LA REVUE DU M.A.U.S.S. E IL
MOVIMENTO ANTIUTILITARISTA
(traduzione dei testi presentati sul sito: www.revuedumauss.org)
1) Breve storia e
presentazione
La decisione di fondare la Revue du MAUSS è stata presa nel 1981 da alcuni universitari, sociologi, economisti e antropologi francesi insoddisfatti dell’evoluzione avvenuta in quel periodo nelle scienze sociali. Essi ritenevano questo campo ormai sottomesso all’egemonia del modello economico e a una visione puramente strumentale della democrazia e dei rapporti sociali.
Il riferimento a Marcel Mauss e alla critica all’utilitarismo, che ispirava già la Scuola Sociologica francese sulla scia di Émile Durkheim, permetteva di raccogliere le energie critiche in modo abbastanza chiaro ed esplicito. Così fu creata nel 1901 un’associazione che subito decise di pubblicare una rivista, concepita inizialmente soltanto come strumento di legame e di discussione, tuttavia capace non solo di assumere le valenze[s1] teoriche del progetto ma anche di aprirsi ai non-universitari, ai militanti e a tutti quelli preoccupati di riflettere al di fuori dei corporativismi disciplinari e del gergo accademico.
All’inizio trimestrale e totalmente artigianale, La Revue du MAUSS, era chiamata inizialmente Le Bulletin du MAUSS (1982-1988). In seguito, dopo la sua ripresa da parte delle edizioni La Découverte nel 1988, La Revue du MAUSS è diventata semestrale nel 1993.
Nel corso degli anni, la rivista è riuscita a interessare un pubblico ben più vasto di quello che era inizialmente e a trovare autori e lettori anche al di fuori della Francia stessa. Inoltre, andando oltre la posizione esclusivamente critica degli inizi, ha contribuito gradualmente allo sviluppo di tutto un’insieme di teorie e di approcci alternativi -di cui il minimo comune denominatore è probabilmente la cosiddetta teoria del dono-, che la rendono attualmente l’organo di una corrente di pensiero originale nel campo delle scienze sociali e della filosofia politica.
2) Cosa si
dice del MAUSS
Un navigatore della rete
australiano ci ha segnalato questo articolo di uno studioso americano, che
aveva letto nella rivista on-line In These Times. Con l’autorizzazione
dell’autore, lo riproponiamo qui di seguito in quanto fornisce una
presentazione perfetta (e simpatica) sia
della figura che dell’opera di Marcel Mauss, e dello spirito che guida La
Revue du MAUSS.
Donate dunque! i nuovi
“Mausschettieri”
di David Graeber (1)
Vi siete accorti che non
nascono più dei nuovi intellettuali in Francia? Alla fine degli anni ’70 e
all’inizio degli anni ’80, ce ne erano addirittura troppi: Derrida, Foucault,
Baudrillard, Kristeva, Lyotard, de Certeau… Ma, in seguito, quasi più nessuno.
Di colpo gli studiosi di tendenza e gli intellettuali all’ultima moda sono
stati costretti a riciclare le teorie di
20 o 30 anni fa, oppure a ricercare
meta-teorie mirabolanti in paesi come l’Italia o addirittura la
Slovenia.
Ci sono molte ragioni per questo fatto. La prima è correlata all’evoluzione politica della Francia nella misura in cui si assiste ad uno sforzo concertato da parte dei media per rimpiazzare i veri intellettuali con delle teste svuotate e pontificanti [s2]all’americana. Questo sforzo non è tuttavia stato coronato pienamente dal successo. La ragione più importante risiede nell’impegno politico crescente dell’ambiente intellettuale francese. La stampa americana mette una sorta di black-out sulla “pagina” culturale che riguarda la Francia da quando essa, con i grandi scioperi del 1995, è diventato il primo Paese ad aver respinto radicalmente il “modello americano” dell’economia, rifiutando di smantellare il suo sistema di protezione sociale. Subito nella stampa americana la Francia apparve con le sembianze di un allievo mediocre che si sforzava invano di nuotare controcorrente rispetto alla storia.
