DIFFERENZE TRA
PROSTITUZIONE E GIOCO D’AZZARDO.
Entrambi sono
definiti vizi e come tali sono quasi sempre e ovunque stati considerati anche
quando perfettamente istituzionalizzati o tollerati. Per entrambi vale che
l’ampiezza della loro diffusione, cioè pratica, è agevolata o meno dalle leggi e
dalla loro maggiore o minore applicazione, anche perché entrambi i fenomeni hanno
tra i pilastri “l’adescamento”. Lo Stato pertanto dovrebbe contrastarli
purtuttavia cercando di lasciare intatta la libertà individuale consapevole. Non
è certo nell’interesse di qualsiasi Stato che le sue forze giovanili magari
particolarmente dotate anche in qualche altro campo, finiscano a far le
prostitute sol perché attraenti ed immediatamente
retribuite, prima di aver potuto “testarsi” e formarsi in qualche altra
professionalità; infatti difficilmente si riesce ad avviare bene alla “professione”
della prostituzione chi ha già più di vent’anni. Anche il gioco patologico non
fa che deviare energia fisica, psichica e mentale su esiti distruttivi invece
che costruttivi.
Ma c’è chi dice anche
che lo Stato potrebbe trar vantaggio, o limitare i danni, tassando questo
commercio considerato inevitabile.
Cominciamo dunque
un’analisi dettagliata: diffusione. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo ( qui si intende solo quello attualmente già legale ), si sa
che con l’avvento delle macchinette in bar e tabaccherie, in alcuni casi si è
raggiunto un livello di emergenza sociale che, dove si è voluto risolverla, è
stata semplicemente risolta attraverso l’intervento mirato dei poteri
istituzionali locali. Per quanto riguarda la prostituzione, pur dicendosi che
essa sarebbe il mestiere più antico del mondo e che è impossibile evitarla, vi
sono state società estremamente liberali, tipo la nostra degli anni ottanta, in
cui essa era ridotta ad un minimo appena percepibile, dove le nuove leve erano
veramente scarsissime ed era quindi anche quasi scomparsa ogni forma di
sfruttamento organizzata, purtroppo alacremente ricomparsa insieme alle nuove
ondate migratorie dovute prima alla miseria dell’Est Europa e poi a quella
dell’Africa. A scanso di equivoci, non è però possibile utilizzare questo
contro l’accoglienza, comunque la si pensi in materia di immigrazione. Anzi
l’incontro/scontro tra culture diverse, ma in questo caso forse solo tra
situazioni diverse, dovrebbe servire proprio a far prevalere la migliore. Qui
desidero solo analizzare il fenomeno in sé della prostituzione. Continuando,
dunque, ci sono state invece società ( Venezia del
‘600?) in cui praticamente ogni donna faceva la prostituta, e non solo se
povera, ma a volte persino se nobile. Viene da sé, ed è fortemente comprovato
anche da tutti i dati attuali, che la prostituzione prospera nella miseria,
materiale e spirituale, ed anche che essa è direttamente proporzionale alla
disuguaglianza sociale tra uomo e donna. Più del 95% della prostituzione
sessuale ha come oggetto le donne. La prostituzione non è quindi un fenomeno
indipendente, casuale, ma al contrario essa è fortemente dipendente da
condizioni oggettive ( per cui diventa ingenuo parlare
di scelte vocazionali profonde ) ed anche dalla volontà sociale di controllarla,
in un senso o nell’altro, seguendo interessi diversi.
