GLI SCAVI DELL'AREA DI LUNGOTEVERE DI PIETRA PAPA

PARTE II - Gli scavi del 1915 e del 1939

L'area archeologica

 

 

 

Gli ambienti

 

 

 

2.1 I RINVENIMENTI DEL 1915

2.2 GLI SCAVI DEL 1939-1941

2.3 L’ANTICO LUNGOTEVERE PIETRA PAPA

2.4 LE RICERCHE RECENTI

2.1 I RINVENIMENTI DEL 1915

Le prime scoperte di strutture antiche nei pressi del porto fluviale di San Paolo, in località Pietra Papa, proprio di fronte agli impianti elettrici dell’allora società Anglo-romana, risalgono al 1915.

In quell’anno una piena del Tevere distrusse gli argini e fece emergere lungo la riva destra cinque ambienti termali con impianti di riscaldamento, da cui proveniva un pavimento a mosaico con figura di atleti, attualmente conservato al Museo Nazionale Romano.

Dopo il ritiro delle acque furono liberate dalla terra solo quelle parti murarie in cui si vedevano avanzi di costruzioni antiche e pavimenti musivi. Lo sterro si limitò alla sola ripa e a quella parte su cui passava, prima della piena, la via Alzaia.

Il complesso architettonico in "opus reticolatum" con rifacimenti in laterizio del II secolo d.C. evidenzia dei riadattamenti e ciò può significare che questa villa suburbana è stata molto vissuta e, di conseguenza, testimone di una vita attiva sul Tevere. Allora gli ambienti sterrati furono solo 5 e diedero la caratteristica di un edificio termale costruito durante l’impero di Adriano, le cui mura giungevano fino al fiume ritenendo la piscina natatoria lo stesso Tevere. Il motivo per cui si pensò che si trattasse di locali termali è testimoniato dal modo in cui furono costruiti i pavimenti. Infatti le prime due stanze trovate presentavano un pavimento sostenuto da "suspensurae": gettata di coccio pesto da cui fuoriescono pilastrini quadrati (cm 22x40) su cui posano mattoni (60x55) che sostengono una massicciata di coccio pesto (h cm 22) su cui è posto un pavimento a mosaico in bianco e nero con scena di lottatori e iscrizioni.

Da questo locale si accedeva ad una cameretta rettangolare senza via di uscita.

Del 2° ambiente non si conosce tutta la lunghezza perché in parte franato dal lato che guardava il Tevere; pur tuttavia sono rimaste le pavimentazioni in mosaico. Della parte franata si vide una doppia pavimentazione: nella parte inferiore affiorò qualche frammento tutto nero, nella parte superiore, invece, una elegante decorazione composta di tanti circoli neri.

La pavimentazione musiva più integra è quella posta all’inizio dell’ambiente con mattoni su pilastrini bipedali e pareti in mattoni triangolari coperti di intonaco bianco. Il mosaico rappresenta una scena di palestra, circondato da una fascia bianca tra due nere.

Le figure sono nere su fondo bianco e linee di tessere bianche segnano i contorni dei muscoli e le pieghe dei vestiti, le ombre sono disegnate con tessere nere; a sinistra dell’insieme musivo ci sono due lottatori nudi con capelli non rasati: il primo lottatore avanza verso destra, spinge leggermente indietro il braccio destro con le dita appese; tocca la mano destra del 2° lottatore che avanza verso sinistra mentre piega l’avambraccio sinistro; segue, quasi di prospetto, il maestro coperto da un mantello che lascia scoperta la spalla destra; tiene la mano destra abbassata con la palma aperta e l’avambraccio sinistro avvolto nelle pieghe del manto.

Ancora a destra c’è una mezza figura di profilo incompleta per la mancanza delle tessere originali.

In quel punto, in epoca successiva fu posto un murello in parallelepipedi di tufo che divise non solo la stanza ma anche il lungo mosaico in due scomparti. Nel momento in cui si decise di trasferire tutti i mosaici ritrovati al Museo Nazionale Romano, fu abbattuto il murello che oltre a mutilare un’altra figura maschile eretta e di profilo a sinistra, copriva la scritta [Do]mesticus. Il grado di abilità degli artefici non sembrerebbe dei più eccellenti trattandosi probabilmente di un pavimento destinato a un edificio termale suburbano che non doveva essere frequentato da persone eleganti della capitale, ma dai trafficanti sul Tevere.

