L’UNITA’ DELLA GLOBAL-ITALIA

di Andrea Parola

Cosa intendiamo noi italiani per Unità di uno Stato? Vogliamo semplicemente significare una unione geografica di regioni, con regole e leggi uguali, dove si circola liberamente e si parla la stessa lingua, oppure l’Unione è da intendersi in un più ampio significato che coinvolge lo spirito dei cittadini, il senso di appartenenza ad una bandiera, ad un inno nazionale, ad una comunità e ai suoi comandamenti? Si può misurare l’unione di un Paese attraverso l’orgoglio di ciascun cittadino nell’ostentare un “Bel Paese” a chi viene a guardarlo da vicino, trasferendo a costoro l’amore per la propria terra e contribuendo a mantenerla accogliente e pulita?

Cosa sentiamo nel cuore quando si parla di Unità e si vede la nostra bandiera sventolare sia a nord che a sud? Ha per noi solo il significato di poter visitare l’Etna o il Vesuvio senza dover chiedere il permesso di Ferdinando II, oppure ha un valore ben più alto che coinvolge il senso di rispetto, di uguaglianza e di sostegno per chi vive dalla parte opposta del paese? Tutti o quasi abbiamo studiato e qualcuno ricorda ancora che per l’unificazione della nostra Patria è stato versato molto sangue ed è stato pagato un altissimo prezzo di vite umane; è proprio per questo che deve essere rispettata e onorata in ogni momento e a tutti i livelli. Senza la consapevolezza del passato non può esistere un futuro.

I recenti festeggiamenti hanno visto una grande partecipazione dei cittadini ai molti eventi organizzati per l’occasione. Ho partecipato personalmente alla notte bianca di Torino, ma Firenze e Roma non sono state da meno. Per fortuna! La speranza è che queste manifestazioni di Unità non rappresentino solo la voglia di divertirsi per qualche giorno ma che siano soprattutto una risposta per chi oggi cerca di dividerci e l’opportunità di conoscere un po’ di più il percorso doloroso che ci ha uniti. Oggi purtroppo siamo ancora in molti, troppi, a cedere alle voglie di chi cerca di farci dimenticare la storia e tenta di fare retromarcia, di chi ci vuole tenere separati per l’incapacità di governarci uniti.



Purtroppo l’Italia che ha animato l’Unità era un paese ben diverso da quello di oggi. Non conosceva la corruzione e i valori di Mazzini e di Cavour erano molto più edificanti di quelli dei nostri politici di oggi. Il tempo lo abbiamo avuto ma lo abbiamo utilizzato nel modo sbagliato, ci siamo preoccupati di più del nostro orticello che al giardino d’Italia e adesso che abbiamo fallito siamo già chiamati ad unirci sotto un’altra bandiera, quella europea.

In un mondo globalizzato è quanto mai importante dimostrare compattezza, per non soccombere ai Paesi più forti. Bisogna dimostrare integrità di vedute, obiettivi e sacrifici comuni, altrimenti si rischia di mostrarsi deboli, vulnerabili, incapaci di sostenere il “progresso” e stare al passo con gli altri. Oggi purtroppo è così! Ci manca quello “spirito nazionale” che molti paesi europei hanno da tanto tempo. Ci manca il sostegno reciproco anzi, al contrario cerchiamo di “fregare” il prossimo perché così dimostriamo di essere “furbi”, evadiamo le tasse perché questo è il modello da seguire, che ci proviene dall’alto, quasi un obiettivo da raggiungere.

E che dire dei nostri prodotti? Ci siamo mai chiesti se può essere considerato senso unitario o amor di patria il preferire un prodotto “made in Italy”? La difesa dell’Unità di un Paese passa anche da ciò che la gente compra? Dal sostegno che danno i cittadini all’economia nazionale? Si potrebbero fare diversi esempi a questo proposito ma prendiamone uno che valga per tutti, il prodotto automobile, che rappresenta uno degli indici di riconoscimento del benessere, un dei prodotti, ahi noi, più rappresentativi dello status sociale e del livello di ricchezza personale e di potere.

L’auto è uno dei prodotti che più subisce l’evoluzione dei mercati globalizzati. Fiat è un’azienda italiana, speriamo ancora per molto, è nata e cresciuta in Italia col contributo ed il sudore di tanti lavoratori e qui ha ancora il suo mercato di riferimento, nonostante il suo cuore, come preme dire all’AD Marchionne, ha ormai da tempo valicato i confini ed è proiettato in tutto il mondo. Fiat è oggi uno dei maggiori produttori mondiali di automobili, un gruppo che, con gli investimenti promessi (30 miliardi di euro entro il 2014 solo in Italia) si candida per diventare uno più competitivi global player degli anni a venire.