Certamente non era questo che disturbava i lettori americani abituali di Deleuze e Guattari. Quello che gli studiosi americani si aspettano dalla Francia è il prestigio intellettuale, la capacità di farci vibrare attraverso idee provocatorie e radicali – che dimostrino per esempio la violenza delle concezioni occidentali della verità o dell’umanità, o cose del genere-, ma in un modo che non implichi nessun programma politico determinato né, più in generale, un appello qualunque a impegnarsi concretamente in tutte le cose. Non è difficile capire il perché del ragionamento di questa categoria sociale –i ricercatori e gli studiosi- alla quale sia le élite politiche che il 99% della popolazione negano la minima pertinenza in materia di politica. In poche parole, mentre i media americani insistono sulla follia francese, gli studiosi sono alla ricerca di pensatori francesi glamour.
Ecco perché non sentite mai parlare di alcuni fra più interessanti ricercatori della Francia di oggi. Come, per esempio, questo gruppo di intellettuali riuniti sotto il nome, piuttosto scomodo, di Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali, o anche M.A.U.S.S., che ha deciso di opporsi ai fondamenti filosofici della teoria economica. Questo gruppo trae ispirazione dal celebre sociologo francese degli inizi del ventesimo secolo, Marcel Mauss, la cui opera più famosa, l’Essai sur le don (1924), è senza dubbio la più magnifica confutazione mai scritta delle ipotesi che sono alla base della teoria economica. In un’epoca in cui ci viene ripetuto allo sfinimento che il “libero mercato” è il risultato naturale e necessario della natura umana, il lavoro di Mauss –che dimostra che non soltanto la maggior parte delle società non occidentali non si basano sui principi del mercato, ma che questo vale ugualmente per la maggioranza degli Occidentali moderni- risulta più pertinente che mai.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Mauss è nato nel 1872 da una famiglia ebrea praticante dei Vosgi. Suo zio, Émile Durkheim, è considerato il fondatore della sociologia moderna. Durkheim si è circondato di una cerchia di brillanti collaboratori, tra i quali Mauss, affidato allo studio della religione. Questa cerchia, tuttavia, fu decimata a causa della I Guerra Mondiale. Molti scomparvero in trincea, tra cui il figlio di Durkheim, e lui stesso morì poco dopo di dispiacere. Rimaneva soltanto Mauss per rimettere insieme i pezzi.
Ogni cosa ci dice che egli non fu mai preso pienamente sul serio nei panni di presunto erede. Uomo di straordinaria cultura (parlava almeno dodici lingue, tra cui il sanscrito, il maori e l’arabo classico), gli mancava tuttavia l’ austerità che ci si aspetta da un grande professore. Pugile amatore in gioventù, di stazza robusta, di genere giocherellone e piuttosto originale, era più incline a giocare contemporaneamente con una decina di idee brillanti piuttosto che a mettere in piedi dei grandi sistemi filosofici. Egli trascorse la sua vita a lavorare contemporaneamente a cinque libri diversi (sulla preghiera, la nazione, le origini della moneta, ecc…) senza mai terminarne nessuno. Eppure, egli riuscì a creare una nuova generazione di sociologi e ad inventare, praticamente da solo, l’antropologia francese pubblicando una serie di saggi incredibilmente innovatori di cui ciascuno ha dato vita a un’intera faccia della teoria sociologica.
Mauss era inoltre un socialista rivoluzionario. Già da studente egli dà il proprio contributo alla stampa di sinistra e resterà per quasi tutta la sua vita un membro attivo del movimento cooperativo. Fondatore di una cooperativa di consumo parigina, della quale aiutò a lungo la gestione, fu incaricato di prendere i contatti con il movimento cooperativo straniero (è a questo titolo che egli trascorse qualche tempo in Russia dopo la Rivoluzione). Mauss non era marxista. Il suo socialismo si inseriva piuttosto nella linea di Robert Owen o di Pierre-Joseph Proudhon. Egli rifiutava la credenza, comune ai comunisti e ai social-democratici, che la società potesse essere in primo luogo dall’azione statale. Il ruolo dello Stato, secondo lui, era piuttosto quello di fornire un quadro legale a un socialismo che doveva invece emergere dalla base creando delle istituzioni alternative.
La rivoluzione russa da una parte lo eccitava, per la prospettiva di una esperienza socialista autentica, ma dall'altra lo spaventava, per il ricorso sistematico dei bolscevichi al terrore, la soppressione delle istituzioni democratiche a la "dottrina cinica del fine giustifica i mezzi", che non era altro, pensava, che l'amoralità del calcolo mercantile leggermente trasposta.
