Con
Caro Diario Moretti dà l'addio a
Michele
Apicella: assumendo le proprie generalità anagrafiche, egli
porta al culmine
quell'identificazione che il pubblico ha sempre fatto tra autore e
personaggio.
Con la maggiore classicità de La stanza del figlio,
pur riappropriandosi
di elementi riconoscibili, il regista elabora il lutto (figurato, ma
anche
concreto nel racconto della perdita del figlio) del "morettismo".
Parallelamente, dopo la stagione dei Movimenti e l'impegno in prima
persona per
una politica attiva di stimolo alla sinistra, Moretti lascia che a
parlare sia
il cinema, privo ormai del suo corpo e dietro la cortina della finzione.
Nella filmografia del regista, il privato, declinato
in versione autoironica, si è sempre coniugato con il
politico, di cui spesso
si fa specchio deformante. Il produttore, Silvio Orlando, cerca di
tornare in
attività e fare una nuova pellicola, che casualmente
è un film su Berlusconi.
Ma tenta anche e soprattutto, sebbene invano, di rimettere in piedi il
proprio
matrimonio, superare gelosie e incomprensioni, per infine cedere ed
accettare
l’inevitabile separazione. Il suo è un sogno di
normalità, di serenità di vita
e lavoro a cui cerca di ridare senso ripartendo dalle macerie. Il nesso
tra
pubblico e privato si salda nel personaggio di Orlando, che diventa
figura
speculare e allegorica di un’Italia che non può
più permettersi la normale
quotidianità perché l’anomalia che ne
caratterizza la vita istituzionale e
sociale si è sedimentata nell’assuefazione. Il
caimano è un film
schizofrenico, il ritratto poliedrico di un momento storico che
scaturisce
dall’accostamento di materiali disparati, storie personali e
collettive,
metacinema e metafora, intimismo e farsa, politica ed emozione,
immagini di
repertorio e autocitazioni, ricostruzione e verità.
Il caimano rimanda a Il portaborse:
il craxismo agli
sgoccioli si è evoluto nel berlusconismo attuale, attraverso
una classe di
governanti ripulita da tangentopoli e rieducata dal Cavaliere. Permane
invece
il senso di diffuso degrado, di degenerazione sociale in cui valori,
opinioni,
leggi o ideologie si sono sottomesse alle regole del più
forte. Il politico
egemone che ha sottomesso il Parlamento e condizionato la vita
nazionale, ha inquinato
i pensieri e le azioni di tutti da tanti anni, con la contaminazione
carsica
della televisione di massa (e del messaggio subliminale che essa
incarna: il
denaro). Attraverso la magnificante lente televisiva il Caimano,
predatore
politico, trasforma a sua immagine la società per asservirla
ai privati intenti
ed interessi, creando l’illusione che essi coincidano con
quelli degli
elettori. Il film di Moretti diventa l’autoritratto di uno
Stato in cui
l’ironia è ormai implacabilmente assente,
fagocitata dall’odio e dalla rabbia,
dall’astio verso ogni avversario, ovvero chiunque si permetta
di intralciare
(con leggi o costituzioni, istituzioni o buone maniere) interessi e
intenzioni
del Caimano. Questi, come un bambino bizzoso, compra amicizie e
lealtà mentre
distrugge i dissensi con l’assoluta strafottenza di chi si
vuole nel giusto.
Perché il resto non serve. E non importa che il Paese sia
diventato una triste
barzelletta internazionale, talmente paradossale da diventare comica.
Non
importa che qualcuno abbia realmente creduto in lui, nei sogni o nelle
illusioni che gli ha venduto – e mai regalato –,
nel liquido amniotico delle
lusinghe in cui affogavano le critiche. Il "berlusconismo" vuole far
afferire l'Italia ad una sola persona, a cui tutto ormai assomiglia e
che
nessuno osa avversare.
Eppure del film sul Caimano non esisterà
niente, tranne le
sequenze sognate da Orlando e scritte dalla giovane regista, sprazzi di
un film
da fare, necessario e importante che tutti vogliono e nessuno
farà. Sono solo
immagini immaginate perché nella concreta preparazione del
film tutto si
dilegua, finanziatori e attori di prestigio si negano, per convenienza
o paura,
e il corpo sfuggente del Caimano non troverà la giusta
incarnazione.
Nell'impossibilità di trovare un interprete per il ruolo,
Moretti continua il
discorso sulla confusione tra persona e personaggio, proprio mentre
distanzia
da sé il suo cinema, tenta di impedire un'identificazione
troppo stringente per
dare al film lo spazio critico di una vita autonoma. Anche in questo
Moretti si
pone all'opposizione di un sistema politico che rischia di trascinare
il paese
verso una nuova, telegenica e confusa barbarie. Una barbarie
preconizzata
dall’ultimo Fellini, a cui Moretti, con le dovute differenze
stilistiche e plastiche,
sembra rifarsi nel ritrarre con disillusione una confusione triste e
diffusa,
volgare e funesta che nell’altare televisivo trovava la sua
manifestazione.
E nel finale torna
prepotente il cortocircuito con Il
Portaborse, Moretti stesso si riappropria del soggetto e del
personaggio
diventando il Caimano nell’unica scena del film di Orlando.
Una scena che non è
ricostruzione giornalistica o metaforica del passato ma pronostico
dell’immediato futuro, con la condanna penale
dell’imputato fino a quel momento
impunito. Riprende del film di Luchetti il tono e l’aspetto
del personaggio,
pur pronunciando le parole di Berlusconi, e le rende così
ancor più
selvaggiamente pericolose nell’aizzare la folla ad una
giustizia sommaria che
infine si avvera e azzera la legge. Mentre il corruttore si allontana,
sullo
sfondo il palazzo di giustizia è preso d’assalto.
Anche dopo la caduta politica
del Caimano sarà dura ricostruire sulle macerie di chi ha
costruito nel corpo
stesso dello Stato il pretenzioso mausoleo nel quale farsi seppellire.
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