Anche le iscrizioni che si leggono sui mosaici evidenziano l’uso di un alfabeto volgare dovuto in parte alla poca conoscenza della materia: la forma delle lettere è del 2° secolo e tipica delle lapidi sepolcrali di quel tempo.

Gli altri tre locali, nella parte settentrionale, erano piccoli ambienti sempre dei primi decenni del 2° secolo per la struttura dei muri e insieme costituiscono un lungo corridoio.

Nella prima sezione fu trovato un chiusino con coperchio circolare; nel pozzetto sottostante immetteva un canaletto in terracotta che passava sotto tutto l’ambiente.

Nella seconda sezione si videro segni di porte, chiuse posteriormente alla costruzione iniziale; l’unica apertura rimasta metteva in comunicazione questo ambiente col terzo.

In fondo alla terza sezione si elevava una volta a botte a sesto ribassato

L’operazione di scavo si concluse nel giro di un anno ricoprendo il tutto.

2.2 GLI SCAVI DEL 1939-1941

Gli scavi archeologici nell'area di Pietra Papa ripresero subito dopo che lavori di svasamento delle golene del Tevere, fatti eseguire dall'Ufficio Speciale per il Tevere del Genio Civile, portarono al rinvenimento di frammenti marmorei e materiali laterizi appartenenti ad antichi edifici (Maggio 1939). Purtroppo non fu possibile eseguire un rilievo preciso degli scavi sia per la mancanza di un tecnico proprio della Soprintendenza, sia per la frammentarietà dei ruderi e per il loro carattere eminentemente sostruttivo.

Emersero comunque numerose e complesse strutture di età romana, una grande quantità di reperti, affreschi e mosaici di notevole valore. Tali strutture, distinte in vari nuclei tra i quali non fu possibile stabilire una chiara relazione, mostravano due differenti tecniche edilizie: una prima fase, caratterizzata da opera reticolata di buona esecuzione, databile tra la fine della Repubblica e l'inizio dell'impero, l'altra, che andava a sovrapporsi alla precedente, costituita da reticolato più scadente con ricorsi di laterizi, assegnabile alla prima metà del II secolo d.C.

Ai 5 ambienti termali rinvenuti negli scavi del 1915, se ne aggiunsero altri, riferibili probabilmente a una villa residenziale i cui numerosi locali erano ornati di affreschi e mosaici.

Inoltre lo Jacopi recuperò accanto alla villa altre testimonianze archeologiche che sinteticamente così si possono classificare:

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ambiente con "Suspensurae"

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ambiente con l’apertura del forno di alimentazione per l’aria calda

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ambiente non identificato

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ambiente con volta a botte, decorato con affreschi e mosaico in bianco e nero

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ambiente con affresco e mosaico policromo

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piccolo ambiente rivestito in intonaco bianco con scaletta di accesso

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latrina attigua agli ambienti termali

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locale con due ingressi

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ambiente con rozzo mosaico bianco

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locale di passaggio con volta inclinata

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locale circolare con pavimento a bipedali laterizi

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locale con chiusino di fogna

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punto dove si rinvennero blocchi marmorei, architettonici e decorativi, pertinenti all’edificio Q

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nucleo rettangolare di un podio appartenente ad un piccolo tempio

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basamento in calcestruzzo, circondato da uno zoccolo in travertino forse destinato a sostenere una grande area marmorea

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cisterna

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corridoio decorato con affreschi

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piscina per l’allevamento di pesci

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parte di un locale rivestito in intonaco rossastro con tracce di figura virile inginocchiata e resti di un altare rettangolare

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resti di strutture murarie in Opera Reticolata forse appartenenti a Colombari

 

Inoltre in cumulo di scarico non ben localizzato furono rinvenuti anche dei rilievi in terra cotta, detti "lastre Campana" dal nome del marchese "G. P. Campana" che le sistemò.

Sembra che servissero per delimitare la parte superiore delle pareti decorate con affreschi o stucchi, o come fregio di porte posti l’uno accanto all’altro per rispettare i criteri di simmetria .

