno, sul patriottismo esasperato di una frangia fascista di americani che vedono nelle istituzioni governative il nemico di un'anarchia repressiva e retrograda che loro propugnano. Déjà-vu, con lo stile cinetico di Tony Scott, abborda senza affrontarli temi imponenti (il destino e il rimorso, l'eventualità dell'amore, il terrorismo interno, l'ineluttabilità e la fatalità, il libero arbitrio) suggerendoli nel corso dell'azione e aggiungendoli ad insaporire una narrazione senza tempi morti, all'interno della quale gli attori devono ritagliarsi un'intensità costruita da sguardi e primissimi piani, in un flusso incessante di immagini inquadrate da molteplici macchine da presa, con continui cambi di campo e di tempo. Ma nella cornice fantastica dell’impianto, gli addobbi stilistici di Scott, l'abbondanza di ralenti, la costruzione per scene brevi, i salti di inquadratura, diventano parte integrante della storia, assumono un senso nel continuo andirivieni temporale, nella dilatazione e ripetizione delle azioni. Sino ad arrivare a sequenze in intensa insensatezza e grande fascino, come l'inseguimento in macchina in luoghi uguali e tempi separati, o l'innamoramento voyeuristico in cui il protagonista spia la donna nell'intimità precedente alla sua stessa morte.

Come in Minority Report, con cui condivide l'idea di un'anticipazione del crimine, anche qui troviamo un macchinario tecnologico che permette di vedere la realtà e di muoversi al suo interno (in Déjà-vu è il passato prossimo, nel film di Spielberg il futuro possibile) costruito come un apparato di montaggio: se quello del film con Cruise era digitale (i rimandi precisi erano all'Avid), qui lo scorrere della pellicola del passato è lineare, continua, come una vecchia moviola di un superotto tecnologicamente avanzato. In effetti c'è, a dispetto della tematica di anticipazione, un aspetto retrò nel film, l'accento posto sui sentimenti più che sulle implicazioni politiche o filosofiche, sulla possibilità di un amore l'eventualità di salvare la propria vita e offrirsi una nuova opportunità che, solo conseguentemente, diventa anche l'occasione di evitare l'attacco terroristico. Il pretesto fantascientifico diviene così per Scott il presupposto di una libertà cinematografica inedita a costo di sonanti paradossi, di una permeabilità del tempo e dello spazio all'amore o ad una sua ipotesi a dispetto di ogni logica che ha il fascino di una lucida follia che nei suoi personaggi si traduce nell’imperterrito inseguimento di un senso qualsiasi dentro al predominante caos ambiente, che è sentimentale, professionale, cittadino, come sociale o nazionale, oppure temporale.
Perché Déjà-vu è anche il ritratto di una città ancora dolorante per le ferite non rimarginate dell'uragano, della necessità di riscatto e orgoglio di cui Washington diventa, senza retorica, l'incarnazione. Mentre l'eventualità di tornare indietro e non commettere i medesimi errori, di individuare i veri colpevoli e variare il destino, sociale o individuale, rimane un'affascinate utopia che il film comunque esplora.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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