ARTICOLO 54

di Giuseppe Bonaldo

Il 21 Aprile scorso la deputata del PD Paola Concia e la sua compagna, mentre passeggiavano mano nella mano per le vie di Roma, sono state pesantemente insultate da un uomo. Non esiste in Italia una legge sull’omofobia per cui quell’uomo non subirà conseguenze per il suo gesto.

La settimana precedente a Milano sono apparsi manifesti con la scritta “via le BR dalla procura”. Tutto il mondo politico, dopo l’intervento di Napolitano, ha biasimato l’episodio, ad eccezione di una persona, non una qualsiasi: il Presidente del Consiglio.

L’autore dei manifesti, Lassini, candidato alle elezioni comunali di Milano è rimasto tranquillamente in lista. (dicono che non sia stato possibile cancellarlo!) Ha pure ricevuto la solidarietà da Berlusconi per gli “attacchi” ricevuti, in seguito alla quale si è subito affrettato a dire che, se eletto, non si dimetterà.



“Work will make you free”. A Roma, nel giorno di Pasqua, è apparsa una riproduzione del tristemente noto “Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi” l’insegna che capeggiava sul portone del campo di concentramento di Aushwitz.

Il giorno dopo – 25 Aprile festa della liberazione a Milano è stata imbrattata una lapide commemorativa della resistenza con una croce celtica e la sigla FN. Il movimento neofascista Forza Nuova si è subito preoccupato di smentire la paternità dell’accaduto.

Il presidente del Consiglio Berlusconi non è apparso in nessuna delle commemorazioni del 25 Aprile, anniversario della liberazione. Ha voluto rimarcare così la sua distanza da queste “inutili perdite di tempo”. La sensibilità del Paese è un’altra, come hanno dimostrato tante celebrazioni, ma lui, pur essendo il capo del governo italiano, non se ne cura.

Lo scorso 8 Maggio il presidente Napolitano si commuove alla commemorazione dei magistrati uccisi dai terroristi e dalle organizzazioni criminali. Berlusconi condivide formalmente l’iniziativa, ma subito dopo spara a zero sugli stessi magistrati definendoli un “cancro da estirpare”. Dal suo pulpito continua a mentire spudoratamente, a delegittimare, a offendere, a minacciare i magistrati, nonostante abbia giurato di “adempiere le sue funzioni con disciplina e onore”.

Tutto ciò accade sotto gli occhi di tutti, senza nessuna conseguenza per i protagonisti negativi e senza che la gente si ribelli. In Italia il limite al disprezzo delle istituzioni sembra non esistere e l’argine opposto dalla magistratura è assolutamente insufficiente. Il fenomeno permea il tessuto sociale in forma talmente estesa da essere quasi accettato come inevitabile. Non lo scopriamo oggi. L’individualismo e il menefreghismo sono da sempre caratteri dello popolo italiano e lo Stato, che 150 anni fa alcuni giovani volenterosi vollero unito ed indipendente, non ha la forza (né la volontà) di contrastarli.

La nostra Costituzione, universalmente riconosciuta come una delle migliori al mondo, è stata scritta in un momento drammatico della nostra storia. Il Paese usciva da un ventennio di dittatura culminata in un devastante conflitto militare e una guerra civile. Tutte le strutture dello stato erano a pezzi e, oltre all’oggettiva necessità di ricostruire, c’era un afflato collettivo che facilitò l’opera dei costituenti.

La Costituzione non fu solo l’opera di un gruppo di menti illuminate, ma l’espressione di un popolo dolorante che voleva voltare pagina, ispirandosi ai valori che lo stato d’animo di allora suggeriva: solidarietà, giustizia, uguaglianza, operosità.

Nel momento peggiore della loro storia, gli italiani si raccolsero intorno alla legge fondamentale e per alcuni anni riuscirono ad essere un popolo.

Ma durò poco. Con il benessere vennero a galla le carenze di cultura civica sulle quali esso si fondò. Vecchi e nuovi ricchi si “allearono” per sfruttare le opportunità che la politica clientelare offrivano loro, sostituendo agli originali valori fondativi i nuovi interessi esclusivamente economici e di parte.

Lo sfacelo sociale e politico al quale stiamo ora assistendo, dimostra che l’unità di una nazione non si può reggere solo sugli interessi economici, perché essi tendono a localizzarsi sempre di più inseguendo le convenienze del luogo e del momento, frantumando la società in comunità sempre più piccole e in perenne conflitto tra loro. Senza valori condivisi la società diventa una giungla e i conflitti trovano soluzione solo nella prevaricazione dei più deboli da parte dei più forti.

Quei valori sono già scritti nella Costituzione, non dobbiamo inventare niente né tantomeno modificarla al solo scopo di favorire questa o quella parte politica temporaneamente al potere.

Il rispetto della carta costituzionale deve necessariamente partire dalle persone che governano il Paese, che, come cita l’articolo 54, sono tenute ad esserle fedele nei comportamenti e nella costruzione delle leggi. Ma è anche vero che la politica deve essere “educata” dal basso a ben governare, chiedendo legalità con i comportamenti prima ancora che con le bandiere, i manifesti e le prediche. Tutti.

(29 Maggio 2011)
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