visione
critica recensioni di cinema, serie tv, televisione, altro... di antonio fabbri |
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Alice in Wonderland di Tim Burton |
Felice di trovarsi nel paese
delle meraviglie Disney, Burton dirige un sequel digitale
dell’antico film di animazione della casa. Tutto viene ridetto
nella nuova pellicola, con effetto volutamente straniante.
Perché Alice è già stata là e il viaggio
nel Paese equivale ad un giro nei meandri di una memoria sommersa e
allucinata, un flashback animato in cui paure e visioni prendono vita,
relativamente. Prosecuzione narcotizzata, il film di Burton recupera i
personaggi canonici nella loro accezione disneyana privandoli delle
forme umane per adeguarli al cartone e lascia intatte le fattezze alle
sole Alice alla virginea Regina Bianca. Ben lungi dall’essere
sano, il personaggio della Hathaway batte in frigida rigidità la
cattiva regina bidimensionale, rimanendo contorta nell’unica
ossessione della normalità a cui vuole assoggettare un mondo per
sua natura ad essa alieno, con speculare attivismo tra sovrane sorelle,
freak palese e occulta. Evocato come un’antica ossessione, il
percorso nell’antiquato filmato si fa evanescente, richiamato dai
continui rimandi e dalle allusioni costanti, facendo sì che il
nuovo mai si aggiorni nel rifacimento ma prosegua nel più
semplice e ossequioso proseguimento. Il passato più glorioso del
primo passaggio di Alice alberga in ogni inquadratura e nel testa di
ogni spettatore, invitato ad ogni piè sospinto a rivedere
l’originale, di cui questo si fa ombra e protezione. È
come andare per luoghi armati di una guida, mentre si confronta il
narrato e il visto cercando di non mettere il piede in fallo. Il rischio di cadere e rimanere immoti imprime una dinamica trascinante al film, così come la follia imperversa per il Paese delle Meraviglie, mentre le memorie vacillano tra fumi felini e lisergici, il sorriso stampato si stempera e si fissa nel ghigno fatale in cui si ferma la ragione, mentre il corpo avanza senza freni. Imperversano battaglie e duelli, partite a scacchi e giochi di corte nel risiko del governo del sogno, trascinato nell’azione che si perde nel contorno della scenografia in cui affondano le radici dello stile del film. Sequenze di balletti armati e battute infiorettate d’arguzia movimentano un giro di giostra fantastico nelle memorie allucinate dell’infanzia infine riconquistata della protagonista. Se la Regina vittoriosa fa di Alice la sua eroina e il cavaliere della norma prevalente, questa da tutto si deve congedare per tornare alla diffusa normalità del vivere civile, dopo l’evasione dell’ultima follia pacificata nel candore apparente. Solo dopo quello scarto e viaggio nel ventre della autodeterminazione, Alice, che non abita più qui, può emanciparsi dalle frustrazioni e concedersi la scelta delle proprie intenzioni, consapevolmente. Senza accorgersi, però, di aver lasciato il Paese in balia di una solo più disciplinata follia. |
(tutti i testi sono
proprietà di antonio fabbri) |
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