L'Osservazione Visuale

L'osservazione visuale di comete, con quali strumenti, metodi di osservazione, stime e come raccogliere ed elaborare i dati.

 

Parlare di osservazioni visuali oggi, in un'epoca dominata dalla moderna tecnologia CCD, può sembrare anacronistico. I risultati ottenibili con questi sensori elettronici sono infatti irraggiungibili visualmente infinitamente superiori sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo. Se questo è un dato di fatto indiscutibile, di contro dobbiamo considerare che il problema dell'osservazione del cielo, e delle comete nel nostro caso specifico, va visto in un'ottica più ampia, dove ogni tecnica osservativa non è in conflitto con nessun'altra, ma anzi riveste un suo ruolo specifico. Ogni tecnica, con i propri pregi e difetti, si rivela infatti più idonea di un'altra a un particolare tipo di lavoro, e proprio guardando le cose in questa ottica scopriremo come l'osservazione visuale sia tuttora di grande attualità.

Cominciamo intanto a esaminare i pregi dell'uso del nostro occhio come strumento di osservazione: il primo vantaggio e dato dal fatto che chiunque anche con strumenti modesti, può intraprendere l'osservazione delle comete quelle più luminose vengono seguite di norma con semplici binocoli (da 50 80 mm di apertura) e l'unico accessorio aggiuntivo richiesto è un solido treppiede su cui fissarli. Comete più deboli richiedono telescopi di 15-20 o più cm di apertura, che consentono di arrivare a osservare oggetti anche di magnitudine 11-12.Visualmente spingersi oltre la magnitudine 12-13 è molto difficile, ma ogni anno vi sono diverse comete che varcano questa soglia.

Come primo approccio, l'osservazione visuale ha anche il notevole pregio di permetterci di acquisire una certa familiarità con le comete e i loro bizzarri comportamenti, regalandoci un bagaglio di conoscenze difficilmente ottenibile in altro modo. Inoltre, continuare a utilizzare le stesse tecniche applicate nei secoli scorsi ha un grande valore dal punto di vista storico; senza un anello di congiunzione diventa infatti impossibile il confronto tra le osservazioni moderne e quelle del passato.

Da un punto di vista strettamente scientifico, se ci riferiamo alle moderne ricerche professionali sulle comete, l'osservazione visuale ha un valore generalmente molto limitato. In alcuni casi, con l'aiuto di osservazioni effettuate con altre tecniche, è stato possibile mettere in relazione la magnitudine visuale stimata con la produzione del radicale OH da parte del nucleo, ma in generale l'interpretazione dei dati visuali presenta sempre un notevole margine di incertezza. Il ruolo più importante, attualmente insostituibile, svolto dall'osservazione visuale e dagli astrofili in generale, e connesso alla possibilità di effettuare una sorveglianza continua dei vari oggetti da parte di osservatori distribuiti su tutto il globo. Eventi insoliti come outburst, frammentazione del nucleo, ecc. non di rado sono stati rilevati proprio visualmente.

Osservare tempestivamente questi fenomeni dandone comunicazione ad altri è di importanza vitale per lo studio e la comprensione delle comete. Vi e infine l'aspetto "ludico" che caratterizza l'osservazione del cielo: gli astro nomi dilettanti guardano il cielo per passione, perché si divertono, e in questo nulla può sostituire il fascino e la bellezza di una cometa luminosa osservata direttamente con i propri occhi. Le recenti apparizioni della Hyakutake e della Hale-Bopp sono certamente da annoverare tra gli spettacoli più entusiasmanti offerti dalla natura. Tutti noi abbiamo immortalato questi avvenimenti con fotografie spettacolari e riprese CCD, ma l'emozione più forte e stata regalata certamente dalla visione diretta di questi indimenticabili oggetti.

Un ultimo aspetto molto importante riguarda la ricerca di nuove comete: a dispetto dei più moderni mezzi di osservazione, molte scoperte vengono tuttora effettuate visualmente; il vantaggio in questo caso e quello di poter esplorare un'ampia regione di cielo in un tempo relativamente breve. Non mancano, come nel caso clamoroso della 1995 01 Hale-Bopp, le scoperte casuali, sempre effettuate visualmente. Se, come vedremo più avanti, non sussistono particolari problemi relativamente allo strumento da utilizzare per l'osservazione, un grande ostacolo e dato invece dallo stato del nostro cielo, sempre più inquinato e sporco. Le comete, essendo corpi di tipo nebulare, risentono molto della brillanza del fondo cielo, soprattutto nella tecnica visuale. A questo proposito e molto importante ricordare che e possibile portare localmente il proprio contributo alla lotta contro l'inquinamento luminoso; in questi anni sono state infatti approvate finalmente alcune leggi in materia, e altre sicuramente seguiranno.

Riuscire ad arginare il crescente inquinamento luminoso e un importante obiettivo che vede impegnati fianco a fianco professionisti e astrofili. Le località non disturbate da inquinamento luminoso si restringono purtroppo di anno in anno. Per dedicarci all'osservazione delle comete saremo generalmente costretti ad allontanarci dai centri abitati per cercare un cielo scuro e trasparente. Idealmente dovremmo poter accedere a un sito di alta montagna ad almeno 1000-1500 m di quota e privo di inquinamento luminoso, ma è una soluzione che per la maggior parte di noi può essere praticata solo saltuariamente ed è obbligatorio accontentarsi di soluzioni di compromesso. Va da sé che l'uso di strumenti facilmente trasportabili e un requisito fondamentale per condurre osservazioni con una certa continuità.