Veniamo ora alle
differenze tra prostituzione e gioco d’azzardo. Il gioco è un’attività
estemporanea e non necessaria, quindi sicuramente scelta, pur essendo
schiavizzante; fruitore e vittima sono la stessa persona; l’azione in se’ del
gioco non è lesiva o nociva, ma lo diventa superato un certo limite. La
prostituzione, per quanto riguarda il fruitore consiste nell’usare una persona
invece che una macchinetta; per quanto riguarda la prostituta, consiste in un
“lavoro” che non prevede scelta di clienti, pur anche quando può essere ammesso
un certo margine di rifiuto, e che è necessario per la sopravvivenza,
altrimenti non è più definibile come prostituzione ma diventa semplicemente il
gioco estemporaneo di qualche annoiata o curiosa. Che poi chi si ritrova a
praticare il “mestiere” debba ad un certo punto accettarlo, in vario modo
giustificandolo o valorizzandolo per qualche possibile aspetto, ormai convinta
di non poter più trovare alternative, diventa necessario per continuare a
vivere e darsi un senso; far buon viso a cattiva sorte, se si pensa che questa
sia inevitabile, non diventa certo prova di una libera scelta iniziale. A chi
però dice che è un mestiere come un altro vorrei far notare che, per offendere
qualcuno, non gli ci si rivolge mai dandogli dell’idraulico (
notoriamente considerati evasori ) o dell’avvocato ( altra categoria
spesso accomunata alla nostra ) né del figlio di vigile urbano. Alle donne poi
che si scagliano inferocite contro le puttane disoneste che si arricchiscono
facendo la bella vita e che non pagano le tasse, vorrei fare una semplice
domanda, tanto più se intendono dissociarsi da ogni moralismo
:”Perché se è così facile, troppo bello, o così conveniente, tu non hai scelto di fare la
puttana? Per i tuoi valori personali? Cioè perché sotto sotto sei più virtuosa?
O cioè perché puoi farlo solo con chi ti piace?”
Forse ad ogni
donna, passata la quarantina, è capitato di pensare una volta nella vita, di
finire a prostituirsi; se ci si ripensa bene ci si ricorda anche che ciò è
avvenuto nei momenti di disperazione e solitudine più cocenti e che ciò che ne
ha impedito la realizzazione è stata l’incapacità psicofisica di adattarsi ad
una violenza così disgustosa ola semplice considerazione di tutti i rischi e
che alla fine non sarebbe stato poi così conveniente, oppure, fortunatamente la
residua speranza di poter ancora trovare qualcosa di meglio, e… un amore. Come
si può pensare allora che vivere di prostituzione possa essere una vera scelta,
se esiste una qualunque alternativa in cui non sia incluso il comunque sempre
possibile abuso dei superiori? Certo tra svolgere una qualsiasi fatica, senza
garanzia di rispetto e sicurezza, rimanendo comunque esposte alla violenza, o
farsi pagare invece direttamente per ogni violenza subita, la scelta mi pare
abbastanza obbligata, adattandosi poi a tentare in qualche modo di interagire
usando quel che si può per limitare i danni ed aumentare il “vantaggio”.
Ma se partiamo dal
presupposto che il sesso ( non oso dire l’amore ) sia
un piacere ed un diritto per ogni donna, come fa essa a scegliere di praticarlo
con chi è brutto e cattivo? Se essa baratta il suo piacere, quello che tutti
cercano e per cui alcuni sono disposti a pagare, con il costo di un paio di
scarpe economiche, non mi pare poi una gran scelta.
Ma quand’anche una
prostituta avesse scelto il suo mestiere, deve essere in grado di poterlo
lasciare senza rimanere marchiata a vita; cosa che avverrebbe in ogni forma di
regolarizzazione. E forse è proprio questo che vogliono tanti che contradditoriamente rifiutano di fare i “moralisti”. Perciò
la legge attuale che non persegue chi si prostituisce, ma l’eventuale
sfruttatore o favoreggiatore, è la soluzione più giusta e liberale. Non
presenta contraddizione perché chi usufruisce della prostituzione abusa dello
stato di bisogno di chi si prostituisce, e d’altronde viene chiamato in causa
solo quando questo diventa un problema, per motivi diversi.
Si dice anche che
se non ci fossero clienti nemmeno ci sarebbe chi si prostituisce; e nell’epoca
della massima libertà sessuale, in cui basta entrare in una discoteca per
trovare persone disponibili gratis, cosa può indurre un uomo a pagare se non il
fatto di sentirsi libero da ogni obbligo umano minimo e totalmente padrone? Ora
però non voglio neanche scaricare ogni colpa su chi, anch’egli magari in un
momento di sconforto e solitudine estremi, o cedendo alla curiosità una volta
nella sua giovinezza, ricorre a quanto si dà per scontato; se lo fa con
rispetto, gentilezza e dando più di quanto richiesto come segno non di
apprezzamento per la prestazione, ma per la bellezza della persona che si
meriterebbe altro; magari anche cercando la meno giovane possibile, per evitare
appunto al massimo il favoreggiamento.