La produzione di queste terrecotte, a produzione industriale, uscite dal forno, venivano ritoccate a stecca nei dettagli e dipinte con diverse colorazioni.

Ora ci soffermeremo nella descrizione di alcuni ambienti i cui affreschi sono significativi per risalire all’epoca di costruzione.

Ubicazione delle "stanze"

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 Ambiente T

Alla 1° fase edilizia risale il lungo corridoio con lettera T localizzato a sud del nucleo principale nell’area scavata. La struttura muraria è in opera reticolata con blocchetti di tufo a forma di parallelepipedi. Le pareti risultavano coperte da intonaci dipinti, risalenti pure agli ultimi venti anni del primo secolo a.C. Gli affreschi, a fondo monocromo rosso al di sopra di una fascia nera sono costituiti da una fascia continua di sequenze di uccelli contrapposti separati da un elemento vegetale e posizionati ai lati di un vaso.

Emerge un evidente naturalismo negli elementi vegetali che separano i gruppi di uccelli. L’inquadramento stilistico degli intonaci dipinti di questo ambiente sono riconducibili al terzo stile iniziale.

Ambiente D

Le decorazioni pittoriche dell’ambiente D raffigurano imbarcazioni con personaggi su sfondo acqueo popolato da numerosi pesci.

L’esecuzione tecnica della pittura evidenzia che sia stato steso prima di tutto il fondo verde-acqua e successivamente sono state sopra dipinte, forse a tempera, le varie figure.

Tali decorazioni pittoriche lascerebbero supporre che l’ambiente, rettangolare nelle dimensioni, coperta con volta a botte, posto a un livello inferiore di m 2,70 rispetto alla quota dell’ambiente A, originariamente potesse essere un locale con destinazione di tipo idraulico e ricavato nelle sostruzioni delle strutture più antiche.

La tecnica edilizia impiegata risultava infatti sovrapporsi a una sottostante, in reticolato originario. Sotto l’intonaco dipinto fu rinvenuto uno strato di tegole con un bollo datato 123 d.C.; ciò significa che tale anno rappresenta il riferimento post quem il quale le pitture furono realizzate.

 

La datazione sembrerebbe coincidere con quanto si apprende dal bollettino degli scavi del 1915 in cui, al punto del secondo ambiente si legge che sopra i mattoni parietali erano impressi i bolli riferiti diversi al 123 e.v., due al 126, uno probabilmente inedito, riferibile ai consoli Aproniano e Petino

Inoltre la descrizione che fa lo Jacopi delle decorazioni pittoriche dell’ambiente D ha fatto ipotizzare che fosse, almeno in origine una sorta di ninfeo sotterraneo oppure un vano legato alle sovrastanti terme (locali A e B). Ciò si accorderebbe con lo scavo del ’15 che interpretò i 5 ambienti sterrati riferibili a terme.

L’ambiente D comunicava con il vano F tramite una porta localizzata sulla parete meridionale e con quello E attraverso un’altra porta nel lato est mentre sulla parete settentrionale si apriva una piccola feritoia sull’ambiente c.

Il pavimento del vano era a mosaico, in tassellato bianco e nero a disegno geometrico.

Ambiente E

Ricoperto da una volta a crociera, l’ambiente era in comunicazione con l’ambiente D tramite una porta e presentava un’altra apertura nell’ambiente c . La pavimentazione musiva era policroma affiancata verso sud da un tappeto in tassellato geometrico bianco-nero trovato in cattivo stato.

Tali mosaici presentano le caratteristiche tipiche della seconda metà del terzo-quarto sec. d.C. ; la treccia usata come fascia perimetrale del campo delimita le figure geometriche all’interno del campo stesso: il grande esagono centrale, le decorazioni interne delle figure geometriche costituite da fiori stilizzati e da quadrifogli, i triangoli di risulta con il kantharos con tralci fioriti.

