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- Ghianda -        Dal quotidiano "Libero" di Giovedì 02 novembre 2006 - anno XLI n. 263 - pag. 15   (testo da OCR)


Facciamo almeno il federalismo delle grandi opere

di Gilberto Oneto

Sotto il termine un po' massonico di "grandi opere" si fa passare di tutto indipendentemente dalla reale "grandezza", ma anche della vera utilità. Si ha il sospetto che la discriminante sia l'interesse di qualcuno a realizzarle e - per contro - la resistenza di altri. Di "grande" ci sarebbe perciò il giro di interessi economici, politici e anche emotivi. Da una parte c'è chi grida all'attentato al Progresso e dall'altra alle mortali ferite inferte a Madre Natura.

Bisogna ragionare con calma su due punti: servono davvero e - se sì - chi se ne deve occupare?
Sull'utilità e sul rapporto costi-benefici si entra in un ventaglio straordinario di differenze.
Ci sono opere che sono necessarie e magari urgenti. Della Pedemontana si parla da decenni e ogni stagione che passa ne aumenta l'impellenza ma la rende anche più costosa e difficile da fare. Risolverebbe una bella fetta dei problemi di congestione di una delle aree più produttive e intasate del pianeta, faciliterebbe la vita di milioni di persone e porterebbe solo vantaggi, indipendentemente dal suo costo. Si potrebbe chiamarla opera "salvavita". Nelle stesse condizioni ci sono, ad esempio, le tangenziali di Mestre, di Milano e di Genova.

Poi ci sono quelle che tanto prioritarie non sono, che sono troppo care per i vantaggi che porterebbero ma che forse proprio per questo solleticano altri interessi.
L'alta velocità è una di queste. Metterci un'ora in meno per andare a Lione renderebbe giubilanti molti, ma tutti indistintamente preferirebbero arrivare in orario, magari seduti, e meglio senza prendere zecche, su una delle tratte "normali".
Le ferrovie sono un disastro, i convogli hanno una velocità media inferiore di venti o trenta chilometri a quella d'anteguerra, il materiale rotabile è scassato, le stazioni hanno il fascino appiccicoso dei ghat di Benares, i trasporti internodali sono un sogno.
Che senso ha affidare costosissimi ordigni futuribili a chi non è capace di gestire l'ordinario, a chi non riesce a fare arrivare un pendolare in orario. Un paese serio e civile prima si occupa di sistemare quello che c'è, di farlo funzionare, di ricostruire una rete capillare ed efficiente di collegamenti.
Perché affidare una Ferrari a chi non è neppure in grado di gonfiare le gomme al triciclo?
Tutti siamo d'accordo che il trasporto su rotaia vada incentivato, ma le linee esistenti sono utilizzate per meno di un quarto della loro potenzialità.

Veniamo al secondo punto. Tutti concordano sul principio di sussidiarietà: le cose vanno affrontate al livello più basso a cui possono essere risolte. Ma va proprio così?
Le decisioni di spesa vengono prese a Roma o addirittura a Bruxelles e non da amministrazioni locali o regionali che hanno una visione più realistica dei problemi.
Ci raccontano che è l'Europa o lo Stato che caccia la grana e non si può perdere il finanziamento. È il solito vecchio bieco trucco centralista: chi ha ramazzato i soldi decide dove e come spenderli. Non importa se l'opera non serve o se il progetto fa schifo: prendere o lasciare.
L'autonomia vera significa invece che le risorse vengano lasciate dove sono prodotte: sia la gente del posto a decidere quali sono le priorità. I lombardi hanno estremo bisogno di una strada: se la facciano e se la paghino con i loro soldi senza troppi giri. In Sicilia vogliono farsi un ponte? Con i loro quattrini (e solo con quelli) possono anche farselo in forma di colosso di Rodi.
A casa propria ognuno è libero e padrone di fare quello che gli pare. Anche delle vaccate. Anche delle "grandi vaccate".



Milano, 02 novembre 2006
Gilberto Oneto


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Gilberto Oneto - "Facciamo almeno il federalismo delle grandi opere"
- Dal quotidiano "Libero" di Giovedì 02 novembre 2006 - anno XLI n. 263 - pag. 15   (testo da OCR)