 

GLI STRUMENTI PER L'OSSERVAZIONE VISUALE

Nell'osservazione visuale i due parametri fondamentali che caratterizzano lo strumento sono il diametro dell'obiettivo e l'ingrandimento. L'apertura relativa, cioè il rapporto tra lunghezza focale e apertura dell'obiettivo, non ha particolare rilevanza, contrariamente con quanto avviene nella fotografia e il CCD. Con queste due tecniche il valore dell'apertura relativa, indicato usualmente con f/ o F/D, determina la luminosità dello strumento, cioè la sua capacita di raggiungere più o meno velocemente il limite di saturazione dato dalla luminosità di fondo del cielo. Uno strumento luminoso (ad esempio, un f/2) è più adatto a registrare oggetti diffusi ma risente maggiormente della luminosità del fondo cielo giungendo a saturare l'immagine con un tempo di esposizione relativamente breve. Uno strumento poco luminoso (come un f/10) risente invece meno della luminosità del fondo cielo, ha una magnitudine limite stellare più spinta, ma per registrare oggetti nebulari richiede tempi di esposizione che, soprattutto in fotografia, diventano proibitivi. Cosi, mentre per la tecnica fotografica, e in parte anche per quella CCD, e più conveniente orientarsi verso strumenti più luminosi, che tra l'altro offrono il pregio di inquadrare un campo più ampio, per la tecnica visuale il problema è completamente diverso.

Infatti, almeno dal punto di vista teorico, due strumenti di uguale diametro e di diversa apertura relativa forniscono immagini identiche, purché usati con lo stesso ingrandimento. Esistono in realtà delle differenze, soprattutto utilizzando elevati ingrandimenti: uno strumento poco luminoso è in grado di fornire buone immagini anche con oculari mediocri, mentre uno di corta focale per avere una resa analoga richiede oculari di focale più spinta e di eccellente qualità. Vi sono poi ulteriori differenze introdotte dalla presenza o meno dello specchio secondario, dai suoi sostegni e dall'entità dell'ostruzione. Generalmente, pero, nell'osservazione cometaria si utilizzano ingrandimenti medio-bassi, per cui le eventuali differenze risultano in generale trascurabili. Un telescopio di tipo Schmidt-Cassegrain (come i classici Celestron e Meade) può essere quindi utilizzato agevolmente alla pari di un Dobson o di un rifrattore. L'ingrandimento di base da usare deve essere calcolato in modo che la pupilla di uscita dello strumento (il diametro del fascio di raggi paralleli che esce dall'oculare) abbia un diametro intorno ai 4-5 mm. Il valore della pupilla di uscita, che indicheremo nel seguito con PU, si calcola dividendo il diametro dell'obiettivo per gli ingrandimenti usati. Cosi, ad esempio, un binocolo 10X50 ha una PU di 5 mm, mentre un telescopio di 200 mm usato a 50X ha una PU di 4 mm.

Il valore massimo utile della PU e determinato dal diametro della pupilla dell'occhio dell'osservatore. Mediamente, per un occhio adattato all'oscurità, il valore massimo e intorno ai 6-7 mm, pur variando sensibilmente da individuo a individuo e diminuendo con l'età. L'esperienza mostra che la soluzione ottimale cade generalmente intorno a una PU di circa 5 mm. I motivi di questa scelta risiedono principalmente nel fatto che questo valore si adatta alla maggior parte degli osservatori e inoltre offre un certo margine di tolleranza nella posizione dell'occhio rispetto alla pupilla di uscita. La parte periferica del cristallino dell'occhio può essere inoltre meno corretta otticamente di quella centrale, per cui in generale e preferibile mantenere il valore della PU leggermente inferiore rispetto al diametro massimo della pupilla dell'occhio. Potremo eventualmente provare ad adottare un valore forzato di 6 o 7 mm osservando da un sito di alta montagna in notti senza Luna e dopo esserci assicurati che la pupilla del nostro occhio si dilati effettivamente fino a tale valore.

 

L'OCCHIO E IA VISIONE NOTTURNA

 

L'adattamento della pupilla del nostro occhio alle diverse condizioni di luce avviene in modo molto rapido mediante la chiusura e apertura dell'iride, che ha una funzione analoga a quella del diaframma negli apparecchi fotografici. A ogni minima variazione luminosa l'iride si dilata o si restringe riuscendo cosi a mantenere a un livello ottimale la quantità di luce che, entrando nel nostro occhio, va a colpire la retina. Questo meccanismo è pero in grado di controllare la situazione in un intervallo di luminosità non molto ampio e di per sé non e sufficiente per consentire la visione ai bassi livelli di luce. Ciò che avviene nell'osservazione notturna non è una semplice dilatazione della pupilla ma un adattamento assai più complesso che scatta quando la luce scende al di sotto di una certa soglia. La retina dell'occhio, che raccoglie le immagini per poi trasmetterle al cervello attraverso il nervo ottico, è fornita di due tipi diversi di recettori: i bastoncelli e i coni. I primi sono concentrati per lo più nella parte centrale della retina e agiscono quando il livello di luce e alto permettendoci di avere una visione dettagliata degli oggetti. I secondi, praticamente assenti nella parte centrale della retina, aumentano di numero spostandosi di lato con un massimo nella posizione posta a un angolo di circa 20° dall'asse ottico.

Quando lo stimolo luminoso scende al di sotto di un certo livello, nei coni avviene una reazione chimica che ne aumenta la sensibilità consentendoci di vedere anche in condizioni di luce molto bassa. Il processo non e immediato, come avviene per il movimento dell'iride, ma richiede un tempo abbastanza lungo. Per raggiungere un buon livello di adattamento all'oscurità occorrono circa 20-30m. Durante questo periodo di tempo è indispensabile evitare di essere abbagliati da forti sorgenti di luce e si devono usare solamente fonti deboli è preferibilmente schermate con filtro rosso. Questa radiazione luminosa e infatti quella che meno di tutte desensibilizza l'occhio. Il fatto che i coni siano distribuiti maggiormente nelle zone periferiche della retina piuttosto che in quella centrale fa si che gli oggetti più deboli vengano osservati meglio con la cosiddetta "visione distolta", cioè con una visione di tipo laterale. L'estensione complessiva della chioma di una cometa e l'eventuale presenza di una coda vengono infatti percepite meglio in questo modo. Anche qui ci sono tuttavia delle eccezioni e vi sono osservatori che mostrano di avere un'elevata sensibilità ai bassi livelli di luce anche in prossimità della parte centrale della retina.

Con il passaggio dalla visione in luce diurna a quella notturna cambia anche la sensibilità spettrale del nostro occhio: di giorno il picco di sensibilità cade intorno a 560 nm, mentre per un occhio adattato all'oscurità il massimo e a circa 510 nm. Le caratteristiche degli occhi (dilatazione della pupilla, sensibilità spettrale e ai diversi livelli di luce) variano in modo a volte sensibile da individuo a individuo e questo ha ovvie conseguenze nell'osservazione dei corpi celesti. Per quanto riguarda le comete, alcune delle principali emissioni della chioma cadono fortunatamente nella regione spettrale in cui l'occhio manifesta la sua maggiore sensibilità.

