Lavoratori italiani, mobili svedesi, stipendi cinesi. È la convenienza Ikea

Patrizia Cortellessa, "il manifesto", 28 dicembre 2008


La protesta, organizzata dalla Cub, dei dipendenti romani della multinazionale. Tra salari da fame e assurde lettere di contestazione
Per la seconda volta in due mesi le lavoratrici e i lavoratori del punto vendita Ikea di Anagnina di Roma - quelli con contratto a tempo indeterminato, ci dicono, perché i precari che subiscono il ricatto del contratto sono dentro a lavorare - hanno incrociato le braccia e hanno dato vita ieri ad un presidio musicale e colorato davanti all'entrata principale. Indossando cappelli rossi e il costume di babbo natale, i manifestanti hanno rivendicato maggiore rispetto per i lavoratori e la stabilizzazione dei precari. «Non riusciamo a capire perché dentro un'azienda che è tra le prime al mondo come fatturato, un'azienda che non ha concorrenza, non possano essere aumentate le retribuzioni di chi vi lavora e i part time non si possano trasformare in contratti a tempo pieno», afferma Giancarlo della Flaica-Cub, il sindacato di base che ha indetto lo sciopero di ieri. «Abbiamo chiesto di avere più ore, per evitare ai lavoratori di dover fare due o addirittura tre lavori per arrivare ad uno stipendio che possa definirsi decente». La risposta dell'azienda? Negativa, of course. «Ora la piaga sta diventando il lavoro degli stagisti», continua: «Le persone entrano in Ikea e viene loro detto: state qui, imparate un lavoro, acquisite professionalità. Alla fine svolgono praticamente le stesse mansioni di tutti gli altri lavoratori, ricevendo invece che un salario un rimborso spese di qualche centinaio di euro». Storie di ordinario sfruttamento, insomma. Chi trova di meglio se ne va, ma visti i tempi trovare altro risulta difficile. E che dire delle assurde lettere di contestazione disciplinare, che usano futili e pretestuosi motivi come pochi minuti di ritardo dovuti a cause di forza maggiore dimostrabili? A questo riguardo c'è da registrare una vittoria. Il Tribunale del Lavoro di Roma qualche giorno fa ha dato ragione a Luisa nella causa che la vedeva contrapposta alla multinazionale svedese. Dopo cinque mesi di sospensione non retribuita, dovuta a un'inidoneità inspiegabilmente riconosciuta dal medico aziendale ma non attestata dai medici Asl, Luisa potrà tornare al suo lavoro. Separata dal marito, Luisa vive a Terni con la sua bambina e ha un mutuo da pagare. Lavora in Ikea, al servizio clienti, da 10 anni. Ha un contratto part-time a 16 ore, per uno stipendio base di 500 euro. «Con le domeniche arriverò a 600 euro», precisa. Dopo un piccolo incidente avvenuto nel 2004, in cui ha riportato l'inclinazione di una vertebra del collo, Luisa non può spostare pesi. La responsabile del suo settore un bel giorno decide di mandarla in consegna merci, 8 ore da sola, a dare carrelli con i pacchi. «Spesso sono messi male e non si vede il codice, quindi li devi alzare». Luisa fa presente al medico che non poteva fare una mansione altra da quella che svolgeva da sempre. Conclusione? Inidoneità totale, secondo il medico aziendale. Forse sabato prossimo tornerà al suo posto di lavoro, ma resta tutta l'amarezza dovuta al fatto che per farsi riconoscere un diritto si debba pronunciare un tribunale. Solidarietà ai lavoratori in sciopero è stata espressa anche da Beppe Mariani, presidente della Commissione «Lavoro pari opportunità, politiche giovanili e politiche sociali», presente ieri al sit-in. «Ci troviamo davanti ad una illegittimità ormai conclamata, a una vessazione continua da parte dell'azienda verso i lavoratori. E' una cosa scandalosa» ha affermato Mariani. Che ha aggiunto: «Da gennaio porteremo in regione una legge del 'buon lavoro', per regolamentare o comunque vincolare tutti quei rapporti che ormai sono usciti fuori dalla giurisprudenza lavorista, anche quella più flessibile, che noi combattiamo».