Se la crisi finisce sulle spalle dei più deboli

Makis Mpalaouras, "il manifesto", 7 maggio 2010


Il governo greco con la collaborazione della Commissione europea e del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha deciso di imporre un programma di austerità per il prossimi 15 anni che non ha precedenti nella storia economica mondiale. Un programma che distrugge completamente lo stato sociale, demolisce i diritti dei lavoratori, con l'abolizione dei contratti nazionali e del sistema pubblico delle pensioni, e riporta la società greca nelle condizioni in cui si trovava prima della seconda guerra mondiale.
L'economia greca nell'ultimo decennio ha avuto un forte sviluppo, tra il 4 e 4,50%. Uno dei più alti nella vecchia Europa dei Quindici. Perché con tutta questa ricchezza è stata costretta ha ricorrere al Fondo monetario internazionale (Fmi)? È colpa dell'eccessiva spesa pubblica? No, perché questa risulta essere pari al 45% del Prodotto interno lordo (Pil), cioè nella media dell'Unione europea. Esiste invece un problema sulle finanze pubbliche, giacché le entrate negli ultimi anni sono diminuite dal 41 al 34% del Pil, mentre nell'Unione Europea si trovano nella media al 44%.
Il deficit di bilancio dei conti è dovuto al crollo della base produttiva del paese e all'aumento delle importazioni del beni di lusso. Un ragionamento logico e i dati dimostrano che le importazioni dei beni di lusso non sono dovute alla richiesta dei lavoratori e dei pensionati, quando il salario medio arriva solo al 60% del salario medio europeo, mentre la produttività del lavoro si trova molto vicino alla media della produttiva in Europa, al 92%.
Allora chi è che vive al di sopra delle proprie possibilità? La Commissione Europea, la Bce e il Fmi hanno già la risposta: i greci!
Pero quali greci? I lavoratori che hanno i soldi contati o i grandi evasori fiscali e gli imprenditori che approfittano degli appalti e delle commesse dello stato per rubare i fondi pubblici con contratti fasulli ed evadere poi il fisco?
In Grecia i due terzi (2/3) delle entrate pubbliche provengono dalle tasse indirette, quelle che colpiscono in teoria indiscriminatamente ricchi e poveri. Però come si sa i ricchi sono sempre pochi.
Per quando riguarda le tasse dirette i lavoratori dipendenti contribuiscono con il 12%, le grandi società con il 10%, le piccole e medie imprese ed il commercio con il 4% ed i liberi professionisti con il 3%. Ora se uno dice che la politica fiscale è di classe fa scandalo.
Al governo greco e alla «troika» (Commissione, Bce e Fmi) non interessa molto che la cosiddetta para-economia si trova tra il 25 ed il 40% del Pil, che l'evasione fiscale raggiunge i 12 miliardi di euro e la detrazione dal fisco raggiunge gli 8,50 miliardi di euro in un paese che conta poco più di dieci milioni di persone.
Parlano della crisi del sistema delle pensioni pubbliche senza ammettere che le società e gli imprenditori devono allo stato contributi per 18 miliardi di euro ed altri 8,50 miliardi di euro di contributi che hanno incassato senza pagarli allo stato.
La ciliegina della torta del banchetto pubblico appartiene alla corruzione, che arriva al 8% del Pil, permettendo alla Grecia di avere uno dei primati mondiali.
Il programma del governo e della «troika» vuole tagliare solo le spese pubbliche, senza combattere la para-economia, l'evasione fiscale e la corruzione e senza contare nella spesa pubblica le spese militari, che arrivano al 4,50% del Pil, le quarte più alte nel mondo in rapporto al Pil.
Il programma del governo e della «troika» distrugge il tessuto sociale, in un paese dove i lavoratori lavorano molto, hanno una grande produttività, si pagano poco e sono «beneficiari» di un miserabile stato sociale che non può aiutare nemmeno i più poveri, la cui percentuale rispetto alla popolazione è la quarta più alta in Europa. Non a caso la distribuzione della ricchezza arriva a livelli di provocazione, essendo 1 a 7 tra poveri e ricchi.
Queste sono le ragioni per cui il popolo greco si ribella in massa al programma di austerità di Papandreou, che cerca di far pagare i costi della crisi ai meno tutelati e non a coloro che l'hanno provocata.

L'autore è membro del Consiglio Generale del sindacato confederale Gsee