Un ultimo punto molto importante, relativo al nostro occhio è al modo in cui viene usato per osservare i corpi celesti, riguarda in particolare il tempo durante il quale viene accumulata l'immagine sulla retina. In luce diurna le immagini si riformano sulla retina all'incirca ogni 1/20s. L'occhio e cosi libero di compiere piccoli e rapidi movimenti che gli consentono di darci una visione nitida in un campo visivo ampio dato che, come abbiamo visto, l'area della retina in grado di fornire un'alta risoluzione e limitata a una piccolissima zona centrale. Nelle osservazioni astronomiche, l'occhio viene usato in modo diverso e gli osservatori più esperti riescono a mantenerlo fisso nella stessa posizione anche per diversi secondi. Si verifica cosi un accumulo di informazioni, analogamente a quanto avviene nella pellicola fotografica e nelle camere CCD. L'occhio è in grado di integrare la luce raccolta per tempi che, secondo alcuni autori, possono arrivare anche a qualche secondo, riuscendo a percepire, per brevi istanti, oggetti più deboli. Dato che l'osservazione astronomica comporta un certo affaticamento dell'occhio, e consigliabile intercalare i periodi di attività con periodi di rilassamento tenendo, se necessario, gli occhi chiusi e in completo riposo tra un'osservazione e l'altra. Per essere certi di avere effettivamente osservato un oggetto al limite delle possibilità, è necessario riuscire a vederlo distintamente un certo numero di volte e lo stesso vale per le stelle di campo.

In questa situazione, il tempo necessario per effettuare le osservazioni diviene ovviamente molto lungo. Infatti, oltre a dover attendere che l'occhio raggiunga il massimo adattamento all'oscurità, si devono identificare con sicurezza le varie stelle di campo e la cometa, disegnandone accuratamente la posizione su di un foglio. Anche cosi, quando ci si spinge ai limiti estremi, rimane comunque un certo margine di dubbio su quanto osservato (esiste infatti sempre la possibilità di autosuggestionarsi).

Nella maggior parte dei casi non ha alcun senso spingere l'osservazione fino a questi limiti estremi, tanto più che i dati ottenibili hanno un interesse scientifico praticamente nullo; visto anche che il tempo e la fatica necessari sono tutt'altro che trascurabili, generalmente e senz'altro preferibile dedicarsi ad altri tipi di osservazioni più gratificanti. Inoltre, al di sotto di un certo limite, e logico cedere il passo ad altre tecniche (CCD e fotografia) di gran lunga più efficaci e precise su oggetti deboli. L'osservazione visuale e invece molto interessante su oggetti sensibilmente al di sopra della soglia di visibilità. Si possono cosi effettuare osservazioni relative alla stima della luminosità e alla morfologia della chioma, riportando su un disegno i dettagli osservati. Una sorveglianza attenta condotta in questo modo permette di raccogliere un gran numero di informazioni utili per documentare in modo completo l'apparizione di una cometa oltre che per rilevare eventuali fenomeni insoliti. Va infine considerato il fatto che effettuare un disegno di una cometa luminosa rappresenta sempre un'esperienza piacevole e rilassante e permette oltretutto di avere un ricordo dell'evento quanto mai personale.

 

LA FOTOMETRIA VISUALE

 

Come avviene nello studio delle stelle variabili anche per le comete uno dei dati osservativi più interessanti e rappresentato dal valore della luminosità, espressa in magnitudini. Nel caso delle stelle, la determinazione della magnitudine viene effettuata mediante il confronto diretto tra le stelle campione e quella da misurare. Per le comete invece la cosa e un po' più complessa in quanto ci si trova a dover confrontare oggetti di aspetto notevolmente diverso tra loro. Anche se la cometa e di piccole dimensioni apparenti, un confronto diretto con le stelle fornisce un valore della magnitudine alquanto approssimato. Nel passato alcuni osservatori hanno provato a effettuare le loro stime confrontando le comete con oggetti che al telescopio appaiono simili a esse (galassie, ammassi globulari, nebulose diffuse e planetarie). Neppure questo sistema pero fornisce valori molto attendibili.

Innanzitutto, solo raramente e possibile trovare oggetti nebulari di luminosità e dimensioni apparenti adatte nei pressi di una cometa, e in ogni caso, anche quando questo si verifica, il diverso aspetto degli oggetti può influenzare la stima in modo del tutto imprevedibile. Va poi considerato il fatto che le magnitudini integrate di galassie, ammassi globulari, ecc. riportate nei vari cataloghi, essendo state ottenute per lo più con metodi eterogenei, hanno un certo grado di imprecisione. In ogni caso, anche quando si tratta di misure precise, sono state effettuate con tecniche diverse da quella visuale. Alla luce di queste considerazioni, quindi, non si ottengono particolari vantaggi effettuando le stime in questo modo. I metodi descritti di seguito, pur non essendo esenti da errori, consentono di avere dati molto più omogenei. Tutti sono basati sul principio di sfuocare le immagini stellari per renderle di aspetto il più simile possibile alla cometa, per effettuare la stima in modo abbastanza agevole.

Cr = 5 X log (Dc/Ds)

Se MSUP è la magnitudine ottenuta confrontando le luminosità superficiali, come illustrato sopra, allora la magnitudine totale della chioma (che viene indicata con m1) sarà data da:

m1 = MSUP - Cr

Lo stratagemma di Haver e stato ideato indipendentemente anche da Charles Morris; esso risulta abbastanza accurato se le dimensioni della chioma sono di poco più grandi di quelle delle stelle sfuocate (diciamo approssimativamente fino a 1,5 volte maggiori); con rapporti più elevati, piccoli errori nella stima dei diametri vengono ad avere un peso non trascurabile e riducono drasticamente la precisione. Va comunque detto che, qualunque sia il metodo usato, la precisione sulle stime di oggetti molto estesi e diffusi e per forza di cose sempre piuttosto limitata.