L'Essai sur le don rappresenta prima di tutto una risposta agli avvenimenti in Russia - e in particolare alla Nuova Politica Economica decretata da Lenin nel 1921, che rinunciava ai tentativi precedenti d'abolire il commercio. Se persino in Russia, che era probabilmente la società europea meno monetarizzata, si rivelava impossibile abolire il mercato per decreto, allora con ogni evidenza - era la deduzione di Mauss - bisognava che i rivoluzionari riflettessero molto più seriamente sul mercato, sulle sue origini e su ciò che potrebbe seriamente rimpiazzarlo.
Le conclusioni di Mauss sono sorprendenti. Innanzitutto, sembra che quasi tutto quello che la scienza economica ha da dire sulla storia economica sia falso. L'ipotesi condivisa da tutti i fanatici delle libera concorrenza, allora come oggi, è che il movente essenziale degli esseri umani sia il desiderio di massimizzare i propri piaceri, comfort e possedimenti materiali (in una parola, la propria "utilità") e che quindi ogni interazione umana significativa possa essere analizzata in termini di relazioni mercantili. All'origine, spiega la versione ufficiale, c'era il baratto. Per ottenere ciò che si desiderava si era obbligati a scambiare direttamente un bene per l'altro. Ma siccome non era pratico, fu necessario inventare la moneta e farne il mezzo di scambio universale. Le tecniche di scambio che apparvero in seguito (il credito, la finanza, le Borse) non furono altro che semplici conseguenze logiche di questa prima invenzione.
Mauss, però, si rese presto conto che nessuna società si è mai fondata sul baratto. Al contrario, ciò che gli antropologi scoprivano in quegli anni erano società nelle quali la vita economica si ispirava a principi profondamente differenti, gli oggetti circolavano sotto forma di doni e tutto ciò che consideriamo rilevante nell'azione "economica" si basava su una dimostrazione di generosità e sul rifiuto di stabilire con precisione chi ha dato e a chi.
A volte queste "economie del dono" potevano diventare molto competitive, ma in modo radicalmente opposto al nostro: i vincenti non erano coloro che accumulavano di più, ma coloro che donavano di più. In casi famosi come quello dei Kwakiutl della Columbia Britannica, ciò poteva portare a drammatiche sfide di generosità, nelle quali capi ambiziosi si sforzavano di schiacciarsi a vicenda distribuendo migliaia di braccialetti d'argento, coperte minuziosamente lavorate o macchine per cucire Singer. A volte i contendenti arrivavano a distruggere le loro ricchezze - gettando in mare i gioielli di famiglia o bruciando enormi mucchi di beni preziosi - per sfidare poi i loro rivali a fare altrettanto.
Tutto questo può sembrare molto esotico. Ma fino a che punto, s'interrogava Mauss? Persino nella nostra società, non c'è qualcosa che suona strano nell'idea del dono? Come mai chi riceve un dono da un amico (una bottiglia di vino, un invito a cena, un complimento) si sente in qualche modo obbligato a ricambiare? Non si tratta forse di esempi di sentimenti umani universali, che le nostre società considerano poco importanti, mentre in altre costituiscono la base del sistema economico? E persino nel sistema capitalistico occidentale, gli impulsi e i criteri morali di questo tipo non sono forse alla radice delle aspirazioni a visioni alternative del mondo e a una politica socialista?
Secondo Mauss, nelle economie che si fondano sul dono gli scambi non presentano quel carattere impersonale che assumono sul mercato capitalista. In effetti, persino quando oggetti di grande valore passano di mano, ciò che importa veramente è la relazione tra le persone; l'oggetto dello scambio è la creazione di legami d'amicizia o la messa in gioco di rivalità e obbligazioni. E' solamente a margine che si tratta di far circolare ricchezze. Di conseguenza tutto è personalizzato, anche la proprietà: nelle economie del dono i beni più preziosi - gioielli di famiglia, collier, armi, mantelli di piume - sembrano possedere una personalità propria.
In una economia di mercato avviene esattamente il contrario: le transazioni appaiono unicamente come il mezzo per appropriarsi di beni utili. In teoria le qualità personali dell'acquirente e del venditore sono totalmente non pertinenti. Ne risulta che le persone stesse sono trattate come se fossero cose.