Si ipotizzò che nel momento in cui si rese necessaria la sostituzione del pavimento originale, siano stati mantenuti gli intonaci delle pareti dipinte non oltre la metà del 2° sec. d.C. (spiegamento di imbarcazioni decorate e numerosi pesci.). Probabilmente la messa in opera della nuova pavimentazione non dovette comportare costi elevati per il proprietario che mantenne le decorazioni parietali per la loro originalità e per l’accuratezza dell’esecuzione. Tali analisi varrebbe anche per l’ambiente D : senz’altro la spesa per il rifacimento delle pareti era di gran lunga superiore alla messa in opera di un pavimento a mosaico. L’ambiente E aveva le pareti colorate in verde acqua e viene da pensare che avesse le stesse funzioni del vano D.

Ambiente C

E’ un piccolo vestibolo in cui si aprivano nel lato sud la finestrina del lato D e la porta d’ingresso del vano E; nella parte occidentale forse, al di sopra di una zoccolatura marmorea, c’era un affresco raffigurante una Nereide (nella mitologia greca è una ninfa del mare) che cavalca un ippocampo.

Sulla parete ovest c’è ancora una spigola in basso e a destra un sarago fasciato. I pesci in genere sono raffigurati per lo più in movimento.

La raffigurazione dell’ambiente marino fa dunque da sfondo a un tema mitologico. Le proporzioni fra gli animali marini e le barche non sono coerenti, né realistiche; i personaggi raffigurati non sembrerebbero pescatori in quanto compiono operazioni di ormeggio e non di pesca.

Le barche sono prive dell’albero maestro e delle vele e quindi riferibili a battelli fluviali di gala.

L’accostamento dei diversi soggetti, fluviali e marini da una parte e mitologici dall’altra, mostra una certa disorganicità dei dipinti benchè la tecnica pittorica sia, anche in questo ambiente, di elevata abilità e approfondita conoscenza.

Escludendo quelle dell’ambiente T, tutte le pitture parietali degli altri vani descritti potrebbero pertanto essere lette come una originale rielaborazione realizzata dalle maestranze attive a Roma intorno alla metà del secondo sec. d.C., momento in qui accanto alla ripresa di elementi propri della tradizione greca, comincia ad affiorare un linguaggio figurativo nuovo che rivela il graduale dissolversi delle regole formali, quali le proporzioni tra le singole parti, il senso della spazialità e la prospettiva.

 Secondo la tesi dello Jacopi lo stile degli affreschi è da rintracciare in quelle stesse scene nautico-fluviali nilotiche dell’ambiente egizio-africano; il che è da far risalire al fatto che la presenza della regina egizia Cleopatra negli horti Caesaris (Cic. Ad. Att.XV, 15,2) avrà probabilmente determinato in questa zona la presenza di artisti alessandrini di cui si può pensare l’esistenza al suo seguito. Inoltre la ripresa costruttiva determinatasi nella zona nel secondo sec. d.C., sebbene si possa considerare conclusa a Roma la diretta influenza degli artisti alessandrini, avrà avuto sottocchio dei decorativi degni di imitazione; anche le denominazioni in greco dei battelli erano etnicamente predisposti a tale assimilazione e non è improbabile che fossero riproduzioni degli artisti greci d’Egitto. Tale ipotesi può essere verosimile se si tiene conto dell’ubicazione dell’edificio, trovandosi questo in prossimità dell’Emporio, frequentato da un buon numero di marinai e trafficanti alessandrini. Forse uno di questi era il ricco od arricchito proprietario e committente delle pitture, sia che si debba pensare a una sontuosa villa privata, sia che la continuazione, se ci sarà, delle esplorazioni dimostri che si tratti di uno stabilimento termale. Ancora oggi non è possibile avere un’idea precisa della vera estensione di tutto il complesso architettonico.

 Tempio della dea Fortuna:

Circa cento metri a valle dell’edificio in questione, lo Jacopi trovò un podio rettangolare in opera a sacco conservante ancora impronte dei blocchi divelti del rivestimento; in giro e sopra di esso furono recuperati tre grandiosi massi marmorei con decorazioni a motivi vegetali e altri mutilatissimi avanzi di un fregio marmoreo raffigurante dei trofei.