 

LE STIME A OCCHIO NUDO

 

Quando appare una cometa molto luminosa, la stima della magnitudine totale può essere effettuata agevolmente a occhio nudo. Anche in questo caso il confronto con le stelle non può essere fatto direttamente tra le immagini a fuoco. Uno dei metodi più facilmente utilizzabili e quello di Sidgwick, e il confronto viene effettuato tra la cometa a fuoco e le stelle sfuocate. Per sfuocare le immagini si deve costringere l'occhio ad andare a fuoco su qualcosa di vicino (un albero, la mano posta davanti a noi stendendo il braccio, il treppiede del binocolo...) scegliendolo a una distanza tale che le stelle sfuocate siano delle stesse dimensioni apparenti della cometa. Un'altemativa forse più semplice e quella di osservare attraverso una lente che sfuochi le immagini.

Il metodo di Bobrovnikoff è applicabile invece da chi porta occhiali con elevate diottrie: in questo caso basta osservare il cielo senza occhiali (o con gli occhiali, a seconda dei casi) per avere una sfocatura generale delle immagini. Il confronto va effettuato direttamente tra le immagini sfuocate di stelle e cometa. Chi non porta gli occhiali può applicare lo stesso metodo stimando attraverso una lente per ottenere lo stesso effetto; si tratta eventualmente di provare con diverse lunghezze focali per trovare quella più adatta ai nostri scopi. Sulla base dell'esperienza di chi scrive sulle recenti comete Hyakutake 1996 B2 e Hale-Bopp 1995 01, focali intorno ai 20-40 cm si sono rivelate adatte. Per evitare problemi introdotti dal cromatismo può essere preferibile l'uso di doppietti acromatici, ma anche lenti semplici fomiscono ottime prestazioni.

 

LA MAGNITUDINE DELIA CONDENSAZIONE CENTRALE (m2)

 

Un altro tipo di stima, generalmente preso poco in considerazione dagli osservatori ma a volte molto interessante, è la stima della magnitudine relativa alla condensazione centrale (indicata con m2).

La luminosità e l'aspetto del falso nucleo sono strettamente collegati all'emissione di materia dal nucleo solido; si tratta quindi di dati di notevole interesse, soprattutto se messi in relazione ad altre tecniche osservative (ad esempio, osservazioni CCD ad alta risoluzione della chioma).Vi e comunque una pesante limitazione di tipo temporale: possono infatti avvenire variazioni luminose anche su tempi scala relativamente brevi, e questo richiederebbe un monitoraggio pressoché continuo o per lo meno osservazioni protratte per molte ore.

Osservazioni effettuate a uno o più giorni di distanza, anche se rilevano una qualche variazione, purtroppo sono difficilmente interpretabili e hanno in questo caso poco significato. Molto interessanti sono invece le stime riferite a oggetti visibili per buona parte della notte (e possibilmente alti nel cielo); stime frequenti (come pure misure fotoelettriche e CCD) effettuate nel corso della nottata e possibilmente in giorni successivi sono molto più produttive. Eventuali periodicità nelle variazioni di luminosità possono essere messe in relazione alla rotazione del nucleo.

Le comete più indicate per questo tipo di ricerca sono o quelle molto attive (con falso nucleo luminoso è ben marcato) o quelle ritenute praticamente inattive (come ad esempio la P/Arend-Rigaux e la P/Neujmin 1), dove la chioma è molto debole e quindi non e di disturbo per l'osservazione. Nei casi intermedi, la condensazione centrale appare fusa assieme alla chioma e diventa generalmente difficile separarla in modo chiaro, perlomeno mediante tecniche visuali.

Come si può intuire, questo è un tipo di ricerca molto interessante, ma che richiede la cometa adatta e particolari condizioni di visibilità; non è facile incontrare l'oggetto idoneo, ma neppure impossibile visto l'elevato numero di apparizioni che si verificano ogni anno.

PROGRAMMAZIONE DELL'OSSERVAZIONE

 

Quando ci si prepara per osservare una cometa è bene predisporre prima tutto ciò che occorre, non solo dal punto di vista strumentale, ma anche per quanto riguarda le carte stellari e la scelta delle stelle di confronto. Possono sembrare cose banali, ma trovarsi poi sul campo senza avere pronto tutto ciò che serve è certamente frustrante, soprattutto se per raggiungere il sito di osservazione abbiamo dovuto percorrere una lunga distanza.

Dalle effemeridi e possibile conoscere in anticipo la posizione in cielo della cometa, la sua luminosità e la distanza dal Sole e dalla Terra. Tutti questi dati ci forniscono le indicazioni di base necessarie per programmare l'osservazione. Dovremo innanzitutto segnare su un atlante o una carta stellare la posizione prevista, tenendo conto che se la cometa e nuova e gli elementi orbitali sono provvisori, potremo incontrare qualche leggera discordanza tra la posizione vera e quella calcolata.

La precisione è comunque in genere già buona anche utilizzando i primi elementi orbitali pubblicati sulle IAU Circulars o sulle MPEC; grazie infatti alla preziosa collaborazione dei numerosi astronomi dilettanti che si dedicano a misure astrometriche (molti dei quali italiani), il Minor Planet Center e generalmente oggi in grado di calcolare elementi orbitali accurati già a pochi giorni dalla scoperta. Nel segnare la posizione, o meglio le posizioni per un certo numero di giorni, bisogna fare attenzione che le effemeridi siano date per lo stesso equinozio di riferimento dell'atlante (correntemente per il 2000.0); in caso contrario e necessario apportare le dovute correzioni per la precessione.

La stessa precauzione va usata se le effemeridi vengono calcolate con uno dei molti programmi disponibili sul mercato o realizzati dagli stessi astronomi dilettanti, tenendo presente che anche gli elementi orbitali sono dati per un certo equinozio (oggi usualmente il 2000.0). Una volta segnata la posizione e conosciuta la luminosità prevista per la cometa, si procede alla selezione delle possibili stelle di confronto scegliendole in modo che queste si trovino il più vicino possibile e soprattutto alla stessa altezza sull'orizzonte. Quest'ultima condizione e particolarmente importante se si osserva a meno di 40' di altezza. Se l'elevazione sull'orizzonte delle stelle e della cometa è molto diversa, bisognerà apportare alla stima una correzione per l'estinzione dovuta all'assorbimento atmosferico.

