L’esame del NT da un punto di vista storiografico è
questione molto complessa. Siamo infatti di fronte a documenti il cui primo
fine non è storiografico, ma teologico (è però vero che all' interno della teologia
evangelica viè un culto per la
Verità sconosciuto alla mitologia pagana dell’epoca). Inoltre nel NT abbiamo
generi letterari molteplici: quello apocalittico ha codici propri per lo più
distanti da quelli a noi consueti, ecc. Se dunque pretendessimo di dare un valore
storico ad ogni riga del NT presa in senso letterale, saremmo fuori strada. Ma
dal tutto vero al tutto falso ce ne passa assai. La storiografia è appunto la
scienza che discerne in un documento o in una collezione di documenti, il nucleo
di informazioni storicamente attendibili. In questo lavoro non sempre si arriva
alla certezza assoluta,
peròsiarriva sempre a definire l’insieme
delle ipotesi ragionevoli.
Qualche esempio può chiarire il senso del discorso. Oggi
gli scritti del Sarpi sul Concilio di Trento sono ritenuti tendenziosi.
Tuttavia la critica storiografica ritiene quel documento utilissimo per
comprendere l’atteggiamento tenuto da Venezia all’epoca. Oppure di Socrate
parlano in modo assai diverso Aristofane, Platone e Senofonte. Cosa si deve
dedurre? La questione è stata ampiamente dibattuta, ma certo nessuno dubita che
Socrate sia realmente esistito (personalmente ritengo che Platone sia attendibile,
). In definitiva la prudenza
storiografica deve porre molta attenzione ai protocolli: e un documento sobrio
è certamente più attendibile di uno abbondantemente infarcito di enfasi,
passionale, ideologicae letteratura.
Prima di dare un giudizio storiografico sul NT e sulla
figura di Gesù, occorre dunque fare qualche passo indietro, e mettere a fuoco i
criteri e i problemi.
Il metodo storiografico
In breve il vaglio critico deve stabilire: a) se un
documento è autentico; b) se ciò che dice è attendibile e in che misura. Il problema dell’autenticità si riferisce al fatto che vi
sia un riconoscimento istituzionale valido e validante del documento stesso. E
qui entrano in gioco molte competenze. Per es. la filologia può stabilire se la
lingua in cui il documento è redatto sia compatibile con la sua autenticità.
Oppure l’analisi testuale e paleografica ci può dire di che epoca sono i codici
o il codice che riporta il documento. Infine si cercano riscontri letterari,
archeologici, numismatici, ecc. In modo sommario diciamo che un documento si
può ritenere autentico quando vi è una comunità dell’epoca che lo riconosce
come tale, oppure quando vi siano testimonianze convincenti che ciò sia
accaduto, in un quadro di dati complessivamente coerente. Esemplifico. Supponiamo che in Tito Livio si accenni a un
certo decreto del Senato di Roma, ma che in quel passo esso non sia citato in
esteso. Un riferimento vago lo troviamo anche in un autore più tardivo, dopo di
che è notte. A un certo punto salta fuori un manoscritto che viene pubblicato
come quel decreto senatoriale. Si guarda il codice, e si scopre che è
medioevale. Si guarda il lessico, e si trovano dei barbarismi. Si guarda la
lingua, e si vede che non è conforme al genere giuridico tipico dei decreti
romani. Morale: sull’autenticità di quel ritrovamento non ci scommette nessuno.