Il carattere di tutto ciò per lo Jacopi ben si adattava a quello di un certo tempio cercato: quello della dea Fortuna. L’edificio termale o villa residenziale sorgeva nelle immediate vicinanze della sponda destra del fiume Tevere che era arginata e presentava tre pilastri di ormeggio per le barche; poco più lontano furono trovati altri due grandi blocchi con la stessa funzione il tutto, per lo Jacopi sembrerebbe accordarsi con la tradizione letteraria che vuole uno dei templi della dea Fortuna negli orti di Cesare e altri tre sulle rive del Tevere (Tacito Ann. II, 41;Plutarco, Brutus, 20).

Per una precisazione topografica con valore assoluto occorrerebbe sapere da quale punto si debba calcolare il miglio che viene riportato nei Fasti Amit. ad VIII Kal.inl. e nei Fasti Esq. "Fors Fortuna ad miliarium primum".

Per il Lanciani e il Lugli gli orti di Cesare sono da collocarsi sulla destra della via Portuense alle prime pendici dei colli di Monteverde; quindi, secondo i due topografi è poco probabile che tali orti si estendessero tanto fuori le mura Aureliane fino a includere la zona su cui ci siamo soffermati in particolare: Pietra Papa. Pertanto per il Lanciani, considerando come punto di partenza il fiume Tevere presso il ponte Emilio, indica nell’odierna stazione di Trastevere il miglio in questione, calcolando le distanze per il resto della città dalle mura serviane.

Per lo Jacopi Trastevere essendo fuori dalle mure Serviane avrà avuto come punto di riferimento il limite abitativo, di conseguenza il calcolo di quel miglio ricadrebbe press'a poco nell’ambito dello scavo di Pietra Papa; in tale scavo, essendo stati ritrovati vicino al podio su ricordato resti considerevoli di una ara marmorea, un grossa lucerna recante a rilievo una figura femminile troneggiante con cornucopia addossata al petto e la patera nella mano destra, tutto ciò fa pensare ad una immagine che ben di addice all’identificazione con la Fortuna. Inoltre le decorazioni pittoriche dei locali sterrati nel 39 con il loro lussuoso spiegamento di battelli da diporto potrebbero essere ispirate a quelle feste gioconde che si celebravano in parte sul fiume il 24 Giugno per la ricorrenza del tempio della Fortuna, come si legge nei Fasti di Ovidio (VI, 776-784).

Lo scrittore latino Ovidio insiste sul carattere plebeo, e persino servile, del culto alla dea Fortuna, tanto che i templi, posti tra il primo e il quinto miglio della via campana potrebbero essere quattro.

Sintetizzando l'analisi dei ritrovamenti, ad un primo nucleo di ambienti, contrassegnati nella pianta dalle lettere A-C, fu attribuita una funzione termale, per la presenza di suspensurae e di un forno di alimentazione per il riscaldamento.

Ad una quota inferiore rispetto ai vani A-C, si trovano gli ambienti D-F, riferibili alla seconda fase edilizia, da cui provenivano gli affreschi con imbarcazioni e fauna marina attualmente conservati al Museo Nazionale Romano.

Un altro gruppo di strutture termali era localizzato più a nord, tra il precedente nucleo e la riva del Tevere: la latrina G, gli ambienti H-L, il vano circolare M, l'attiguo vano N, probabilmente riferibili alla prime fase edilizia, mostravano tuttavia rimaneggiamenti successivi. Alla prima fase fu attribuito anche il lungo muro perimetrale h, in reticolato di ottima fattura, parallelo all'arginatura del fiume. Coma piscina o vivaio per pesci fu interpretato l'ambiente U, posto ad ovest del muro precedente:

La cisterna S, di forma rettangolare, fornita di scalette per la manutenzione, era probabilmente adibita all'alimentazione degli ambienti termali circostanti:

Procedendo verso sud, fu quindi messo in luce un lungo corridoio, T, costruito in opera reticolata di tufelli relativa alla prima fase edilizia, da cui provengono i tratti di zoccolo affrescato riferibili al terzo stile iniziale, conservati al Museo Nazionale Romano.

 

Il nucleo cementizio Q, nei pressi del quale si rinvenne una grande quantità di frammenti marmorei, contrassegnati con la lettera P, pertinenti alla decorazione architettonica, fu interpretato da Jacopi come podio di un tempio, ipoteticamente identificato con quello di Fors Fortuna:

La lettera R indica un basamento rettangolare intorno al quale furono rinvenute varie sepolture alla cappuccina e in anfore, da cui provengono numerose iscrizioni funerarie.

