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Nella sezione la nostra Montauro non poteva mancare uno spazio dedicato ai personaggi che hanno reso celebre il nostro paese con le loro attività.

Questa pagina vuole essere un tributo, spesso postero, a questi grandi Montauresi. 

Antonio Zangari

Antonio Zangari (Montauro 28/8/1899-18/3/1986) era un maestro dell'intarsio, un lavoratore tenace e rude, una durezza , la sua, tipica della gente calabra che non accetta compromessi e non patteggia; quella durezza (ma spesso ingentilita dalla bontà) che è nel volto della gente della nostra terra.
Il suo desiderio di esprimere, dire, raccontare Qualcosa con i mezzi più semplici l'ha portato a lavorare con le foglie secche dei fichi d'india che lui stesso si procurava in compagna.
Dopo aver separato il reticolato che si trova nelle foglie di questo frutto, l'artista disegnava su un foglio di carta la figura dell'opera da realizzare la quale veniva successivamente tagliata in diversi pezzi.
Queste forme venivano poi riportate sul reticolato tagliate, in seguito, nelle varie misure. Eseguita questa operazione preliminare, Zangari, poneva le sezioni del reticolo al sole dove si la
sciavano ad asciugare per uno o più giorni, a secondo del colore da dare ai disegni.
Si e trattata di una tecnica nuova, non appresa da nessun maestro. Nei suoi quadri trovano posto oggetti semplici, utensili d'uso comune, scene di vita quotidiana. Nei suoi ritratti si trovano visi
bellissimi e sofferenti: volti di donne sciupate dalla fatica;visi di fanciulli con gli occhi sgranati di azzurro e di meraviglie; facce di antichi pescatori. In un mondo che si andava meccanizzando, Zangari è rimasto un puro : un poeta, dal cuore semplice e buono; un cantastorie che ha raccontato con voce fioca e lenta la vicenda della sua terra e della sua gente.
Ha conosciuto anche le sofferenze provocate dall'emigrazione, questo falegname montaurese. E' stato, in poche parole, un uomo come tutti gli altri , non era ricco , ma aveva una dote unica: I'arte. Tutte le opere di Antonio Zangari sono sparpagliate a Montauro e anche fuori , così che abbiamo la fortuna di ammirare alcuni suoi quadri solo nel museo parrocchiale ed a Soverato.
Quanto riputato di seguito è una delle più note descrizioni del nostro paese, scritta da Antonio Zangari, che oggi, forse, pochi ricordano, ed è proprio per riscoprire quest'uomo che abbiamo frugato nei nostri cassetti e nella memoria dei più anziani:

"La strada bianca che sale da un mare di cobalto s'inerpica tortuosamente tra file di ulivi argentei e siepi di mortella. Il paese è in alto, abbarbicato fortemente ai fianchi scoscesi della
collina gialla di ginestra dorata. Le case sono addossate, quasi a difesa, l'una dall'altra e, negli stretti vicoli, il selciato è a grandi vuoti e smosso. Le botteghe piccole e anguste si affacciano
sull'unica strada. I vecchi marinai, accovacciati sui "pezzi" della antica Torre che domina il paese, si scaldano al tiepido sole di questo mite inverno e si scambiano ricordi e battute pungenti come
coltellate. Al Vespro, le donne sciamano silenziose. Pochi vecchi, ci sono: gli altri, i giovani, se ne sono andati. Fuggiti in busca di pane e di ventura allo sbaraglio del capitale straniero, scacciati dalla miseria della terra avara che li toglie ai campi
".

