( Torna all'indice Di Tutto oppure ScavaTorta oppure Link ) - 03 febbraio 2001 - laPADANIA - pag. 3 - Primo Piano

Oggi convegno a Mogliano (Treviso)
con Castelli, Urbani e Tremonti
«Le grandi vie del Nord per rimanere europei»

di Matteo Mauri

«Con "Le grandi vie del Nord" oggi a Mogliano abbiamo organizzato un convegno che vuole essere un programma di governo in ottica federalista». E cosa resta ad un governo centrale in ottica federalista? Soltanto le infrastrutture a livello nazionale e internazionale. «Per questo la casa delle Libertà, se andrà a governare il paese, lascerà alle regioni sia tutte le tematiche territoriali che le scelte progettuali locali». Roberto Castelli, capogruppo dei senatori leghisti, oggi è in provincia di Treviso per illustrare, insieme a Tremonti e Urbani quali sono le infrastrutture necessarie all'Italia per collegarsi all'Europa del terzo millennio. «Noi esporremo i suggerimenti - dice Castelli - per quella che sarà la politica del governo per un grande rilancio infrastrutturale di cui l'Italia ha un bisogno assoluto».
Rispetto ai partner europei l'Italia è molto indietro in questo campo.
«L'Italia ha rischiato di perdere l'ultimo treno. La settimana scorsa è stato firmato un accordo tra Francia e Italia per il tunnel del Frejus. Per l'accordo su un'opera fondamentale per la Padania e quindi per tutta l'Italia (lo stesso Fassino ha riconosciuto che la Padania è la locomotiva dell'Italia) ci è voluto il governo francese che ci ha praticamente obbligato a concludere, pena la non riapertura del traforo del Bianco. Questa è un'ulteriore dimostrazione del fatto che Roma odia la Padania: un'opera fondamentale viene fatta solo grazie al "ricatto" dei francesi. Non è solo abbandono: è una guerra contro di noi. Se a ciò aggiungiamo la Brescia-Milano (opera pagata dalla Lombardia, ma impedita dal governo centrale) ci rendiamo conto del conflitto che si è combattuto in tutti questi anni».
Ma le regioni come possono essere coinvolte nel progetto delle grandi opere?
«Sono parte fondamentale (tanto è vero che ci saranno tutti gli assessori regionali ai Trasporti) perché la progettazione sul territorio di queste grandi opere dal ruolo delle regioni stesse. Che anzi avranno un ruolo guida nella progettazione esecutiva».
Cioè?.
«Se il governo centrale decide di fare un grande asse est-ovest, è ovvio che devono essere le regioni a scegliere i percorsi, a progettarli. Il governo entra finanziariamente e fissa le regole. Poi sono le regioni a svolgere la parte pratica».
Non c'è però il rischio che si inneschi un conflitto tra regioni, province e comuni e proprio dal basso arrivi poi l'accusa di "neocentralismo"?
«Il federalismo non deve essere il localismo esasperato, ma l'applicazione del principio di sussidiarietà: tutto ciò che compete al comune lo fa il comune, altrimenti si passa alla provincia, poi alla regione. E' chiaro che immaginare una via di comunicazione paneuropea e decidere se l'Italia debba farne parte o meno, spetta allo stato. Il rispetto del federalismo si ha quando si rispettano quegli enti locali che sono coinvolti nel progetto. Però bisogna evitare ciò che è accaduto negli ultimi vent'anni: agli enti locali è stato lasciato il diritto di veto, cosa che ha paralizzato ogni opera. Secondo noi, in questo progetto non c'è mancanza di federalismo: federalismo è rispettare le proprie competenze. E le grandi vie di comunicazione sono competenze del governo centrale; la progettazione, le scelte del percorso, il coinvolgimento dei privati, vengono fatte dagli enti locali competenti».
Torniamo ai treni. L'Italia è molto indietro dal punto di vista dell'Alta Velocità. Non solo: in Val di Susa c'è chi si muove da tempo per bloccare tutto. Che prospettive ha l'Alta Velocità in Italia?
«Quello che è successo in Val di Susa è la dimostrazione di come il singolo ente locale o un gruppetto di persone abbiano avuto il diritto di veto per tutto questo tempo. La legge sulle grandi opere presentata da Bossi e da Berlusconi si propone proprio di superare questo empasse. Una volta che un'opera viene definita "di interesse nazionale", la si fa».
In che modo?
«Il modello da seguire è quello francese, che dice agli enti locali di collaborare, coinvolgendoli anche con costi enormi per lo stato, per mitigare al massimo gli impatti ambientali (le opere costeranno molto più di prima, ma va bene così, perché l'impatto ambientale deve essere minimo). Però bisogna anche sapere che non sarà più possibile bloccare l'opera».
Faccia un esempio.
«Modena. Per far passare il nuovo collegamento ferroviario Milano-Bologna sono stati fatti 17 progetti diversi. Va bene cercare le alternative, ma poi si deve concludere. Certo, il problema di coniugare la necessità di queste opere con le esigenze delle popolazioni locali è sicuramente prioritario, più dell'aspetto finanziario, viario, eccetera. Ma attenzione: se non facciamo niente peggioriamo le cose».
Lei è vicepresidente dell'Associazione Casa delle Libertà: cosa vi proponete?
«Siamo un'associazione culturale che si propone di stimolare dibattiti come quello di oggi. Vogliamo offrire una serie di spunti al nuovo governo, che speriamo siano tenuti in considerazione. Il prossimo governo dovrà affrontare un grande problema: il sistema italiano dei trasporti. Siamo consapevoli che se non costruiremo certe opere necessarie , l'Italia diventerà un paese di serie B. Possiamo diventare come Grecia e Portogallo. L'importante è essere chiari».
Grandi opere, quindi appalti, quindi nuova tangentopoli?
«La corruzione è vecchia come l'uomo. Però non si può rinunciare alle infrastrutture per evitare la corruzione: bisogna colpire corruttori e concussori».



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