Addentriamoci
quindi nella sorgente delle tanto accese quanto sterili polemiche che
ciclicamente vengono riattivate quando si vogliono attirare i voti di chi non
riesce a uscire dalla confusione più totale. Contro ogni dato, esperienza,
ragionevolezza, non si può proprio sostenere che legalizzare la prostituzione
limiterebbe tutti i fenomeni malavitosi associati. Davvero si pensa che i
trafficanti di merce varia che mancano di rispetto ai passanti ed urinano
apertamente su tutto per strada, come più volte mostrato in tv, svanirebbero
magicamente con la riapertura delle case chiuse o con la legalizzazione di
certe droghe? La malavita per definizione si muove sempre fuori da ogni legge e
non paga certo le tasse. Al contrario di ciò che avviene ora, sempre alla fine
degli anni ottanta, le vie dedicate alla prostituzione erano quelle più al
riparo dalla microcriminalità, proprio per evitare il richiamo delle forze
dell’ordine. Questo a dimostrazione che l’insicurezza delle strade può essere combattuta
solo volendo davvero farlo : il marciume, la
microcriminalità, può essere tolta solo
contrastando il marciume stesso, culturalmente, riappropriandosi attivamente
del territorio da parte dei cittadini in modo solidale tra loro, e con un
costante intervento delle forze dell’ordine, non certo rendendo legale ciò che
non può esserlo.
Inoltre non so
proprio come si faccia a ritenere che tassando le prostitute vi sarebbero
maggiori entrate per lo Stato quando è pieno di categorie più che legali e
controllabili che evadono le tasse allegramente.
Prendere una
tangente su alcune forme di prostituzione da parte dello Stato, oltre che farne
uno sfruttatore, non elimina le altre forme, come ormai ampiamente documentato
in altri Paesi, e come già si sa che avveniva anche qui all’epoca dei casini,
né offre maggiore sicurezza o libertà alle prostitute, come pure chiaramente
dimostrato da quanto avviene nella patria storica della prostituzione
legalizzata, l’Olanda: è infatti riconosciuto che continuano a persistere stati
di vera e propria schiavitù, con relativo mercato sommerso di persone.
D’altronde non
potrà mai essere diversamente perché la prostituzione non è un lavoro: è
un’esposizione continua ad una violenza che si accetta sorridendo a denti
stretti per non subire di peggio e ritagliarsi una sopravvivenza.
Ma quale madre
potrebbe mai accettare che la figlia fosse regolarmente iscritta nelle liste dell’inps come prostituta?!
Anche sul gioco
d’azzardo non è bello che lo Stato prenda una tangente. Qui però un’eventuale
tassazione non peserebbe sulle vittime ( i giocatori )
e non costituirebbe quindi né sfruttamento né favoreggiamento laddove i
fornitori continuassero ad essere estranei ad ogni istituzione pubblica e dal
momento che la loro attività è già comunque lecita e riconosciuta. Diminuirebbe
semplicemente i loro guadagni, così costituendo anche un certo deterrente,
oltre che un’eventuale fonte di “ritorno” per lo Stato. Tassare le prostitute
costituisce invece direttamente sfruttamento.
Per quanto riguarda
ancora il gioco d’azzardo il vero problema resterebbe dunque solo la
diffusione. Come detto all’inizio l’adescamento può essere evitato solo per
intervento diretto, cioè intervenendo su luoghi, orari, divieti o permessi e
controlli. E non si eliminerebbero comunque le forme illegali collaterali. Il
contrasto a queste ultime anche qui non può che continuare ad avvenire che per
via diretta. Legalizzare da una parte infatti non significa automaticamente
eliminare ciò che avviene per via illegale da altre parti, come d’altronde ha
sempre dimostrato l’esistenza del contrabbando, se non c’è la volontà di
estirparlo efficacemente, come già si potrebbe fare anche oggi. Ma soprattutto
ciò che è male non diventa bene perché viene “regolarizzato”.
In sintesi tassare
il gioco d’azzardo non appesantisce i danni possibili alle persone, a
differenza di quanto avverrebbe per la prostituzione, oggi “libera” e
giustamente non riconosciuta come professione.