ARCHIMEDE DI SIRACUSA

Cosa ne dice la storia

Ecco qua cosa scrive lo storico Plutarco riguardo ad Archimede durante l'assedio di Siracusa intrapreso dal'esercito romano nel 214-212 a.C. guidato dal console Marcello.
 
I Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l'impeto di un attacco di forze in tali proporzioni. Ma Archimede cominciò a caricare le sue macchine e a far piovere sulla fanteria nemica proiettili di ogni genere. Grandi masse di pietra cadevano dall'alto con fragore e velocità incredibili, né c'era modo di difendersi dal loro urto: rovesciavano a terra tutti coloro che incontravano, e scompigliavano i ranghi. Contemporaneamente dalle mura venivano proiettati in fuori all'improvviso dei lunghi pali, che si puntavano in direzione delle navi e le affondavano senza rimedio, colpendole dall'alto con dei pesi,oppure le sollevavano diritte, afferrandole per la prua con delle mani di ferro o dei becchi simili a quelli delle gru, per poi immergerle nell'acqua con la poppa. Altre, mediante cavi azionati dall'interno della città, erano fatte girare e sballottate qua e là, finché si sfracellavano contro le rocce e gli scogli posti sotto le mura, con grave massacro degli uomini che erano a bordo, i quali facevano la stessa fine della nave. […] Era uno spettacolo terrificante […] Marcello vide i Romani così atterriti che, appena si avvistava una fune o un legno sopra le mura: "Eccolo - gridavano - Archimede sta dirigendo qualcuno dei suoi ordigni contro di noi" e si davano alla pazza fuga . Soprassedette quindi a qualsiasi operazione militare, combattimenti o assalti, e per il resto affidò al tempo l'esito dell'assedio.
 
Archimede possedette tuttavia uno spirito così elevato, un'anima così profonda e un patrimonio così grande di cognizioni scientifiche, che non volle lasciare per iscritto nulla di quelle cose, cui pure doveva un nome e la fama di una facoltà comprensiva non umana, ma pressoché divina. Persuaso che l'attività di uno che costruisce delle macchine, come di qualsiasi altra arte che si rivolge ad un'utilità immediata, è ignobile e grossolana, rivolse le sue cure più ambiziose soltanto a studi la cui bellezza ed astrazione non sono contaminate da esigenze di ordine materiale. E i suoi studi non ammettono confronti con nessun altro. […] Non c'è dunque ragione di credere a quanto si dice di Archimede, e cioè che viveva continuamenteincantato da questa che potremmo chiamare una Sirena a lui familiare e domestica, al punto da scordarsi persino di mangiare e di curare il proprio corpo. Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno per lavarlo ed ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure geometriche; e appena lo avevano spalmato di olio, tracciava sulle proprie membra delle linee col dito, tanto lo dominava il diletto ed era prigioniero, veramente delle Muse.

Molte e mirabili furono le scoperte che egli fece; ma sulla tomba pregò, si dice, gli amici e i parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione dell'eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto.
 

(Plutarco, Vita di Marcello,14-17)
Traduz. A. Giardina, B. Gregori)