Mauss non seppe mai bene quali conclusioni pratiche trarre da queste osservazioni. L'esperienza russa l'aveva convinto che le relazioni d'acquisto e di vendita non possono essere limitate da una società moderna, almeno "in un avvenire prevedibile", ma anche che ci si può sbarazzare dell'ethos del mercato. E' possibile organizzare il lavoro su basi cooperative, garantire una protezione sociale effettiva e creare un nuovo ethos secondo il quale la sola giustificazione alla ricchezza sarebbe la capacità di donare tutto, per una società in cui i valori più importanti consisterebbero nella "gioia di dare in pubblico, nella spesa artistica generosa, nel piacere dell'ospitalità in feste pubbliche o private"
Anche se tutto questo può sembrare un po' ingenuo, le intuizioni centrali di Mauss sembrano ancora più penetranti oggi che la "scienza economica è diventata la religione rivelata dell'età moderna. Questa, era in ogni caso, la convinzione dei fondatori del MAUSS
Il progetto del MAUSS nasce nel 1981 a seguito - sembra - di un pranzo tra il sociologo francese Alain Caillé e l'antropologo svizzero Gerald Berthoud. Durante un convegno interdisciplinare sul dono, i due constatano con stupore che nessuno degli studiosi riuniti sembra supporre che la generosità o una sincera preoccupazione per il benessere altrui possano costituire moventi significativi del dono.
Il presupposto comune è che "i doni in realtà non esistono: grattate abbastanza in profondità e finirete sempre per scoprire, dietro ogni azione umana, una strategia di calcolo egoista" . L ipotesi dei congressisti è che questa strategia egoista costituisca sempre e necessariamente la verità profonda di ogni questione. Come se scientificità e obiettività fossero sinonimi di cinismo.
Perché quest’obbligo di cinismo? Per spiegarlo Caillé tirò in ballo il cristianesimo. Roma antica preservava ancora qualcosa del vecchio ideale aristocratico della generosità. I notabili edificavano monumenti e giardini e sovvenzionavano i giochi più magnifici. Ma, evidentemente questa generosità era anche offensiva: una delle consuetudini favorite dei ricchi consisteva nel gettare monete d'oro e gioielli alla folla e Stare a guardare i poveri che si battevano nel fango per impossessarsene. E' in reazione a queste pratiche odiose che i primi cristiani svilupparono la loro concezione della carità. La vera carità non deve poggiare su alcun desiderio di affermare la propria superiorità, di ricavarne dei favori o, più in generale, su alcun motivo egoistico di qualunque tipo. Se si può ritenere che il donatore abbia guadagnato qualcosa dal suo atto, allora non si è trattato di un dono.
Ma questa visione a sua volta, solleva problemi senza fine, poiché è molto difficile immaginare un dono che non porti nulla in cambio. Anche un atto assolutamente esente da egoismo può essere fatto nella prospettiva di guadagnare il paradiso. Così fu presa l'abitudine di scrutare in ogni atto la parte di egoismo che vi si cela e di considerare che è quella che conta veramente.E' lo stesso movimento del pensiero che si ritrova sistematicamente nelle scienze sociali moderne. Gli economisti, come i teologi cristiani considerano che se c'è del piacere in un atto generoso allora in un modo o ne11'altro quell'atto non è generoso come sembra. Divergono solo sulla valutazione morale della cosa. E' per contrastare questa logica particolarmente perversa che Marcel Mauss insisteva sul piacere e sulla gioia di dare. Nelle società tradizionali, nessuno vedeva una contraddizione tra ciò che potremmo chiamare il proprio interesse o interesse egoistico (nozione intraducibile nella maggior parte delle lingue umane) e le preoccupazioni degli altri. Il punto fondamentale ne1 dono tradizionale è che obbedisce ai due motivi contemporaneamente.
E' in questo genere di discussioni che s'impegnò il piccolo gruppo di studiosi francofoni (Alain Caillè, Gerald Berthoud, Ahmet Insel, Serge Latouche, Paulette Taieb) che in seguito sarebbe diventato il MAUSS. Il gruppo sorse intorno a una piccola rivista, battezzata Bulletin du MAUSS stampata alla buona e su carta pessima, che gli autori concepivano più come uno scherzo che come l'inizio di un serio lavoro scientifico o addirittura come il portabandiera di un vasto movimento internazionale allora inesistente. Questi studiosi rifiutavano la schiavitù dell'utilità che a partire dall'economia ha finito per condizionare tutti gli ambiti dell'umano. Ad essa contrapponevano il dono, cioè qualsiasi prestazione di beni e di servizi effettuata senza garanzia di restituzione al fine di creare, alimentare o rigenerare il legame sociale. Si tratta di un fenomeno nel quale ciò che realmente importa non è il valore d'uso di ciò che si scambia, quanto piuttosto i1 valore della relazione umana che si stabilisce fra le parti. Caillé scriveva manifesti Insel si divertiva a immaginare i grandi congressi mondiali antiutilitaristi dell'avvenire, gli articoli sull'economia si alternavano a estratti di romanzi russi. Ma progressivamente, il movimento iniziava a prendere corpo.
