Un traghetto viene fatto scoppiare a New Orleans.
L'indagine sembra seguire i normali canoni investigativi, ma le autorità hanno
a disposizione una macchina del tempo con cui vedere fisicamente il passato e
risolvere il caso.
Partendo da presupposti realistici, debitori
dell'attentato di Oklahoma City (citato nei dialoghi), il film scavalca presto
nel campo della fantasia, pur mantenendosi in un ambito visivo realistico.
L'assunto fantascientifico diventa un pretesto narrativo potente, le cui
implicazioni sono presto più propriamente sentimentali e esistenziali che
filosofiche o scientifiche, il veicolo di una storia d'amore trans-temporale,
l’opportunità inedita di tornare sui propri passi e di operare scelte diverse e
forse migliori.
Benché affronti il terrorismo, il film si concentra sul
nemico interno, sul patriottismo esasperato di una frangia fascista di
americani che vedono nelle istituzioni governative il nemico di un'anarchia
repressiva e retrograda che loro propugnano. Déjà-vu, con lo stile
cinetico di Tony Scott, abborda senza affrontarli temi imponenti (il destino e
il rimorso, l'eventualità dell'amore, il terrorismo interno, l'ineluttabilità e
la fatalità, il libero arbitrio) suggerendoli nel corso dell'azione e
aggiungendoli ad insaporire una narrazione senza tempi morti, all'interno della
quale gli attori devono ritagliarsi un'intensità costruita da sguardi e
primissimi piani, in un flusso incessante di immagini inquadrate da molteplici
macchine da presa, con continui cambi di campo e di tempo. Ma nella cornice
fantastica dell’impianto, gli addobbi stilistici di Scott, l'abbondanza di
ralenti, la costruzione per scene brevi, i salti di inquadratura, diventano
parte integrante della storia, assumono un senso nel continuo andirivieni
temporale, nella dilatazione e ripetizione delle azioni. Sino ad arrivare a
sequenze in intensa insensatezza e grande fascino, come l'inseguimento in
macchina in luoghi uguali e tempi separati, o l'innamoramento voyeuristico in cui
il protagonista spia la donna nell'intimità precedente alla sua stessa morte.
Come in Minority Report, con cui condivide
l'idea di un'anticipazione del crimine, anche qui troviamo un macchinario
tecnologico che permette di vedere la realtà e di muoversi al suo interno (in Déjà-vu
è il passato prossimo, nel film di Spielberg il futuro possibile) costruito
come un apparato di montaggio: se quello del film con Cruise era digitale (i
rimandi precisi erano all'Avid), qui lo scorrere della pellicola del passato è
lineare, continua, come una vecchia moviola di un superotto tecnologicamente
avanzato. In effetti c'è, a dispetto della tematica di anticipazione, un
aspetto retrò nel film, l'accento posto sui sentimenti più che sulle
implicazioni politiche o filosofiche, sulla possibilità di un amore
l'eventualità di salvare la propria vita e offrirsi una nuova opportunità che,
solo conseguentemente, diventa anche l'occasione di evitare l'attacco
terroristico. Il pretesto fantascientifico diviene così per Scott il presupposto
di una libertà cinematografica inedita a costo di sonanti paradossi, di una
permeabilità del tempo e dello spazio all'amore o ad una sua ipotesi a dispetto
di ogni logica che ha il fascino di una lucida follia che nei suoi personaggi
si traduce nell’imperterrito inseguimento di un senso qualsiasi dentro al
predominante caos ambiente, che è sentimentale, professionale, cittadino, come
sociale o nazionale, oppure temporale.
Perché Déjà-vu è anche il ritratto di una
città ancora dolorante per le ferite non rimarginate dell'uragano, della
necessità di riscatto e orgoglio di cui Washington diventa, senza retorica,
l'incarnazione. Mentre l'eventualità di tornare indietro e non commettere i
medesimi errori, di individuare i veri colpevoli e variare il destino, sociale
o individuale, rimane un'affascinate utopia che il film comunque esplora.
|