Fiat, però, in casa propria riesce a vendere solamente 3 vetture su 10 immatricolate! Solo tre italiani su dieci acquistano una vettura prodotta nel proprio paese. Questi sono i dati della fine del 2010. Sembra francamente un po’ pochino rispetto a ciò che avviene nei paesi a noi vicini. I francesi e i tedeschi in questo hanno tutto da insegnarci! La stragrande maggioranza del parco vetture circolante è prodotto dalle case automobilistiche nazionali. E questo da sempre.

E’ vero che Napoleone III ha contribuito in modo determinante per permettere l’Unità dell’Italia, ma non per questo dobbiamo essergli eternamente grati comprando vetture francesi. Si prese Nizza e la Savoia quando era ora, adesso basta, no? Nel nostro Paese l’occupazione in questo settore, compreso tutto l’indotto, è notevole così come è notevole la quantità di denaro che viene impiegata. E’ una grossa parte del nostro Paese che, se dovesse mancare, rappresenterebbe un serio problema sociale e non solo al nord.

L’ultimo referendum ha dimostrato quanta paura ci sia per questo da parte dei lavoratori, che, pur di mantenere il posto di lavoro hanno accettato di fare un passo indietro. Il nostro Governo, almeno in passato, ha fatto ciò che ha potuto per sostenere le sorti di questa industria, partecipando al suo sviluppo e alla tutela dei suoi dipendenti.

Perché allora sette italiani su dieci preferiscono una vettura straniera? E’ solo un profondo difetto di esterofilia, un motivo estetico forse, oppure sono veramente convinti che sia più conveniente? Vorrei ricordare innanzitutto che lo stile italiano è stato da sempre esportato in tutto il mondo, che molti produttori hanno copiato dai nostri designer e qualche volta li hanno anche portati via dalle nostre aziende a suon di dollari. Non posso credere che oggi una Peugeot o una Volkswagen siano più belle di una Lancia o di una Alfa Romeo. Non lo sono e tantomeno lo sono state nel passato.

Parlando di qualità, poi, non dobbiamo assolutamente credere che quella della concorrenza sia migliore a tutti i costi. La qualità non è gratuita ed il prezzo del prodotto finale è sempre proporzionato alla qualità del prodotto stesso. Un prodotto di alta qualità avrà sempre un costo elevato. Non si scappa! A volte però la qualità rappresenta uno spreco come per esempio sottoporre un componente del motore a stress di fatica elevatissimi quando si sa già che potrebbe superare ben più elevati sforzi meccanici.

Un giorno mi è capitato di soccorrere un automobilista la cui Audi, un modello molto costoso e pressoché nuova, lo aveva abbandonato in mezzo alla strada. Mi sono fermato per dargli un aiuto e mi sono permesso di dirgli di acquistare una vettura italiana la prossima occasione. Ebbene, il gentile signore mi ha dato ragione, dicendomi oltretutto che non è la prima volta che una vettura straniera lo lascia a piedi. Evviva la sincerità! Da parte mia gli ho riferito che ho sempre avuto macchine italiane e non sono mai rimasto “per strada”. Una bella soddisfazione, no?



Il costo dei tagliandi o dei pezzi di ricambio rappresenta infine un altro argomento di contrapposizione fra auto italiana e non. A parità di controlli, un tagliando su una Fiesta costa pressoché il doppio di quello eseguito su una Punto, e questo senza la sostituzione di alcuna parte meccanica. Questi sono solo tre motivi più che validi per abbandonare le credenze a favore del prodotto straniero. Ma dobbiamo fare uno sforzo in più, dobbiamo obbligarci a sostenere l’economia del nostro paese per non sostenere quella altrui, anche se siamo tutti europei. Dobbiamo sostenere la nostra occupazione, non quella tedesca o francese o, ancor meno quella dell’est.

E poi, una volta per tutte, facciamo diventare la macchina italiana una moda, a partire dai giovani. Facciamo i “fighi” con la Punto o la 500 piuttosto che con la Golf o la Bmw. Facciamolo con la Mito o con la Panda, perché no, invece che con la 207 o con la Smart. Pensate che io lavoro in una azienda di componentistica auto che ha sede in Italia e che ha come principale cliente proprio Fiat. Ebbene, le vetture dirigenziali sono tutte straniere, con una forte predominanza di Mercedes, Bmw e Audi. E’ un bell’esempio secondo voi?

Compriamo italiano, almeno ciò che viene effettivamente prodotto in Italia, per non sostenere il mercato estero a discapito del nostro. Dopo il grande esodo provocato dalla febbre della globalizzazione si sta verificando un lento ma significativo ritorno al “made at home”; molti imprenditori stanno riorganizzando la produzione nel proprio paese. Sosteniamo questa saggezza.

Sensibilizziamoci, facciamoci noi promotori, stringiamoci intorno al manufatto italiano per difendere il nostro benessere, non aspettiamo che qualcuno ci dia l’esempio, quel qualcuno che viaggia in Audi presidenziale e che non è esempio per alcuno di noi.

(27 Marzo 2011)
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