Per effettuare le stime, dovranno essere scelte diverse sequenze di stelle - preferibilmente due gruppi - che coprano un intervallo di almeno 2-3 magnitudini centrato sul valore previsto per la cometa. Idealmente, l'intervallo tra ogni coppia di stelle non dovrebbe essere superiore a una magnitudine. Infine, i valori relativi alla distanza della cometa dal Sole e dalla Terra ci forniscono una indicazione su cosa possiamo aspettarci di vedere: la distanza dalla Terra e determinante per le dimensioni apparenti della cometa, e se il valore è grande (maggiore di 2 UA) il diametro della chioma sarà con ogni probabilità dell'ordine di grandezza di qualche primo d'arco, mentre se il valore e piccolo (ad esempio, minore di 0,5 UA) dobbiamo aspettarci una cometa piuttosto estesa, con un diametro probabilmente superiore ai 10'.

Il valore della distanza Sole-cometa ci fornisce un'ulteriore indicazione relativa al probabile aspetto: in generale, infatti, la chioma varia mediamente di dimensioni e forma in funzione della distanza Sole-cometa (r). Al diminuire del valore di r solitamente la chioma appare più condensata e definita e di forma allungata o parabolica. Bisogna pero sempre tenere presente che le comete sono oggetti assolutamente imprevedibili, per cui quanto detto vale solo come considerazione generale.

 

SCELTA DELLE STELLE DI CONFRONTO

 

La fonte da cui trarre la magnitudine delle stelle da utilizzare per effettuare le stime deve essere scelta con una certa attenzione. Le comete infatti si spostano continuamente nel cielo ed e difficile poter utilizzare le stesse stelle di confronto per un periodo di tempo superiore a qualche giorno. Di conseguenza, se si vuole ottenere una curva di luce che rispecchi fedelmente il comportamento fotometrico della cometa e indispensabile che le sequenze di confronto siano della massima affidabilità.

Non devono mai essere usate magnitudini approssimate ricavate dal diametro dei dischi stellari riportato negli atlanti. Come criterio generale si darà la preferenza alle fonti più collaudate tra cui possiamo elencare quelle utilizzate più di frequente:

I cataloghi Thyco e Hypparcos, inclusi in molti pacchetti software (ad esempio Guide della Project Pluto), riportano magnitudini fino alla 11-12, utilizzando un sistema fotometrico molto vicino a quello visuale. Rappresentano quindi una eccellente fonte dalla quale attingere. E comunque buona norma, quando possibile e soprattutto in caso di dubbi sulle magnitudini, effettuare più stime con diverse coppie di stelle di confronto in modo da ridurre la possibilità di errore. Infine, utilizzando magnitudini fotoelettriche ottenute nella banda V, può essere opportuno apportare una correzione sulla base degli indici di colore (B - V) delle stelle, per convertirle in magnitudini visuali (mv) con la relazione:

mv=V + 0,16 x (B - V)

L'ammontare della correzione e pero piccolo (generalmente trascurabile) e può avere un certo peso solo con stelle di tipo spettrale O, B o avanzato. Le stelle troppo rosse, del tipo M, N, ecc., se possibile non vanno utilizzate e di preferenza vanno scelte stelle di tipo spettrale compreso tra A e G. Le stelle rosse mostrano infatti il cosiddetto "effetto Plurkinie": se osservate per un certo tempo (uno o più minuti) paiono aumentare di luminosità. L'effetto varia da individuo a individuo e introduce un'ulteriore incertezza nelle stime.

 

LA SCELTA DELLO STRUMENTO

La scelta dello strumento con cui effettuare le stime può essere fatta generalmente a priori sulla base delle previsioni di luminosità fomite dalle effemeridi. Se la cometa è luminiosa (con magnitudine minore della 8) la stima dovrà essere effettuata di preferenza con un binocolo.

Se però per la maggior parte dell'apparizione la luminosità è prevista più bassa, è opportuno utilizzare un telescopio come strumento principale e il binocolo come strumento secondario, usandolo parallelamente al primo nella fase più luminosa dell'apparizione.

Molto importante è mantenere un certo equilibrio tra diametro dello strumento e luminosità cometaria evitando assolutamente di effettuare stime di comete luminose con strumenti di grande apertura, cosa tra l'altro molto scomoda; in questi casi un binocolo si rivela sempre di gran lunga più pratico, e la stima oltretutto risulta più precisa.

 

LA MAGNITUDINE TOTALE DELLA CHIOMA (m1)

 

Una volta individuate la cometa e le stelle di confronto, si può procedere a effettuare la stima della magnitudine totale. Anzitutto, si scelgono le coppie di stelle più adatte per la stima. Per il nostro esempio, chiameremo A e B le due stelle e C la cometa. Si immagina a questo punto di suddividere in gradini di luminosità l'intervallo tra le due stelle cercando di trovare una soluzione che permetta di collocare la cometa in uno dei gradini.

La cosa viene fatta per approssimazioni successive. Dapprima si suddivide l'intervallo in due parti valutando se la cometa ha una luminosità esattamente intermedia tra le due stelle e quindi se ci si trova nel rapporto A-1-C-1-B. Se questa soluzione non appare soddisfacente, si prova una suddivisione in tre gradini, valutando ad esempio se la soluzione A-1-C-2-B costituisce una migliore approssimazione (supponiamo in questo caso che la luminosità della cometa appaia più vicina alla stella A che non alla B).

Se ancora non si e soddisfatti, si provano altre suddivisioni (ad esempio A-1-C-3-B, A-2-C-3-B, A-1-C-4-B,...) finché si trova la soluzione che ci pare più corretta. La stima possibilmente va ripetuta alcune volte consecutivamente; eventualmente, se si hanno dei dubbi, si può attendere una decina di minuti e ripeterla per confermare o meno l'osservazione precedente. Questa procedura diviene particolarmente importante nel caso di fenomeni insoliti come improvvisi aumenti o diminuzioni di luminosità. Nota la magnitudine delle stelle e facile ricavare il valore della magnitudine della cometa che e pari a:

m1 = A + na X (B - A )/n

dove m1 la magnitudine della cometa, A e B sono le magnitudini delle stelle (dove A e la più luminosa delle due), n è il numero totale i gradini usati nella suddivisione e na è la distanza in gradini dalla stella A.

