Con
la primavera torna a sbocciare su RaiDue Cold Case, serie ideata da
Meredith Stiehm e prodotta da Jerry Bruckheimer, già all'origine dei C.S.I.
e di Senza Traccia. Strutturalmente classico, ogni episodio di Cold
Case presenta una squadra invariabile di investigatori che indaga su un
omicidio, diverso ogni volta. Ma la peculiarità della serie riguarda il
carattere di questi crimini: casi freddi, come dice il titolo, vecchi e
dimenticati perché irrisolti, i cui fascicoli sono stati ammassati
nell'archivio del distretto di polizia, quindi risuscitati e infine chiariti, a
distanza di anni, da Lilly Rush e dai colleghi della squadra omicidi di
Philadelphia.
Ogni
episodio inizia con una scena fotograficamente trattata e datata, squarci di
normalità e preludio ad un assassinio; quindi un grido lancinante apre la
concitata sigla e avviene il salto ad oggi: qualcuno coinvolto in quella
vicenda si rivolge alla detective Rush e chiede di riaprire il caso. Gli
omicidi non cadono mai in prescrizione, pertanto gli incartamenti chiusi senza
l'individuazione di un colpevole rimangono virtualmente in attesa di una
soluzione, di una giustizia sospesa e teoricamente soltanto posposta. I
poliziotti scendono nel ventre silenzioso del distretto a riesumare i faldoni
giudiziari archiviati in scatoloni bianchi tutti uguali, urne di cartone da cui
emergono fantasmi e immagini del passato. Sono esistenze troncate e corpi
cambiati, vicende antiche o recenti, vite incompiute nelle loro morti inesplicate,
altre drammaticamente alterate da quella violenza, raffreddata dagli anni ma
solo inabissata nella memoria e pronta a riaffiorare con i giusti stimoli
investigativi. L’immagine seminale della serie è l'anonima archiviazione,
quindi il recupero dello stesso raccoglitore bianco tra i corridoi di un’algida
catacomba giudiziaria assiepata da tanti simili contenitori, unico elemento di
transizione e staffetta tra passato e presente, da un diritto alla verità
interrotto alla sua ripresa dopo un’apnea temporale.
Come in Senza traccia, per molti aspetti
serie sorella, i personaggi principali, benché densi di umanità, non invadono
il breve lasso dell'episodio con il proprio vissuto. Di loro si sa molto poco
(anche se nella seconda serie, attualmente in onda, qualche ombra si chiarisce
ed alcuni elementi personali vengono ad illuminare la cornice), solo sporadici
dettagli sono disseminati nelle reciproche battute tra colleghi, nelle
sfumature di uno sguardo o di un sorriso. Lilly Rush o Scotty Valens vivono nel
solo presente dell'indagine, sono quasi comprimari di ogni episodio,
pretestuosamente necessari alla finzione narrativa di cui a pieno titolo
diventano protagonisti le vittime e i loro familiari, il caso stesso, che
riprende vita e forma nei flash-back che costellano ogni singola puntata.
Poiché i dati a disposizione per ricostruire l’accaduto e trovare il colpevole
sono pochi, tutto è già successo e spesso sbiadito nella memoria, la serie è
quasi priva d'azione mentre è molto dialogata, alterna interrogatori e
ricostruzioni in un puzzle di elementi che infine portano all'individuazione
del criminale, e i poliziotti sono per lo più ripresi a conversare,
congetturare e avanzare ipotesi sullo svolgimento dei fatti e sul prosieguo
dell'indagine.
Ma ciò che colpisce e coinvolge in questa serie
investigativa, tesissima e mai noiosa, è l'enorme potenziale drammatico ed
emotivo che contiene. Le tragedie in miniatura di ogni episodio evidenziano
implacabilmente le umane debolezze e le ineguaglianze di una società che si
vuole democratica, affrontano temi scottanti (la discriminazione sociale,
razziale, sessuale, politica), fanno i conti con i lati oscuri del sogno
americano. Ogni ricostruzione storica si accompagna ad un accorto uso di una
colonna sonora che, con immediatezza, precisione e potenza evocativa, situa il
momento dell'azione attraverso le canzoni del tempo; sullo schermo si
avvicendano inoltre i due volti di un medesimo personaggio, ripreso in due
momenti della propria vita, ora e allora, quando si svolsero i fatti, con un
cortocircuito emotivo e culturale tra diverse età anagrafiche a confronto, il
paradosso di due identità in mostrate in contemporanea che segnala quanto e
quanto poco sia nel frattempo cambiato, fuori e dentro quell'essere umano. La
morte, da cui l’episodio e l’indagine hanno preso inizio, è stata il momento di
rottura di molte vite, fonte di inevitabili cambiamenti e trasformazioni per
personaggi che di quel sangue si sono macchiati o del quale hanno subito le
conseguenze; la sua evocazione diviene il recupero di un cardine fondamentale
di varie esistenze accomunate da una ferita inguaribile. I poliziotti diventano
allora solo i catalizzatori della verità emotiva del caso che, fragorosamente,
riemerge nel presente e lo contamina. Non c'è pace sino alla catarsi finale
della confessione, quando la realtà dei fatti, per lo più drammatica e dura,
viene allo scoperto e riporta pace all'anima inquieta della vittima: questa,
simbolicamente, guarda sorridendo chi le ha reso giustizia e concesso il riposo
sino ad allora negato. Il dolore, di cui la serie è permeata, trova alla fine
uno sfogo, quantomeno liberatorio.
I detective della omicidi hanno una funzione
maieutica di emersione della verità nella confessione del colpevole; se
l'ordine viene ricostituito tramite la classica e conciliatoria individuazione
del criminale, il processo investigativo ha fatto emergere ben più di uno
spunto di riflessione sulla storia recente e sul complesso sociale, diventa una
seduta di psicanalisi collettiva (e individuale per i protagonisti della
vicenda) che scoperchia numerose flatulenze del melting pot americano.
La riapertura di quei casi e, fisicamente, degli scatoloni che li contengono,
diventa la liberazione di un vaso di Pandora di umori e dolori compressi, di
inconfessabili verità private e sociali, che l'indagine mette a nudo e mostra
nei costanti flash-back con l'apparente indifferenza di un pretesto narrativo,
mentre si trasforma nel rito della riesumazione e provvisoria restituzione alla
vita di un'anima persa tra gli interstizi del tempo, della memoria e della
giustizia.
Quei casi sono, in fondo, ancora caldi, agitano le
viscere dei personaggi e della società. Lilly Rush li tratta con empatia (un
aspetto del suo personaggio molto accentuato nei primi episodi, poi diluito
nella collettività del gruppo), con umano calore, come corpi ancora vivi,
traumi e ferite aperti -in senso letterale quanto traslato- da guarire o
lenire, per quanto possibile, di cui i poliziotti sono inopinati e involontari
spettatori e dalla cui visione emergono (come noi, al di là del piccolo
schermo) con l'acquisizione di una maggiore, sebbene dolorosa e sempre
partecipe, consapevolezza. Cold case è una serie di limpida ed
enigmatica bellezza.
|