Gli ambienti Y e Y', costruiti in reticolato con ammorsature di tufelli, furono ipoteticamente interpretati come colombari.

Infine, particolarmente interessante per la conoscenza del sistema di arginatura del Tevere in età romana risulta il rinvenimento, nell'ambito dello scavo, di alcuni tratti dell'argine antico, costruito in opera reticolata con ricorsi di laterizi, databile ad un periodo posteriore al 134 d.C., analogo a quello messo in luce nella zona della Marmorata.

Arretrato di circa 1m rispetto alla linea dell'argine suddetto, fu inoltre rinvenuto ancora in situ un cippo relativo alla delimitazione augustea del fiume, avvenuta nel 7 a.C.. Tale cippo era collocato allo stesso livello delle fondazioni in reticolato della prima fase, confermando quindi la datazione delle murature originali.

 

Altre immagini degli scavi degli anni 40 (da Jacopi)

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La pianta d'insieme pubblicata dal Dott. Giulio Jacopi, ispettore della Soprintendenza alle Antichità di Roma, è il risultato del rilievo sommario effettuato dall'impresa del Genio Civile, spesso impreciso, come nel caso del blocco D-E-F.

Inoltre pare che i confini dell'area archeologica fossero di gran lunga superiori a quelli lasciati come "riserva". In realtà lo scavo non presenta un carattere di unitarietà, proprio per la natura complessa e frammentaria dei ruderi, quindi è possibile studiare l'area per "episodi" che sono indicati con delle lettere. Nelle sue conclusioni topografiche lo Jacopi afferma che il gruppo di costruzioni rinvenute probabilmente apparteneva al complesso degli Horti Caesaris.

 

Contestualizzazione delle immagini 1, 2 e 3

 

Immagine 1: verso la Basilica di San Paolo

Immagine 2: Il muro

Immagine 3: la scalinata

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   2.3 L’ANTICO LUNGOTEVERE PIETRA PAPA

Il complesso architettonico era collocato al di là dell’arginatura che seguiva la curvatura dell’ansa del fiume, cui si accedeva tramite uno scivolo in "opus mixtum" (reticolato e laterizio) interrotto da una scaletta in travertino di undici gradini di cui nel 1959 se ne vedevano ancora cinque.

Non sembrava una rampa di accesso commerciale vera e propria perché la scalinata era appoggiata alla costruzione, privata o pubblica?, poco probabile utilizzata per un viavai continuo di attracco delle barche che lì forse potevano attendere che si liberasse un posto nel porto vicino ai magazzini, o, chissà poteva essere un posto di ormeggio per pagare le tasse. Fatto è che il Lungotevere Pietra Papa già esisteva nel II sec. d.C. come testimoniò un tracciato a sua volta determinato da una picchettazione dell’ottavo sec. a.C. di qui molti pezzi sono stati scoperti sul posto nel 1939.

A delimitare la sponda c’erano pure dei cippi in travertino che, fino al Giugno del 1947 erano rimasti sommersi dal notevole innalzamento del livello del fiume. Pure dei Cippi di Pietra Papa riferibili ai consoli C.Marcius Censorinus e C.Asinius Gallus, si ha notizia fin dall’ottavo secolo; ma se essi hanno sfidato le piene del fiume rimanendo isolati al centro della corrente, senza essere travolti non sono riusciti però la mano dell’uomo che forse li ha travolti sotto i colpi di qualche ruspa o portati via senza dare di loro segni di vita.

 2.4 LE RICERCHE RECENTI

Recenti ricerche nel Tevere effettuate da C. Mocchegiani Carpano hanno evidenziato la presenza di resti di banchine in conglomerato cementizio nell'area di Pietra Papa sulla riva destra e hanno insieme dimostrato l'esistenza di strutture in opera a sacco nel centro del fiume, collegate con la sponda sinistra. Tali rinvenimenti, insieme ai dati emersi dagli scavi del 1939, permettono di stabilire che il corso del Tevere ha subito nel tratto a monte dell'attuale ponte G. Marconi, una sensibile variazione, consistente nell'insabbiamento della riva destra e nell'ampliamento del letto del fiume sul lato opposto.


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