Il valore finale va approssimato al decimo di magnitudine. Ad esempio, 7,68 va approssimato a 7,7, 12,32 a 12,3 ecc. Nel caso di un valore esattamente intermedio, ad esempio 4,75, si approssima, per convenzione, al decimo pari più vicino: in questo caso 4,8. Come regola generale è bene utilizzare principalmente i metodi di Sidgwick, di Bobrovnikoff e di Morris. Le stime ottenute con metodi diversi non devono essere mediate tra loro in quanto ogni tecnica usata introduce un proprio errore sistematico che varia a seconda dell'osservatore, del tipo di cometa, dello strumento e dell'ingrandimento usato.

 

ANALISI DELLA CURVA DI LUCE

 

Come per le stelle variabili, anche per le comete si usa tracciare la curva di luce che ne descrive a grandi linee il comportamento fotometrico nel corso dell'apparizione. Generalmente la curva di luce può essere approssimata nella formula

m1 = Mo + 2,5 n log(r)+ 5 log(D)

dove m1 la magnitudine totale apparente, r la distanza Sole-cometa (in UA), D la distanza Terra-cometa (in UA), Mo la magnitudine assoluta (corrispondente alla magnitudine della cometa quando r=1 e ponendo D=1); infine n è un parametro caratteristico di ogni cometa che determina la pendenza media dei rami ascendente e discendente della curva di luce. Un basso valore di n (tra 2 e 5) indica una variazione lenta, un alto valore (maggiore di 6) una variazione rapida.

Questi parametri possono essere ricavati dall'analisi dei dati osservativi, ponendoli in un grafico contenente in ascissa i valori di log(r) e in ordinata i corrispondenti valori di m1-5log(D); in presenza di un andamento regolare, i punti si allineano seguendo una retta di pendenza 2,5 n (per maggiori dettagli sui procedimenti di calcolo si veda J. Meeus, Astronomical Formulae for Calculators). Dal valore dei parametri Mo e n si ottiene un'indicazione precisa relativa alla luminosità di una cometa: è proprio mediante questi due parametri che vengono effettuate le previsioni di luminosità partendo dalle prime osservazioni.

Generalmente, nei decenni passati, veniva considerata ricca di polveri una cometa caratterizzata da un basso valore di n, è ricca di gas una con un elevato valore di n; alla luce delle attuali conoscenze questo tipo di interpretazione appare però alquanto discutibile. Un incremento (o decremento) più o meno rapido nella luminosità può essere infatti determinato da cause (o più concause) differenti, che possono eventualmente essere discriminate solo con l'aiuto di altre tecniche osservative più sofisticate. Anche la pretesa di effettuare previsioni accurate sull'evoluzione fotometrica di una cometa ha scarso significato, essendo di fatto impossibile predirne il comportamento.

La curva di luce può essere costruita in modo diverso a seconda delle esigenze. Una prima soluzione e di riportare su un grafico semplicemente la magnitudine osservata in funzione del tempo: si ha cosi una curva che esprime la variazione luminosa come e apparsa all'osservatore terrestre. Se invece si riporta la magnitudine eliocentrica, definita come m - 5Xlog(r), allora si metterà in evidenza l'effettivo andamento intrinseco della luminosità, depurato dagli effetti della continua variazione della distanza Terra-cometa.

 

OUTBTRST

 

Come abbiamo appena visto, la luminosità intrinseca di una cometa varia di norma in modo continuo in funzione della sua distanza dal Sole; la rapidità di questa variazione dipende da molti fattori tra i quali hanno una rilevanza fondamentale la composizione chimica, la conformazione e la struttura del nucleo e il numero e l'estensione delle aree attive sulla sua superficie. All'andamento medio della curva di luce non di rado si sovrappongono altre variazioni irregolari che avvengono su tempi scala molto più brevi e che provocano improvvisi aumenti (o anche diminuzioni) di luminosità.

L'entità della variazione luminosa può essere a volte impressionante, tanto che in poche ore una debole cometa telescopica può aumentare di molte magnitudini giungendo alla portata dei più piccoli strumenti o addirittura dell'osservazione a occhio nudo.

Questi fenomeni, prodotti da un'intensa e improvvisa emissione di materia, vengono usualmente chiamati outburst.

Il meccanismo che li genera non e sempre ovvio, anche perché più cause possono concorrere a scatenarli. Possiamo infatti identificare almeno cinque meccanismi diversi che possono provocare outburst in comete:

La cometa forse più celebre per i suoi outburst e la periodica Schwassmann-Wachmann 1, solitamente molto debole (intorno alla magnitudine 17-18 quando inattiva), la quale giunge spesso alla portata di strumenti amatoriali salendo improvvisamente fino alla magnitudine 12-13 e, in casi eccezionali, anche oltre la magnitudine 10! Un altro caso peculiare riguarda la cometa periodica Tuttle-Giacobini- Kresak, che nel 1973, in prossimità del passaggio al perielio, ha mostrato due rapidi brillamenti che ne hanno innalzato la luminosità di circa 10 magnitudini.

Il fenomeno si è recentemente ripetuto nel passaggio del 1995, e questo sembra indicare che almeno per alcune comete il meccanismo che genera gli outburst sia intimamente correlato alla struttura e alla composizione del nucleo.

Al di la dei casi più eclatanti, sono moltissime le comete che hanno mostrato outburst di intensità più moderata; si tratta quindi di episodi relativamente frequenti su oggetti di tipo cometario. La durata del fenomeno e legata alla quantità e al tipo di materia emessa. Se si ha un'intensa emissione di gas unitamente a polveri fini, il materiale si disperde piuttosto rapidamente e la durata e breve (pochi giorni).

