Usa. Tò chi si rivede, la lotta di classe

Nicola Melloni, "Lavori in corso", n. 222, marzo 2011


Mentre da noi le classi sociali sono considerate ormai estinte, nonostante la realtà dimostri ampiamente il contrario (vedi Mirafiori, Pomigliano, ecc.), negli Stati uniti si combatte un'esplicita, durissima lotta di classe che vede classicamente contrapposti da un lato capitalisti di vecchio stampo e dall'altro lavoratori organizzati.
Questo nuovo episodio di lotta di classe è iniziato con l'aggressione repubblicana ai diritti sindacali nel Wisconsin. Con la scusa della crisi si vogliono tagliare stipendi e contratti collettivi dei dipendenti pubblici. I lavoratori però reagiscono. La battaglia per il Winsconsin si sta velocemente trasformando nella guerra per il futuro dell'America. I Tea Party e la destra repubblicana sono ormai decisi a far pagare il prezzo della crisi ai lavoratori e si stanno organizzando di conseguenza: a livello locale è partito l'attacco diretto ai sindacati in Winsconsin e più recentemente in Ohio; a livello federale l'offensiva è sul budget del governo, con una strategia estremista che minaccia di far letteralmente chiudere gli uffici pubblici se non passeranno i tagli al bilancio che chiedono da destra.
Tutta questa canea è supportata da un furore ideologico senza precedenti negli ultimi anni, nonché da una montagna di falsità sparse a piene mani dai media controllati dal grande capitale, ma anche
da una strategia politica molto chiara che cerca di dividere i lavoratori e punta alla resa dei conti con quel poco di "sinistra" che rimane negli Stati Uniti, che di questo passo rischiano di trasformarsi nella "più grande oligarchia del mondo". Nel Winsconsin i Repubblicani sostengono che, davanti ad una situazione di grave deficit dello Stato, stanno solo chiedendo ai lavoratori pubblici (l'unico settore in cui i sindacati hanno ancora un certo potere) di contribuire parzialmente a ridurre i costi, soprattutto in virtù del fatto che proprio i dipendenti pubblici sarebbero dei privilegiati, vantando salari in media più alti dei lavoratori del privato.
Si tratta di una bugia clamorosa. Anzi è vero l'esatto contrario. Ma il punto cruciale, in realtà, è un altro: Walker, il governatore del Winsconsin, non vuole ridurre i presunti privilegi dei lavoratori, vuole
annullare la loro capacità di contrattare collettivamente: un modello-Marchionne portato alle estreme conseguenze. Gli aumenti salariali sarebbero limitati per legge e sarebbe possibile ricevere aumenti superiori al tasso di inflazione solo se approvati da un referendum! Si tratta, una volta di più, di una svolta autoritaria che lede la democrazia nel luogo di lavoro, che propone l'equazione diritti=privilegi e che non riconosce il diritto di associazione come parte integrante del sistema democratico.
In nome della libertà di scelta individuale si nega la possibilità di contrattare collettivamente, fingendo di non sapere che la nascita dei sindacati è avvenuta proprio per controbattere l'asimmetrico rapporto di forza tra padrone e lavoratore.
La destra sta cercando di dividere la cosiddetta middle-class (concetto non molto ben definito negli Usa, dove il 91% della popolazione si definisce classe media), scatenando i lavoratori sindacalizzati
contro coloro che non lo sono, gli anziani con alcuni benefits sociali contro i giovani che rischiano di non goderne, i lavoratori pubblici contro quelli del settore privato. Si tratta della riproposizione della classica guerra tra poveri, utile ad evitare di affrontare alla radice la questione economica e sociale che attanaglia l'America. Si cerca di spiegare i problemi di deficit dei vari stati americani come colpa dei sindacati, anche se, in realtà, diversi Stati senza diritti sindacali (Nevada, Arizona, ecc.) hanno deficit sostanzialmente superiori a quelli dove la contrattazione collettiva esiste ancora (Massachusetts, Montana, ecc.). Altrove, come in Texas, dove le protezioni sindacali sono praticamente inesistenti, si stanno tagliando i fondi all'assistenza sociale e alla scuola, in uno Stato dove il settore scolastico è gravemente sottofinanziato e le performance del sistema educativo sono tra le peggiori degli Stati Uniti. Nessuno nega, naturalmente, che esista un problema di deficit di bilancio. Il punto però è spiegarne correttamente l'origine, che non è la spesa pubblica improduttiva, o i privilegi sindacali, ma è una ricaduta della crisi finanziaria che ha diminuito le entrate fiscali. Proprio per questa ragione diversi Stati (tra gli altri New York, Hawai, Illinois, lo stesso Winsconsin prima dell'elezione di Walker) hanno aumentato in maniera progressiva la tassazione.
Ma naturalmente le grandi corporations non ci sentono da questo orecchio.
La situazione è simile, seppur potenzialmente più grave, a livello nazionale. Non molto tempo fa il Congresso ha approvato la riforma fiscale che ha reso stabili i tagli alle tasse per la parte più ricca della popolazione. Ora il governo federale si trova in una situazione di crisi, il debito - grazie agli aiuti concessi alle banche negli ultimi anni - ha raggiunto livelli quasi italiani ed è necessario introdurre misure per rientrare entro limiti più accettabili. Il punto, naturalmente, è come farlo. I repubblicani vogliono imporre tagli draconiani (4 miliardi di dollari solo nelle prime due settimane) che ovviamente andrebbero a colpire i redditi più bassi, quelli che beneficiano dei programmi di assistenza pubblica. Si dice che aumentare le tasse non sarebbe popolare dal punto di vista politico e deleterio dal punto di vista economico, ma non è che i tagli abbiano un impatto diverso, avrebbero solo la semplice ma fondamentale differenza di colpire più i ricchi dei poveri. Il tutto in un Paese dove la sperequazione economica ha raggiunto i livelli più alti dell'ultimo secolo e dove l'anno scorso tredici manager di hedge funds hanno percepito un salario medio di un miliardo di dollari ciascuno, tassato al 15 percento (l'aliquota sui capital gains è minore di quella sui redditi da lavoro).
Peraltro, una tassazione progressiva sui patrimoni più alti non sarebbe solamente giusta da un punto di vista etico, ma avrebbe anche senso economico, diminuendo il reddito disponibile di quella parte della popolazione con minor propensione al consumo (i ricchi, in proporzione, consumano una parte minore del reddito) ed avendo quindi un impatto regressivo minore dei tagli.
La destra reazionaria sta sfruttando la crisi per imporre la sua visione del mondo. Si tratta di una destra bene organizzata, con forte coscienza di classe, con mezzi economici e mediatici spropositati con cui finanzia i politici che possono servire meglio i suoi interessi, facendo a pezzi, nel frattempo, la democrazia americana e trasformandola in un'oligarchia, dove è il denaro, e non il voto, a determinare le scelte politiche. Un'oligarchia che ha al suo servizio interi partiti, mentre le opposizioni della cosiddetta sinistra rifiutano di riconoscere il carattere classista del capitalismo e lasciano senza copertura politica i lavoratori. Questi movimenti sociali spontanei cercano di resistere e hanno un vasto appoggio popolare (la maggioranza degli americani supporta la difesa dei diritti sindacali), ma vengono ripetutamente sconfitti proprio a causa delle deficienze della sinistra istituzionale, della sua difficoltà a produrre soluzioni alternative. Solo la capacità di recuperare un'analisi critica del capitalismo, delle sue dinamiche, potrà dare uno sviluppo politico a quei movimenti e cominciare a costruire un'alternativa alla delirante ideologia mercatista.