 

Francesco Pellegrini


Francesco Pellegrini che deve essere ricordato proprio in questo momento in cui, nella novità dell'autonomia regionale, la Calabria trova occasione di prendere consapevolezza di se stessa, delle sue tradizioni culturali, dei suoi valori, in una parola, della sua importanza nella vita dell'intero paese. Magistrato della Corte suprema, durante il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica,Pellegrini è stato uno di quei Montauresi che ha dato lustro al nostro paese.
Era un uomo, smisurato, dalle mani e dal viso enormi apparentemente non si era liberato dalla timidezza della infanzia in parte dissimulata dietro una sanguigna aggressività, dall'accento marcatamente montaurese, sospinto anche dai sottili consigli della moglie la nicastrese Elisa De Sensi, si trasferì a Roma,in un ambiente chiuso, ostile, diffidente, strettamente conformista, si era fatto subito rispettare non soltanto per la forza dell'intelletto. Nella capitale iniziò la sua carriera di magistrato gli ideali fascisti,tra i quali la benevola protezione della monarchia, rapirono il nostro Francesco Pellegrino, convinto estimatore del regime monarca, che ben presto diventò sostenitore del duce.
Nel 1943, con il crollo del fascismo con il paese abbandonato 
alla disperazione, stremato dalla lotta fratricida, devastato da due eserciti ugualmente nemici, iniziarono i suoi ripensamenti sulle scelte fatte, in precedenza, nel sostenere la causa fascista ma il susseguirsi della storia italiano trovò il nostro illustre compaesano, ancora una volta coinvolto, nelle vicende che diedero vita alla repubblica.
Nel giugno del 1946 l'episodio più significativo: prima della riunione della Corte di Cassazione per la proclamazione del risultato del referendum, la monarchia sabauda giocò le sue ultime disperate carte senza temere il pericolo di una seconda guerra civile.Si dice che qualcuno sia entrato-senza averne diritto - nella sala della riunione a sostenere contestazioni assurde sul regolare svolgimento del referendum, sostenendo di essere a conoscenza di brogli.
In quella circostanza,Francesco Pellegrini ebbe la sua grande giornata:respinse i prepotenti, incoraggiò i deboli. si alleò con, i migliori ed i più responsabili, avvalendosi tanto della sua presenza fisica quanto della forza degli argomenti, raccolse alla fine, intorno a se la grande maggioranza dei suoi colleghi. Aveva votato per la monarchia, ma si adoperò perché la Repubblica nascesse viva e vitale, nel crisma della più assoluta legalità, senza macchia e senza paura.
Nei giorni che avevano preceduto la storica riunione, la sua casa era stata uno dei centri nevralgici di una silenziosa ma feroce battaglia: De Gasperi,Togliani, da una parte, i più noti esponenti della conservazione dall'altra.
La sera prima, poi - così racconta qualcuno che gli era molto vicino - c'era stato anche il generale, con una onorificenza sabauda, in un grande astuccio, sotto il braccio e la improvvisa devozione di Umberto sulla bocca.
Ma il destinatario aveva avuto una battuta inattesa per un uomo della sue idee: troppo tardi, non c'erano ormai più né ordini né collari né guinzagli. A coloro che gli telefonavano da ogni parte congratulandosi, aveva, invece, dato una interpretazione poco esaltante, anzi di stretta osservanza burocratica della sua azione in difesa
della repubblica; si era soltanto limitato a riconoscere ed a fare riconoscere che un numero era più grande di un altro di circa due milioni di unità. Quando, molto tempo dopo, giunse il momento della sua candidatura alla più alta carica della magistratura (notoriamente la nomina del Presidente della Corte Suprema è fatto politico nel nostro paese) non gli fu perdo-
nato di non essersi inserito opportunamente nel sistema, all'ombra del nuovo potentato. gli furono spietatamente addebitate. tra l'altro, sul piano politico le sue debolezze per Togliatti e il legame fraterno con il comunista Fausto Gullo, che
nel 1946. ministro di grazia e giustizia, gli aveva affidato la riforma del codice di procedura civile. Così chiuse la carriera senza raggiungere il soglio del Palazzaccio colui che. insieme a pochissimi altri, è ritenuto avere appartenuto alla più stretta aristocrazia della magistratura del nostro paese. Francesco Pellegrini morì a Roma nel 1962.
Dopo la sua morte la moglie fece pubblicare la traduzione, che aveva fatto, delle satire di Giovenale.

 

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