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di antonio fabbri

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Cuore sacro 

di Ferzan Ozpetek

Non c'è amore se non casto e disinteressato nell'ultimo film di Ozpetek, amore non sensuale ma mistico, problematico, che rimette in questione le stesse basi della vita della potente imprenditrice immobiliare. Nella vecchia dimora di famiglia, destinata ad una rapida trasformazione in mini-appartamenti da rivendere a peso d'oro, la donna rimane turbata dall'incontro con una bambina povera e strafottente, una sfacciata ladruncola che la mette in contatto con un mondo di diseredati di cui non sospettava, ingenuamente, l'esistenza. Incapace di reggere il confronto con il mondo reale e i suoi drammi, la protagonista si spoglia dei suoi averi, letteralmente arrivando a denudarsi in mezzo alla folla, ignara ed indifferente. Non le vengono risparmiate visioni ascetiche, visite di spiriti, allucinazioni, e il peso di una vita dedita al guadagno si fa opprimente. Né Ozpetek lesina citazioni letterali dalla Pietà di Michelangelo o imprestiti da Pasolini e Rossellini, ha il coraggio di mescolare attori professionisti ai volti drammatici della vera folla dei diseredati, racconta la vicenda con abbondanza di ellissi, dissolvenze incrociate, carrelli laterali, primissimi piani e una forte insistenza sul fuoricampo, che si vuole evocativo e pregno di significati.
Se il percorso della protagonista rimane interessante e dignitoso, soprattutto in questo periodo di crisi del berlusconismo più rapace, così sterilmente indifferente al disagio circostante, l'aura di santità folle della Bobulova, quasi sorella dell'austera Kidman di Birth, rimane parzialmente incomprensibile, finisce col risolversi in un dibattito psicanalitico tra patologia e ascesi. Ma un finale paradossalmente paranormale, che vorrebbe giustificare l'irrazionale, sposta l'ambito del film su un terreno pericolosamente impervio, facendo scivolare il film Ai confini della realtà, al limite della Twilight Zone.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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