Autenticità del NT La prima domanda è dunque: il NT si può ritenere una
collezione autentica? La risposta è: sostanzialmente sì, ma occorre
giustificare entrambi i termini della risposta. In primo luogo dei Vangeli abbiamo codici antichissimi
(papiri dell’inizio del sec. II e frammenti anche del sec. I); la lingua in cui
sono redatti è ricca di semitismi; e vi fu una comunità istituzionale che li
riconobbe come autentici (la Chiesa). Essa si preoccupò di diffonderli e
un’altra Istituzione (Roma)fece
di tutto per distruggerli durante le persecuzioni. Nella Chiesa vi erano poi
figure particolari (i lettori) che avevano il compito di custodire le
Scritture, e anche di copiarle e diffonderle presso le nuove comunità che
venivano a crearsi. Clemente Romano scrive una Lettera ai Corinzi sicuramente
databile entro la fine del sec. I. E in essa abbiamo diverse citazioni
neotestamentarie e in particolare di passi evangelici. Il quadro è dunque
complessivamente nitido: vi fu un controllo sociale fortissimo su quei
documenti, e non possiamo assolutamente ritenere (anche per motivi di critica
interna) che si tratti di falsi. Da dove allora il sostanzialmente? Sostanzialmente,
perché vi sono alcune questioni controverse. Per es. i Vangeli sono scritti
anonimi e l’attribuzione ai quattro evangelisti pur essendo antichissima si
appoggia a una tradizione orale raccolta nel sec. II. A mio parere si tratta di
attribuzioni attendibili, soprattutto perché nel sec. II vissero discepoli di
Giovanni, alcuni dei quali scrissero molto. È per es. il caso di Papia di
Gerapoli, noto ad Eusebio e ad altri, le cui opere purtroppo furono perse nel
Medioevo. Questioni più spinose concernono invece il corpo paolino, dove la
critica riconosce solo sette lettere come autentiche, mentre altre sono dubbie
e altre sono quasi certamente pseudoepigrafiche. In più abbiamo il problema dei
codici, che sono più tardivi, e sicuramente glossati in alcuni punti. Da un
punto di vista storiografico, tuttavia, queste problematiche aperte sono di
interesse molto scarso. Le glosse e gli scritti pseudoepigrafici cambiano molto
sul piano teologico, ma non aggiungono nulla da un punto di vista della
ricostruzione delle vicende (viaggi di Paolo, ecc.). Esse interessano una
storiografia particolare, che è la storia della teologia cristiana e la storia
ecclesiastica (vicende interne alla Chiesa, lotte ideologiche, ecc.).
Attendibilità dei Vangeli
Stabilito che si tratta di documenti autentici, occorre
chiedersi se ciò che dicono sia attendibile o meno. Ancora una volta in via
previa vanno focalizzati i criteri generali usati dalla critica storiografica.
Per es. essa considera che una notizia che ci pervenga da fonti indipendenti è
attendibile; e correla l’attendibilità della notizia all’antichità della fonte,
ecc. Il caso dei Vangeli ancora una volta è molto complesso e cercherò di
affrontare una questione per volta.
1. Antichità delle fonti In primo luogo i Sinottici sono antichissimi, almeno
nelle loro edizioni originarie. Abbiamo un frammento di Mc rinvenuto a Qumran,
e dunque databile verso la metà del sec. I. Ma abbiamo anche 2Cor 8,18 che
allude chiaramente all’autore di uno dei Vangeli (probabilmente Luca). Dunque,
Paolo vivente, almeno un Vangelo doveva essere stato scritto e correntemente
usato nelle varie assemblee liturgiche. Infine l’analisi interna dell’opera
lucana evidenzia che il III Vangelo è stato scritto sicuramente prima della distruzione
di Gerusalemme, perché il testo occidentale di Atti lo esige, e Atti cita il
III Vangelo. Questa datazione alta dei vangeli sinottici dice che essi ebbero
il consenso dei testimoni oculari. Nei Vangeli sono infatti citati molti
personaggi, che avrebbero potuto confermare o sconfessare ciò che era scritto,
e che erano notori alle varie Chiese. La forte comunicazione interecclesiale
del tempo funzionò da controllo sociale della tradizione cristiana che si
veniva formando: e questo è un dato importantissimo. Infatti le prime smentite
sono del tutto tardive, e cominciano più o meno con Marcione (metà del sec.
II). Dal punto di vista dell’antichità, le fonti sinottiche
sono dunque attendibili, anche se è certo che per es. Luca non fu un testimone
oculare dei fatti (è impreciso in alcune descrizioni geografiche della
Palestina).
