«È nostra salda opinione che l'incrocio con gli Africani sia un attentato contro la civiltà europea perché la espone a decadenza (...) Dal meticciato rifuggiamo consci dei pericoli che trascina con sé, ma al tempo stesso cerchiamo senza illusioni l'elevazione degli indigeni nell'interesse loro e nostro, e per averli utili dipendenti nello sfruttamento delle aziende coloniali».

«In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata, e si diventa "meticci" (...). Non c'è altra strada: o ci impegnamo ad integrare gli altri facendoli diventare cittadini della nostra civiltà - con la nostra educazione, la nostra lingua, la conoscenza della nostra storia, la condivisione dei nostri princìpi e valori - oppure la partita dell'integrazione è perduta».

La prima frase l'ha scritta nel 1938 Lidio Cipriani, antropologo e teorico delle politiche razziste del regime fascista, sul numero sei di una rivista che non a caso si chiamava "La difesa della razza". La seconda l'ha pronunciata il presidente del Senato italiano Marcello Pera il 21 agosto del 2005 in apertura del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione.

27 milioni di Italiani emigrati.
"Quando gli "albanesi" eravamo noi, espatriavamo illegalmente a centinaia di migliaia, ci linciavano come ladri di posti di lavoro, ci accusavano di essere tutti mafiosi e criminali. Quando gli "albanesi" eravamo noi, vendevamo i nostri bambini agli orchi girovaghi, gestivamo la tratta delle bianche, seminavamo il terrore anarchico ammazzando capi di stato e poveri passanti ed eravamo così sporchi che ci era interdetta la sala d'aspetto di terza classe. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quando gli "albanesi" eravamo noi, era solo ieri".
Gian Antonio Stella, "Quando gli 'albanesi' eravamo noi", Rizzoli