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di antonio fabbri

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Il caimano
di Nanni Moretti

Con Caro Diario Moretti dà l'addio a Michele Apicella: assumendo le proprie generalità anagrafiche, egli porta al culmine quell'identificazione che il pubblico ha sempre fatto tra autore e personaggio. Con la maggiore classicità de La stanza del figlio, pur riappropriandosi di elementi riconoscibili, il regista elabora il lutto (figurato, ma anche concreto nel racconto della perdita del figlio) del "morettismo". Parallelamente, dopo la stagione dei Movimenti e l'impegno in prima persona per una politica attiva di stimolo alla sinistra, Moretti lascia che a parlare sia il cinema, privo ormai del suo corpo e dietro la cortina della finzione.
Nella filmografia del regista, il privato, dec
linato in versione autoironica, si è sempre coniugato con il politico, di cui spesso si fa specchio deformante. Il produttore, Silvio Orlando, cerca di tornare in attività e fare una nuova pellicola, che casualmente è un film su Berlusconi. Ma tenta anche e soprattutto, sebbene invano, di rimettere in piedi il proprio matrimonio, superare gelosie e incomprensioni, per infine cedere ed accettare l’inevitabile separazione. Il suo è un sogno di normalità, di serenità di vita e lavoro a cui cerca di ridare senso ripartendo dalle macerie. Il nesso tra pubblico e privato si salda nel personaggio di Orlando, che diventa figura speculare e allegorica di un’Italia che non può più permettersi la normale quotidianità perché l’anomalia che ne caratterizza la vita istituzionale e sociale si è sedimentata nell’assuefazione. Il caimano è un film schizofrenico, il ritratto poliedrico di un momento storico che scaturisce dall’accostamento di materiali disparati, storie personali e collettive, metacinema e metafora, intimismo e farsa, politica ed emozione, immagini di repertorio e autocitazioni, ricostruzione e verità.
Il caimano rimanda a Il portaborse: il craxismo agli sgoccioli si è evoluto nel berlusconismo attuale, attraverso una classe di governanti ripulita da tangentopoli e rieducata dal Cavaliere. Permane invece il senso di diffuso degrado, di degenerazione sociale in cui valori, opinioni, leggi o ideologie si sono sottomesse alle regole del più forte. Il politico egemone che ha sottomesso il Parlamento e condizionato la vita nazionale, ha inquinato i pensieri e le azioni di tutti da tanti anni, con la contaminazione carsica della televisione di massa (e del messaggio subliminale che essa incarna: il denaro). Attraverso la magnificante lente televisiva il Caimano, predatore politico, trasforma a sua immagine la società per asservirla ai privati intenti ed interessi, creando l’illusione che essi coincidano con quelli degli elettori. Il film di Moretti diventa l’autoritratto di uno Stato in cui l’ironia è ormai implacabilmente assente, fagocitata dall’odio e dalla rabbia, dall’astio verso ogni avversario, ovvero chiunque si permetta di intralciare (con leggi o costituzioni, istituzioni o buone maniere) interessi e intenzioni del Caimano. Questi, come un bambino bizzoso, compra amicizie e lealtà mentre distrugge i dissensi con l’assoluta strafottenza di chi si vuole nel giusto. Perché il resto non serve. E non importa che il Paese sia diventato una triste barzelletta internazionale, talmente paradossale da diventare comica. Non importa che qualcuno abbia realmente creduto in lui, nei sogni o nelle illusioni che gli ha venduto – e mai regalato –, nel liquido amniotico delle lusinghe in cui affogavano le critiche. Il "berlusconismo" vuole far afferire l'Italia ad una sola persona, a cui tutto ormai assomiglia e che nessuno osa avversare.
Eppure del film sul Caimano non esisterà niente, tranne le sequenze sognate da Orlando e scritte dalla giovane regista, sprazzi di un film da fare, necessario e importante che tutti vogliono e nessuno farà. Sono solo immagini immaginate perché nella concreta preparazione del film tutto si dilegua, finanziatori e attori di prestigio si negano, per convenienza o paura, e il corpo sfuggente del Caimano non troverà la giusta incarnazione. Nell'impossibilità di trovare un interprete per il ruolo, Moretti continua il discorso sulla confusione tra persona e personaggio, proprio mentre distanzia da sé il suo cinema, tenta di impedire un'identificazione troppo stringente per dare al film lo spazio critico di una vita autonoma. Anche in questo Moretti si pone all'opposizione di un sistema politico che rischia di trascinare il paese verso una nuova, telegenica e confusa barbarie. Una barbarie preconizzata dall’ultimo Fellini, a cui Moretti, con le dovute differenze stilistiche e plastiche, sembra rifarsi nel ritrarre con disillusione una confusione triste e diffusa, volgare e funesta che nell’altare televisivo trovava la sua manifestazione.
E nel finale torna prepotente il cortocircuito con Il Portaborse, Moretti stesso si riappropria del soggetto e del personaggio diventando il Caimano nell’unica scena del film di Orlando. Una scena che non è ricostruzione giornalistica o metaforica del passato ma pronostico dell’immediato futuro, con la condanna penale dell’imputato fino a quel momento impunito. Riprende del film di Luchetti il tono e l’aspetto del personaggio, pur pronunciando le parole di Berlusconi, e le rende così ancor più selvaggiamente pericolose nell’aizzare la folla ad una giustizia sommaria che infine si avvera e azzera la legge. Mentre il corruttore si allontana, sullo sfondo il palazzo di giustizia è preso d’assalto. Anche dopo la caduta politica del Caimano sarà dura ricostruire sulle macerie di chi ha costruito nel corpo stesso dello Stato il pretenzioso mausoleo nel quale farsi seppellire.

     (tutti i testi sono proprietà di antonio fabbri)
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