2. Indipendenza delle fonti Abbiamo però un secondo problema: abbiamo a che fare con
fonti indipendenti? E qui troviamo un fenomeno probabilmente unico in
letteratura. Mc è una fonte per Lc e Mt, che però hanno ciascuno materiale
proprio, e accedono insieme ad altro materiale comune, indipendente da Mc. Non
solo, ma il modo che essi hanno di citare Mc e questa seconda fonte, di solito
denominata con la sigla Q, è tale da dimostrarne l’estrema autorevolezza
ecclesiale. Lo si vede benissimo in Lc, che ha un greco raffinato, ma che
quando cita le sue fonti cambia stile, per cui troviamo in Mt, Mc e Lc il
ricorrere di medesimi stilemi. Si tratta di un debito evidente che essi pagano all’autorevolezza
delle fonti da cui dipendono. In Eusebio troviamo una spiegazione plausibile:
se Mc riporta le catechesi di Pietro, è evidente che quando Mt e Lc attingono a
lui sono ben consapevoli dell’importanza di rispettare l’originale. Anche a prescindere dalla letteratura extracristiana
abbiamo dunque fonti indipendenti che parlano di Gesù. Si può obiettare che
esse non dicono su di lui le medesime cose. Questo in parte è vero, in parte
no. Per es. le narrazioni lucane e mattane dell’infanzia sono del tutto
indipendenti, ma su un punto convergono: il nome dei genitori. Da un punto di
vista storiografico questo è un elemento forte, perché identifica con chiarezza
la famiglia di Gesù. In ogni caso vi è totale indipendenza dai sinottici del IV
Vangelo, che per lo più ne integra i racconti, seguendo un disegno teologico e
storiografico completamente diverso.
3. Giovanni e Luca Sebbene Gv 4,46ss sconfessi come storicamente inesatta la
ricostruzione di Lc 7,1ss, molte altre volte Gv dà l’impressione di precisare
sì la versione lucana, ma confermandola. Ad es. Lc 9,10 dà una notizia che non
si trova in Mc e Mt: e cioè che il luogo in disparte in cui si ritira con i
discepoli è Betsaida: ed è Gv che precisa che è la città di Pietro e Andrea. La
formula di intronizzazione di Lc 19,38 è ripresa da Gv 12,13 che sul tema della
regalità insiste come pochi. Si potrebbe aggiungere che le affinità teologiche
fra i due Vangeli sono molte, sebbene la materia trattata sia generalmernte
diversa. Ad es. il tema dell’inaccoglienza del Signore da parte della sua gente
è anticipato, sebbene con diverse modalità letterarie, in entrambi i testi: Lc
2,7; Gv 1,5.10.11 ecc.
4. Elementi di critica interna Un solo punto. Gli scritti del NT abbondano di
fallimenti. Gesù è un seguace del Battista e si fa da lui battezzare; è un re
fallito, tradito e abbandonato dai discepoli nel momento supremo. I discepoli
sono codardi e le donne coraggiose; Paolo si fa ridere dietro dagli Ateniesi,
litiga con Barnaba e rimprovera Pietro; i Corinzi si dividono in fazioni, ecc.
Perché mai «inventarsi» cose simili? Non esiste. La storiografia cortigiana ha
sempre fatto il contrario. Solo un supremo amore per la verità e per l’aderenza
alla realtà poteva indurre scrittori cristiani ad esprimersi in questo modo,
non coprendo l’«increscioso» e l’«imbarazzante». E solo una dottrina
rivoluzionaria poteva portare a una tale libertà interiore e collettiva.
5. Conclusione Dal complesso l’elemento chiaro è che i Vangeli sono
attendibili e si confermano reciprocamente anche quando si sconfessano. Cioè le
precisazioni sono talmente circoscritte, che evidenziano la volontà di
confermare tutto ciò che non sia rettificato. E, d’altra parte, proprio le
piccole correzioni evidenziano una volontà di aderenza storica che aumentano
l’attendibilità complessiva.
Conferme esterne
Le conferme esterne a notizie neotestamentarie sono
troppe perché possa qui farne una rassegna completa. Mi limito dunque ad alcune
particolarmente significative.
1. Testimoni letterari In primo luogo abbiamo una versione araba del Testimonium
flavianum che la critica giudica attendibile e non glossata: «…ci fu un uomo
saggio […] chiamato Gesù. La sua condotta era buona ed era noto per essere
virtuoso. E molti fra i giudei e fra le altre nazioni divennero suoi discepoli.
