Non splende quasi mai il sole nel
film di Marc Webb, a dispetto del titolo (500
Days of Summer), sulla storia d’amore dei suoi protagonisti bloccati in una
perenne mite mezza stagione. E la Los
Angeles in cui è ambientata non brilla per luoghi noti, si
camuffa con il romanticismo che siamo soliti associare a New York, nasconde i suoi
pochi edifici riconoscibili per trafugare momenti di confidenza in angoli di
verde nascosti tra fiumi d’asfalto. Film spaesato e ingannevole, (500) giorni insieme non si vuole una
commedia romantica, perché non ne ha l’esito scontato, non pretende di farsi cronaca
di un amore perché non ne possiede l’andatura cronologica. Tra i continui e
postmoderni salti nel tempo, avanti ed indietro a cercare i momenti di bellezza
all’interno del rancore, per trovare la falla nell’apparente pienezza, il film
brilla per stile e armonia, a dispetto del sole che latita ad illuminare una
felicità che si sottrae progressivamente. Perché non tutte le storie sono
condivise e di fonte al muro non si può che andare a sbattere, con eleganza o con
disperazione, per rassegnazione o per tormento, o, semplicemente, alternando i
vari sentimenti alla ricerca di una spiegazione assente ma con le orecchie
immerse in un mondo di suoni e canzoni che mitighi il furore e il dolore. E poi
andare oltre.
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