Nel corso degli anni il MAUSS ha saputo interessare un pubblico ben più vasto di quello iniziale, e trovare autori e lettori fuori della Francia. A poco a poco superando la posizione puramente critica degli inizi, ha contribuito allo sviluppo di tutto un insieme di teorie e di approcci originali che fanno ora apparire la Revue du MAUSS come l'organo di una corrente di pensiero originale nel campo delle scienze sociali e della filosofia politica.
Negli anni Novanta il MAUSS è diventato ormai una rete di ricercatori formata da sociologi, antropologi, economisti, storici e filosofi d'Europa, Nord Africa e Medio Oriente, che si esprimono attraverso la rivista, i libri e gli incontri annuali.
Dopo gli scioperi del 1995 e l’elezione di un governo socialista, le opere dello stesso Mauss hanno riconquistato un interesse considerevole in Francia con la pubblicazione di una nuova biografia e di una raccolta dei suoi scritti politici. Dal canto suo, il gruppo del MAUSS si è impegnato sempre di più in politica. Nel 1997, Caillé scrive un lungo articolo intitolato “30 tesi per una nuova sinistra”, e il MAUSS inizia a dedicare i suoi incontri annuali a temi politici.
La risposta dei “Maussiani” alle continue ingiunzioni di adottare il “modello americano” e di smantellare il sistema francese di previdenza sociale fu di cominciare a diffondere un’idea inizialmente difesa dal leader della Rivoluzione americana Thomas Paine: il reddito minimo garantito. La vera riforma della protezione sociale, spiega il MAUSS, non passa dalla liquidazione degli acquisti sociali, ma dalla riformulazione completa di quello che lo Stato deve ai cittadini. Sbarazziamoci degli stages[s3] e delle politiche specifiche per i disoccupati, e al loro posto creiamo un sistema attraverso il quale a tutti i cittadini francesi venga garantito uno stesso reddito di base (per esempio, 20000 euro versati direttamente dallo Stato). Poi, a ciascuno di giocarsi [s4](2).
Non è molto semplice collocare questa sinistra maussiana, tanto meno che a volte M. Mauss è presentato come un’alternativa a Marx. Sarebbe abbastanza facile evitarlo presentando i Maussiani come dei super-social-democratici, non troppo preoccupati di trasformare radicalmente la società. Riconoscendo che il mercato è in parte inevitabile, le “30 tesi” di Caillé per esempio si collegano a Mauss; ma come quest’ultimo, esse mirano all’abolizione di un capitalismo definito dal perseguimento del profitto finanziario, diventato poi fine a sé stesso. A un altro livello tuttavia l’attacco maussiano contro la logica del mercato è diversamente più profondo e più radicale di tutti quelli che troviamo oggi in campo intellettuale. Ed è proprio per questo motivo che gli intellettuali americani, e particolarmente quelli che si ritengono i più radicali e i più pronti a sviscerare tutti i concetti –tranne quelli di attrattiva del lucro o di egoismo- non sanno semplicemente cosa fare dei Maussiani e del fatto che il loro lavoro è ignorato da tempo.
NOTE:
(1) David Graeber è professore di antropologia all’università di Yale, USA. Questo articolo è apparso nella rivista In These Times il 21 agosto 2001, con il titolo “Give it away”, e segnalato in copertina con il titolo in grassetto “The new maussketeers”.
(2) Qui, David Graeber attribuisce al MAUSS le prime posizioni presentate in realtà all’inizio da Philippe Van Parijs con il nome di sussidio[s5] universale, mentre il MAUSS difende un reddito di cittadinanza per niente incompatibile con il mantenimento del salario minimo e di certe misure di politica sociale specifiche all’occorrenza. Le due posizioni hanno in comune l’affermazione del principio incondizionato d’umanità e/o di cittadinanza gerarchicamente più importante di ogni considerazione di efficacia strumentale. Per di più, 20000 euro hanno significato solo a titolo di capitale incondizionato e non di reddito minimo.