SALVATORE CULOTTA, il partigiano "CEFAS"

"Se avessi saputo che mi avresti portato via la figlia, invece di curarti avrei preso il fucile".

Queste le parole scherzose rivolte dal suocero a Salvatore Culotta, il partigiano "Cefas", che, ammalato di broncopolmonite, trovò rifugio in una delle famiglie più in vista di Tiglio (Lucca), dove venne generosamente curato nonostante i rischi che comportava nascondere un partigiano, e dove trovò l'amore. Lui e la figlia del suo ospite, Vera, pur essendo entrambi sentimentalmente impegnati, capirono subito che qualcosa di speciale sorgeva tra loro, e a guerra finita, entrambi interruppero i loro legami e decisero di sposarsi e di andare a vivere in Sicilia.
La vita di Salvatore Culotta, nato il 30 ottobre 1920 e morto il 16 febbraio 1989 a Cefalù, è una vita "da film".Era marinaio a La Spezia alla data dell'armistizio (1943), e spostandosi verso sud decise di aggregarsi in Toscana ai gruppi partigiani della Garfagnana guidati dal comandante "Ernesto".
Col nome di battaglia di "Cefas", scelto in omaggio al suo paese d'origine, partecipò a varie azioni militari. La ferocia dei tedeschi durante la ritirata creava odio nelle popolazioni, che manifestavano invece grande solidarietà nei confronti dei partigiani. Cefas viene ricordato come commilitone da Lindano Zanchi , vicecomandante di Manrico "Pippo" Ducceschi della XI formazione operante nella zona dell'altopiano delle Pizzorne, valle della Pescia, vallata della Lima, Garfagnana, Alpi Apuane nella loro parte meridionale:
"Era fra noi un siciliano ed era Cefas (Salvatore di Cefalù)"
Zanchi riferisce delle azioni militari a cui partecipò Cefas, che viene indicato con l'appellativo di "il Siciliano". Una è la liberazione di Molazzana:
"Arrivati in paese, senza incontrare resistenza, feci disporre le postazioni dei Bren e detti ordine agli altri “ragazzi”, armati di fucili semiautomatici, di coprirci mentre con altri due compagni, il Siciliano, e, forse, Ulisse Lena mi avviai su per il castagneto che sovrasta l’abitato. Giunti in cima ci mettemmo a osservare attentamente il luogo, al cui centro erano campi coltivati e sulla nostra parte una casa colonica in disuso.
Il Siciliano entrò nei campi, recintati da una siepe di pruni, da dietro la casa; e nello stesso momento mi accorsi che, una fila di elmetti tedeschi si stagliava oltre e a filo dell’altezza della siepe aldilà del campo coltivato che lo recintava. I tedeschi erano seduti al bordo del castagneto adiacente, ma posti più indietro. Cercai di richiamare l’attenzione del Siciliano, il quale intento a guardare altrove, non si era reso conto del pericolo. Vedendo muoversi alcuni dei tedeschi, mi accingevo a sparare con il Bren che s’ inceppò.
Fortunatamente il mio compagno sentì qualche rumore, si girò, mi vide allarmato e in posizione di sparo cosicchè capì immediatamente la situazione e, al mio cenno, ci segui. Tutti insieme: il Siciliano, Ulisse ed io ci buttammo giù per il castagneto dal quale eravamo saliti e, appena fummo fuori pericolo, quasi all’asfalto della strada, i nostri compagni, avvistati i tedeschi, cominciarono a sparare riuscendo a coprirci. I tedeschi si ritirarono e si ripiombò nel silenzio. Trascorsi una ventina di minuti tornammo sul poggio; non c’era più nessuno. Nel breve giro di mezz’ora circa, cominciò un fitto tiro di mortai. Non avemmo nè morti nè feriti e restammo a Molazzana ancora in attesa di notizie.
Di lì a pochi giorni, il comando ci richiamò per lasciare il posto ai locali partigiani "
Cefas è presente anche alla battaglia di Sommacolonia:
"La notte della vigilia di Natale fummo riportati a Barga con camionette dell’OSS perché era iniziata la battaglia su a Sommocolonia ...Ricordo che incontrai Cefas e che salii al piano di sopra da dove si vedevano i tiri di partenza delle cannonate e i proiettili traccianti che colpivano il paese.
Il mio gruppo era composto da sette o otto uomini di cui sicuramente ricordo Ulisse Lena e il Siciliano (Cefas)".
Aveva combattuto con coraggio facendo una scelta di libertà, Salvatore Culotta. Ma non amava ricordare quei tempi. A chi gli chiedeva qualcosa, rispondeva che l'unica cosa che voleva ricordare era la cosa più bella che gli era successa, l'aver trovato la compagna della sua vita.



(grazie alla figlia Sara per il contributo dato alla ricostruzione)

Angela Diana Di Francesca

per la pubblicazione sul web e in cartaceo citare la fonte, grazie

pubblicato su "Espero"