Se invece il materiale emesso e composto in prevalenza da polveri di grandi dimensioni, come avviene ad esempio quando il nucleo si spezza in più frammenti, queste tendono a disperdersi molto più lentamente e di conseguenza l'aumento di luminosità persiste per un intervallo di tempo notevolmente più lungo (anche alcune settimane). Se l'emissione di materia e cospicua, si può assistere anche allo sviluppo temporaneo di una coda. Gli outburst avvengono con maggior frequenza in vicinanza del passaggio al perielio, quando il nucleo è sottoposto alle sollecitazioni maggiori (radiazione solare più intensa, forti effetti mareali sul nucleo se la distanza perielica e piccola...) ma non mancano esempi di questi fenomeni anche a grande distanza dal Sole: il caso più clamoroso e certamente quello della cometa P/Halley, che nel febbraio del 1991, quando si trovava a ben 14,3 UA dal Sole, ha mostrato un'improvvisa variazione di 4- 5 magnitudini che l'ha portata dalla 24-25 alla 19-20. Il caso della Halley è probabilmente eccezionale, ma potrebbe indicare forse che questi fenomeni sono in realtà relativamente comuni anche a grandi distanze eliocentriche; la difficoltà di osservare comete cosi deboli potrebbe operare in questo caso come un pesante effetto di selezione.

L'osservazione amatoriale di questi eventi e, soprattutto, la loro tempestiva segnalazione possono essere quanto mai preziose per lo studio delle comete. Durante un outburst infatti viene emessa una grande quantità di materiale e si apre quindi la possibilità di effettuare un'analisi spettroscopica e fotometrica molto dettagliata su un oggetto altrimenti assai debole.

 

LA MISURA DEL DIAMETRO APPARENTE DELLA CHIOMA

 

La misura del diametro apparente della chioma rappresenta un altro dato osservativo interessante da ottenere non solo per una valutazione delle dimensioni reali della chioma, ma anche per consentire di interpretare più correttamente le stime della magnitudine totale. Infatti, a seconda delle condizioni del cielo, la chioma può apparire più o meno estesa, soprattutto se è di aspetto molto diffuso, e questo ovviamente condiziona la stima della magnitudine.

Conoscere il valore del diametro apparente aiuta in certi casi a capire se le eventuali variazioni di magnitudine riscontrate rispecchiano reali cambiamenti di luminosità sono dovute a effetti strumentali o alla diversa trasparenza del cielo.

Per effettuare questa misura si possono adottare vari metodi a seconda del tipo di strumento utilizzato e della precisione che si vuole ottenere; dato pero che una chioma cometaria ha di fatto un confine piuttosto indefinito, ha poco senso cercare di spingere a livelli estremi la precisione delle misure. Il sistema più semplice e pratico e certamente quello di stimare le dimensioni rispetto alle stelle di campo, determinando la separazione angolare tra le stelle mediante un atlante o uno dei molti programmi per computer in grado di fornire mappe stellari e di effettuare misure su di esse.

Un'alternativa e quella di ricorrere al confronto con coppie di stelle di separazione nota (ad esempio stelle doppie larghe) o con i pianeti maggiori per le comete più piccole. Osservando al telescopio, uno dei metodi generalmente consigliati in letteratura, ma poco usato in pratica, è quello di utilizzare un oculare munito di reticolo a croce e, dopo avere orientato i fili nel senso dell'ascensione retta e della declinazione, cronometrare il tempo impiegato dalla cometa per attraversare il filo orientato nel verso della declinazione.

L'operazione naturalmente va eseguita a moto orario spento, sfruttando la rotazione apparente della volta celeste per cronometrare il transito. In questo caso l'oculare deve avere la stessa focale di quello utilizzato per la stima della magnitudine totale della chioma e deve essere illuminato al livello minimo necessario per poter osservare distintamente la cometa (un'illuminazione eccessiva potrebbe desensibilizzare l'occhio impedendo di osservare le parti periferiche più deboli). Le dimensioni (dim) in secondi d'arco sono date dalla semplice formula:

dim =15XTXcos(dec)

dove T è il tempo espresso in secondi e dec è la declinazione della cometa. Se la cometa è molto debole e non si riesce a vederla distintamente quando si trova vicina al reticolo illuminato, si può cronometrare il tempo impiegato ad attraversare il reticolo da una stella vicina stimando che lo spostamento della stella sia uguale al diametro della chioma.

Un'alternativa e eventualmente quella di utilizzare un oculare che fornisce ingrandimenti molto bassi munito di un reticolo piuttosto grosso in modo da poterlo distinguere senza illuminazione sul chiarore del fondo cielo. Il metodo illustrato e certamente da tenere in considerazione perché potrebbe rivelarsi utile, per lo meno in certi casi particolari: ad esempio, per stimare il diametro della condensazione centrale, la separazione dei frammenti in caso di rottura del nucleo o le dimensioni di eventuali altre strutture insolite.

Per un uso generale e pero poco pratico, soprattutto oggi che sono disponibili su computer mappe dettagliate e profonde, tratte ad esempio dall'Hubble Guide Star Catalog, sulle quali è molto più semplice e rapido effettuare le misure. Diviene poi inefficace se la cometa si trova in prossimità di uno dei poli celesti. In queste zone infatti il movimento apparente dovuto alla rotazione della volta celeste è lentissimo e il tempo necessario per effettuare la misura diventa molto lungo. Un altro metodo, utile in realtà soprattutto per eventuali strutture della chioma interna di comete luminose, e quello di utilizzare un micrometro filare, ma si tratta di un accessorio generalmente molto costoso e poco diffuso tra gli astronomi dilettanti. Dalle dimensioni apparenti della chioma, nota la distanza della cometa, si ricava facilmente l'estensione lineare reale con la formula:

diam=725,28X dim X D

dove diam è il diametro della chioma in chilometri, dim l'estensione in secondi d'arco e D la distanza Terra-cometa in Unita Astronomiche.

 

IL GRADO Dl CONDENSAZIONE

 

Il grado di condensazione è una valutazione numerica dell'aspetto della chioma e si presta a essere inserito facilmente in un archivio o in una banca dati. Viene valutato basandosi su di una scala (da 0 a 9) che assegna il grado 0 a una cometa di aspetto completamente diffuso e il grado 9 a una di aspetto stellare (puntiforme). Dato che molti osservatori riportano spesso valori intermedi, l'International Comet Quarterly (ICQ) ha introdotto l'uso anche della mezza unita (ad esempio 6,5 indicato con 6/) anche se di fatto, vista la scarsa precisione intrinseca del metodo, una simile estensione della scala ha poco significato. Anche un intervallo di 10 valori appare già eccessivo, ma d'altra parte e necessario adeguarsi agli standard intemazionali di uso generale. Il criterio di valutazione risente pesantemente delle condizioni del cielo, dello strumento e dell'ingrandimento usato, come anche del giudizio dell'osservatore.