Pilato lo condannò a essere crocifisso e a morire. Ma quelli che erano
diventati suoi discepoli non abbandonarono il discepolato. Essi raccontarono
che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocefissione e che era vivo;
forse, perciò, era il messia, del quale i profeti hanno raccontato meraviglie».
Questo testo fu pubblicato nel 1971 da Shlomo Pinès, professore ebreo
dell’università di Gerusalemme, e io ne ho dato la traduzione italiana di
Romano Penna. In primo luogo se un professore ebreo dell’università di
Gerusalemme – e dunque il sapere istituzionale ebraico – riconoscono come
autentico questo passo delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio (ebreo),
non vi è motivo di discussione sulla validità storica del documento. Veniamo
all’analisi interna del testo. A) Gesù è un giusto; B) è effettivamente
condannato a morte da Pilato, che lo crocifisse; C) i suoi discepoli non si
disgregarono, ma ne annunciarono la resurrezione; D) forse Gesù era davvero il
messia. Rispetto alle narrazioni evangeliche vi è un solo punto di divergenza
macroscopica: l’omissione delle responsabilità ebraiche nella morte di Gesù.
Ora che un ebreo importante come Giuseppe Flavio ometta le responsabilità della
sua casta, ci sta. È già moltissimo che riconosca l’ingiustizia della condanna
e la possibilità che Gesù fosse il messia.
Un secondo testimone ebraico è TB Sanhedrin 43a che parla
della esecuzione di Jesù nazareno la vigilia della pasqua, che quell’anno
cadeva di sabato. E ciò conferma Gv 19, 14 e 31.
Fra i testimoni extraebraici abbiamo la Lettera al
figlio, del siro Mara bar Sarapion, databile poco dopo il 73 d.C., dove si
parla dell’esecuzione del saggio re degli ebrei, promulgatore di nuove leggi.
Chi scrive è un pagano, e il riferimento a Gesù è chiarissimo, per quanto
implicito. Questo testo conferma i Vangeli dove parlano dell’intronizzazione di
Gesù, e anche dove parlano della sua autorità legislativa (vi do un
comandamento nuovo, ma io vi dico…, ecc.).
Abbiamo poi anche la convergenza di alcuni apocrifi, che
addirittura in qualche caso sembrano conservare un materiale più arcaico di
quello neotastamentario. Cito solo alcuni esempi (pap. sta per papiro): - Ox. pap. 655, 1-17 ? discorso della montagna - Ox. pap. 655, 40ss ? polemica antifarisaica - Ox. pap. 840, 8-45 ? polemica antifarisaica - Pap. Egerton 2, 1-20 ? polemica antifarisaica
giovannea - Pap. Egerton 2, 22-31 ? Gv: tentato omicidio di
Gesù - Pap. 10735 del Cairo, 1ss ? fuga in Egitto
2. Testimoni extraletterari. Le recenti indagini archeologiche hanno scoperto che in
effetti a Gerusalemme, presso la Porta delle Pecore, vi era la piscina a cinque
portici di cui parla Gv 5. E già nel 1927 l’archeologo francese Vincent aveva
portato alla luce il cortile lastricato di circa 2.500 m2 che in Gv 19 viene
detto Litostroto o Gabbatà. In altri termini Giovanni, dando questi dettagli,
indirettamente conferma di essere quel testimone oculare che dichiara
esplicitamente di essere stato, pur nascondendosi nell’anonimato del «discepolo
prediletto».
Ma indubbiamente il reperto più importante è la Sindone,
sulla cui autenticità rimando alle importanti pubblicazioni sul Volto di
Cristo, curate dal prof. H. Pfeiffer.
Conclusioni
Il NT si deve considerare come un insieme di documenti
autentici e complessivamente attendibili. Gesù è veramente esistito, è
veramente morto crocifisso, è veramente stato intronizzato dal Popolo come Re
dei Giudei, ha veramente predicato una dottrina di saggezza profondamente
innovativa, i suoi discepoli hanno da subito continuato la sua opera di
evangelizzazione, predicandone la Risurrezione.
