Nel corpo sociale, plurimo e contrastato, degli
Stati Uniti degli anni Sessanta si staglia la figura singola di Bobby Kennedy,
incarnazione dell'ultimo baluardo potenzialmente efficace della visione più
progressista e riformatrice del sogno americano che è stata gradualmente
cancellata nel corso del decennio dai colpi d'arma da fuoco di Dallas, Memphis
e infine di Los Angeles.
Il film di Emilio Estevez mette insieme un cast plurimo e
variegato, uno stuolo di interpreti di primo piano dediti alla realizzazione
del progetto di celebrazione della figura di Bobby Kennedy attraverso gli
argomenti della sua campagna elettorale e la convergenza dei destini di
personaggi che quei temi personificano nel giorno dell'assassinio del candidato
presidente.
La pluralità di personaggi e di situazioni, pur
nell'unità di luogo e di tempo, fa di Bobby l'ersatz di una serie
televisiva di più ampio respiro, condensata e conclusa nel proprio episodio
pilota; il film rimanda, consapevolmente o meno, ad American Dreams che
in quegli stessi anni era ambientata e iniziava con il lutto per la perdita di
JFK. Bobby è una serie in nuce, frustrata dalla fine precoce di un
sogno, interrotto dalla pistola nella cucina dell'Ambassador Hotel, e il cui
esito a distanza è il presente, un tempo in cui le parole e l'impegno di Robert
Kennedy suonano ancora disperatamente attuali dopo uno iato di quarant'anni
passati inutilmente. Bobby è la nostalgia di un'ipotesi differente,
l'auspicio di un cambiamento in nome di un passato che pareva illuminato,
mentre il presente trionfa inesorabilmente nella sua cieca aridità.
Il j'accuse di Estevez alla presidenza Bush è scoperto e
di immediata efficacia, palesato nelle parole di Kennedy e verificato
dall'inazione dell'attuale residente della Casa Bianca, dalla lampante
latitanza sul fronte ecologico, al parallelo dolorosamente evidente tra Vietnam
e Irak; ma il sincero impegno del regista non dissipa la debolezza della
pellicola. Il film ha spazio e vita polemica, ma manca di tessitura emozionale
strettamente cinematografica. La regia polifonica, sebbene si rifaccia a Robert
Altman, non riesce a fornire sufficiente suggestione ai singoli elementi del
ritratto collettivo. Gli attori stessi, divertiti dall'indossare panni alieni o
del tutto conformi alla carriera precedente, al di là delle buone e lodevoli
intenzioni, sono ingessati in performance manichee, stereotipate da una
recitazione affidata ad un'espressività volentieri esasperata.
La presenza di tanti volti variamente noti sembra voler
risarcire dell'assenza dell'unico corpo significativo, Robert Kennedy viene
rievocato solo da immagini d'archivio, dalle parole registrate, dalla memoria
collettiva. È un corpo a cui il film fa costante allusione, mostrandone a
tratti irriconoscibili doppi, frammenti di un'entità che si fa progressivamente
astratta, relegata al fuori campo della storia e dell'inquadratura. La scena è
invece completamente occupata dai corpi fisici degli attori e dalle loro
personali vicende che rimandano alla variegata molteplicità della società
americana, intessuta di ambizioni e classi differenti accomunate però dalla
possibilità o illusione di poter realizzare i propri sogni e ritratti nel
momento di un bivio esistenziale.
Se Zemeckis in Forrest Gump aveva proposto una
sintesi digitale tra passato reale e presente inventato creando una finzione
unitaria, Estevez non riesce a fare il raccordo tra corpi dissidenti, tra
verità singole e collettive, tra realtà diffratte dal tempo dalla storia. Il
corpo virtuale degli attori, finzioni inserite nella realtà storica, e il corpo
reale del senatore Kennedy non si incontrano veramente. Bobby diventa un corpo
evanescente, un’evocazione che rimane distante dalla concretezza degli attori
che abitano il film. Dei presenti feriti nell'attentato, ci informa il cartello
finale, tutti sono sopravvissuti tranne Kennedy. La storia può proseguire
singolarmente, ma quella collettiva è stata interrotta. Le figure virtuali sono
sopravvissute. L'unico corpo mancante è quello del protagonista, e tutti
dovranno farne a meno ed imparare ad elaborare il lutto.
L'Ambassador Hotel stesso, distrutto poco dopo le
riprese, era l'unico vero testimone di quel tempo; ma come quegli ideali, non
ha saputo resistere alla logica del profitto, si è incarnato un'ultima volta
nella pellicola di un film nostalgico che di quegli anni diventa un riflesso,
un miraggio crudelmente ipotetico nella volontà di incidere su un presente che
si sarebbe voluto e sarebbe potuto essere differente e migliore. Il passato
diventa allora solo un pretesto per parlare del presente, con effetto di
risonanza critica sulla attuale congiuntura politica, Kennedy un'icona a cui
rifarsi, disincarnata nella disincantata realtà di questo secolo e dalla
qualità specificamente evocativa. Bobby è meritevole, ma intimamente
contraddittorio, diventa il simbolo e sintomo della sua sconfitta. Nessuna
traccia è rimasta di quel tempo se non nella memoria labile della storia, nelle
macerie di un palazzo distrutto. Il resto è stato travolto dagli anni e dalle
istanze economiche.
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