E' quindi sempre piuttosto approssimativo è soggettivo. Come si può intuire, si tratta di un dato di importanza secondaria che comunque è molto semplice da stimare. La valutazione può pero risultare problematica quando ci troviamo in presenza di una chioma molto diffusa nella parte esterna ma con una condensazione centrale piccola, brillante e marcata.

Queste condizioni usualmente si verificano quando la cometa è osservata frontalmente (angolo di fase prossimo a 0) in quanto il materiale emesso dal nucleo, più denso e luminoso, è diretto verso l'osservatore formando una condensazione centrale piccola e densa. E' quanto è accaduto ad esempio per la cometa di Halley intorno al mese di novembre del 1985 e per la cometa Levy 1990c nell'estate del 1992. In questi casi sono stati suggeriti dall'ICQ alcuni criteri per la valutazione del grado di condensazione, la quale va effettuata immaginando la chioma come se fosse divisa in due componenti: la chioma vera e propria (prendendo come riferimento la chioma esterna) e la condensazione centrale. Si determinano quindi due valori distinti per le due componenti che vanno mediati tra loro dando pero più peso a quella che ha estensione e luminosità maggiori. In questo caso, bisogna dire che il dato numerico diviene piuttosto ambiguo. Un'alternativa migliore, sempre consigliata dall'ICQ è quella di fornire una descrizione sintetica con valutazioni separate per la parte esterna della chioma e per la condensazione centrale, senza tralasciare di indicare le dimensioni apparenti delle due componenti.

 

LA STRUTTURA DELIA CHIOMA

 

Normalmente la chioma di una cometa appare di aspetto diffuso e privo di dettagli ma in alcuni casi, se si tratta di un oggetto luminoso e particolarmente attivo, è possibile scorgere diversi tipi di strutture. Il nucleo infatti, oltre a manifestare spesso un comportamento irregolare, non e uniformemente attivo su tutta la superficie ma solo su poche ristrette regioni.

Le comete che per effetto della rotazione del nucleo hanno chiaramente mostrato getti o strutture a spirale evidenti (correlati alle aree attive) sono molto poche.

Tra quelle apparse di recente solo la P/Swift-Tuttle e soprattutto la Hale- Bopp 1995 01 hanno esibito dettagli osservabili visualmente con grande facilita. R pero vero che un osservatore esperto con buone condizioni di cielo e in grado quasi sempre di rilevare qualche tenue dettaglio anche su chiome a prima vista amorfe; la pratica e l'allenamento in questi casi sono determinanti. Una conferma a queste rilevazioni visuali viene dalla moderna tecnica CCD che, grazie ai programmi di elaborazione delle immagini, ha permesso di evidenziare molte strutture complesse anche su comete che appaiono a prima vista avare di dettagli.

Le strutture osservabili all'interno della chioma, collegate all'emissione di materia dal nucleo, possono essere schematizzate in alcuni tipi ben definiti secondo la seguente classificazione:

 

Nel caso di comete di magnitudine +1, o più brillanti, l'osservazione di queste strutture può essere difficile per l'abbagliamento provocato dall'elevata luminosità della chioma, soprattutto se si utilizza un telescopio di grande apertura. In questi casi, le migliori condizioni di visibilità si hanno durante il crepuscolo quando il contrasto tra fondo cielo e cometa è meno pronunciato. Lo stesso effetto si può notare nell'osservazione planetaria. L'esecuzione di un disegno, anche schematico, è senz'altro il modo migliore di descrivere i dettagli osservati.

Un metodo molto efficace e quello di preparare anticipatamente una cartina dettagliata del campo stellare in cui sarà visibile la cometa (ad esempio, dall'Hubble Guide Star Catalog) con una scala adeguata allo strumento che si intende utilizzare; l'aspetto della chioma, e le relative strutture interne, potrà essere poi disegnato a matita in negativo.

Da questo si valuteranno in seguito le dimensioni dei dettagli, la loro distanza dal nucleo (in primi o secondi d'arco) e l'angolo di posizione, sempre rispetto al nucleo. Quest'ultimo dato, abbreviato comunemente con A.P., o P.A. secondo la notazione inglese, si misura a partire da nord in senso antiorario. Poiché ogni cometa è dotata di un forte moto proprio, soprattutto se osservata a elevati ingrandimenti, è necessario effettuare il disegno in un lasso di tempo limitato.

Per riuscire a cogliere il maggior numero di dettagli possibile e bene quindi dedicare un certo tempo all'osservazione eseguendo il disegno solo nel momento finale. I disegni, essendo soggettivi, variano naturalmente nello stile da un osservatore all'altro, ma va sottolineato che lo scopo qui non e quello di riprodurre in modo fedele l'aspetto della cometa, ma piuttosto quello di mostrare la presenza di strutture interessanti. Il contrasto e l'intensità dei particolari vengono di norma volutamente alterati per cercare di rendere nel modo più chiaro possibile quanto e stato rilevato.

Disegni molto schematici, pur se meno belli dal lato estetico, sono ugualmente idonei allo scopo, e questo permette anche a chi ha scarsa dimestichezza con tecniche di tipo pittorico di affrontare questo tipo di osservazione. Il disegno può essere accompagnato eventualmente da una breve descrizione; in questo tuttavia è bene tenere presente che anche un semplice schizzo è di per sé più eloquente di un lungo resoconto scritto ed e in grado di dare immediatamente un'idea di che cosa si e visto.

Alcuni osservatori del passato hanno eseguito disegni talmente accurati da permettere studi approfonditi, ma oggi naturalmente la situazione e diversa: la tecnica CCD ha infatti ampiamente superato la tecnica visuale in questo campo.

 

Scritto da GIANNANTONIO MILANI

Sezione Comete UAI 

 

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