Questioni a margine
1. Gli errori storiografici Il NT include certamente anche diversi errori. Molto
dibattuta è la questione del censimento di Quirino, ma già ho detto che Luca
incorre anche in errori geografici: per es. non risulta che Nazareth fosse
edificata su una rupe. Il punto di fondo è che Luca lavora solo in parte su
documenti scritti, che cerca di armonizzare con i racconti orali che raccoglie.
Probabilmente scrive a Efeso, e può accedere a molto, ma non agli archivi
palestinesi o siriaci. Infine la storiografia del tempo aveva canoni diversi
dai nostri. Si considerava storico anche un racconto che in realtà fosse
sintesi di fatti disparati, o interpretazione benevola di essi. Chiunque legga
Erodoto capisce al volo: quasi sempre vi era un intento morale che oggi ci è
lontano, mentre allora la verità morale era considerata prevalente sul resto.
2. Gli apocrifi del NT Si tratta di scritti antichi, ma tutti posteriori alla
parte apostolica del NT (da Paolo a Giovanni). Sono testimonianze preziose di
ciò che successe dopo, di come fu riletto il messaggio evangelico in alcuni
ambienti; ma non sono affatto più attendibili degli scritti canonici da un punto
di vista storiografico. Ciò non esclude che sporadicamente possano includere
elementi di verità, riferibili all’epoca apostolica. Tuttavia vi è una parte
romanzesca talmente evidente e diffusa che spicca il contrasto con la sobrietà
delle narrazioni neotestamentarie. Soprattutto quando si parla di prodigi, gli
apocrifi sono quasi illeggibili (ossia storiograficamente poco seri. Un solo
esempio: nel Protovangelo di Giacomo vi è un’ostetrica-Salome che non crede al
parto verginale di Maria, per cui le chiede di verificare. Maria concede, ma
quando la donna la toccale si
stacca la mano, che poi guarisce miracolosamente … Si tenga conto che io ho
detto in due righe circa mezza pagina o forse più). Quanto al Vangelo di Tomaso, ne esistono due. Uno è un Vangelo
dell’infanzia, con Gesù che fa volare uccellini di fango e cose simili. Il
secondo è invece un testo copto ritrovato a Nag Hammadi, che è una raccolta di
114 loghia, ossia detti di Gesù. Che qualcuno possa essere effettivamente
autentico o prossimo alle sue parole non lo escludo. Ecco però il loghion 114,
riferito alla Maddalena: «Gesù disse: - Ecco io la guiderò in modo da farne un
maschio, affinché lei diventi uno spirito vivo uguale a noi maschi. Poiché ogni
femmina che si fa maschio entrerà nel regno dei cieli». Da brividi. Non solo vi
è una carica ideologica fortissima che contrasta con l’escatologia sia paolina
che matteana; ma vi è un modo di intendere i rapporti di genere che contrasta
decisamente col dato storico di una Chiesa antica prevalentemente muliebre.
Perché le donne si facevano cristiane in massa? Per essere virilizzate, o
perché sentivano valorizzata la propria femminilità? A me pare molto più
plausibile la seconda ipotesi.
3. Coscioli e altri Ho letto qualcosa delle tesi di Coscioli. Mah… Ciò che
non capisco è la sua impostazione metodologica: cita Giuseppe Flavio solo dove
gli fa comodo, e trascura tutto ciò che sarebbe contrario alle sue tesi
(Testimonium Flavianum, ecc.). Alla fine fa un castello sul niente. Ma non è
l’unico che si è divertito a scrivere sciocchezze su Gesù. Qualche anno fa
Calimani, da buon ebreo, ha fatto una fortuna, scrivendo un libro in cui
sostiene che Gesù è un figlio di una donna di mestiere (non è l’unico:
altrettanto fa A. Masterson, più o meno negli stessi termini, rifacendosi lui
pure a infamie anticristiane del Talmud, non anteriori al sec. II). Di solito
se qualcuno infanga in modo improprio l’onore di un’ebrea si becca subito
l’epiteto di antisemita. Calimani no, e il Talmud neppure: di Maria, ebrea, si
può dire, quando si è vigliacchi e falsi, ciò che si vuole… Ma andiamo…