L'equità fiscale per i lavoratori non si ottiene con 3 aliquote IRPEF e con l'aumento dell'IVA

volantino dell'Unione Sindacale di Base, 21 giugno 2011


La questione della riforma fiscale è da giorni al centro del dibattito politico nel nostro paese: precisamente da quando il governo, in profonda crisi di consenso, certificata dalle elezioni amministrative prima e poi dall'esaltante vittoria dei referendum sull'acqua e sul nucleare, ha deciso di provare a cavalcare la tigre della riforma fiscale per bilanciare la caduta verticale di consenso. Che la questione fiscale entri finalmente nell'agenda politica è senz'altro un fatto positivo: il punto, però, è capire cosa si nasconde dietro questo dibattito e quali interessi (cioè quali contribuenti) si vogliono tutelare. E le indiscrezioni circolate in questi giorni sulla proposta governativa in materia fiscale, non promettono nulla di buono.
Intanto non possiamo non segnalare che ci pare poco legittimato a parlare di riforma fiscale un governo che  ha fatto della iniquità fiscale una bandiera, lavorando in maniera sistematica per smantellare l'attività di contrasto all'evasione: dalla riorganizzazione degli uffici finanziari, allo scudo fiscale, fino ad arrivare agli strali di recente lanciati dal Ministro Tremonti e dal Direttore dell'Agenzia Befera nei confronti di chi svolge attività di verifica e controllo, indicati come turbatori della normale attività di impresa, si delinea un quadro in cui, più che perseguire gli evasori, il cavallo di battaglia di questo governo è stato quello di complicare la vita degli ispettori del fisco e di "disturbare" il meno possibile imprese ed aziende. Se poi guardiamo nel merito le voci che circolano sulla proposta di riforma fiscale del governo, appare evidente che la riduzione a tre aliquote fiscali (allo stato attuale non si conoscono gli scaglioni di reddito) e l'aumento di un punto percentuale dell'Iva, non arrecherà nessun vantaggio alle fasce di reddito medio basse, mentre avvantaggerà, come al solito, i redditi alti. Insomma, una classica partita
di giro in cui, per i redditi da lavoro dipendente, nella migliore delle ipotesi, una leggera riduzione della pressione fiscale sarà compensata da un aumento dei beni di consumo (attraverso, appunto, l'aumento di un punto percentuale dell'Iva).
Anzi, per maggior precisione, tale proposta rischia di peggiorare la condizione di tutti quei pensionati e giovani precari (insomma la c.d. parte peggiore del paese) che, percependo meno di 15.000 euro annui, non beneficeranno di nessuna riduzione della pressione fiscale, ma, in compenso, vedranno aumentata l'Iva sui beni di prima necessità. La verità è che una riforma fiscale che non tocca le rendite finanziarie, i grandi patrimoni e le transazioni finanziarie si risolverà inevitabilmente nell'ennesima beffa per i lavoratori dipendenti, per i pensionati e per i precari e nell'ennesima regalia nei confronti dei percettori di redditi alti. La verità è che una riforma fiscale realmente equa deve partire proprio dall'alleggerimento della pressione fiscale nei confronti di quei soggetti su cui ricade oggi il maggior carico fiscale (appunto i redditi da lavoro).
Non si può, quindi, mettere sullo stesso piano le imprese e il lavoro dipendente: perché, mentre l'attuale struttura del fisco è pensata proprio per favorire imprese e aziende, dati ufficiali ci dicono, invece, che l'80% delle entrate fiscali provengono dal lavoro dipendente e che le ritenute fiscali alla fonte, dal 1980 al 2008, sono aumentate dal 40% al 52%. E soprattutto, l'attuale sistema fiscale continua a perpetrare l'iniqua aliquota del 12, 5% per i redditi di capitale. Inoltre, giova ricordarlo, il nostro è un vero paradiso per gli evasori e per i corruttori. Le stime del 2011, per quanto inferiori al dato reale, dicono che la corruzione e l?evasione fiscale costano circa 280 miliardi di euro. Perciò non è credibile un governo che predica riforme e intanto definisce turbativa d?impresa le verifiche fiscali. Per quel che ci riguarda, inoltre, un intervento sul fisco deve colpire prioritariamente proprio i grandi patrimoni e le rendite finanziarie al fine di riequilibrare la pressione
fiscale oggi tutta spostata sui redditi da lavoro dipendente, sui precari e sui pensionati e dare piena e concreta attuazione al principio di progressività delle imposte, sconfessato dalle troppe leggi che si sono susseguite in questi anni. Ed è esattamente questa la direzione nella quale, come USB, ci siamo mossi, già alcuni mesi fa, quando abbiamo formulato la proposta di legge a sostegno dei redditi e dei consumi, la cui raccolta di firme abbiamo già avviato nei luoghi di lavoro.
Una raccolta di firme che in questi mesi faremo vivere con ancor più forza nei luoghi di lavoro di tutto il territorio nazionale, per rendere patrimonio di tutti i lavoratori, e quindi praticabile, l'obbiettivo dell'equità fiscale. Siamo ben consapevoli che la strada è lunga e complicata, ma siamo altrettanto convinti che quando una iniziativa è accompagnata da una reale mobilitazione, nessun obbiettivo è impossibile: in fondo, la brillante vittoria dei referendum ci parla di questa possibilità.
Anche l'equità fiscale, come l'acqua, è un bene comune da riconquistare e restituire ai lavoratori.