Lucheto

Vissuto  tra il XIII e il XIV secolo, è considerato il Dante genovese, per essere stato il primo ad usare questo idioma con piena consapevolezza artistica e linguistica. Epico cantore delle lotte sostenute dalla sua gente - ad esempio, delle battaglie di Laiazzo e di Curzola - fu anche poeta profondamente religioso, dalla visione del mondo pacatamente moralista ed ispirata ad una assoluta fiducia nella giustizia divina. Tu, omo chi vai per via
Il pianto di Maria
La battaglia di Laiazzo


 

Tu, omo, chi vai per via,

san e zovem e fresco e forte

non andar per vie torte

como nave senza guia.

Chè, se lo mondo par che ria

e vita longa deporte,

aspeità de' doe xorte:

o vejeza o marotia.

Donca faza vigoria

no te ingane ni conforte;

ni re' vento alcun te porte,

donde inderé alcun no sia.

Lavora fin che n'ai bailia

anti ca l'ora te straporte,

donde no se po' dar storte,

ni aver alcuna aìa.

Tuta la scritura cria:

"poi che seràm serrae le porte,

zà no serà chi te reporte

a remendar chi marvaxia".

E' no te digo boxia

chi vanamenti te conorte:

se poi tornam gente morte

quelli chi sum passai ne spia.

Amen.

Tu, uomo, che vai per la via / sano, giovane, fresco e forte / non scegliere strade storte / come nave senza guida. / Chè, se il mondo sembra che ti sorrida / e ti prometta lunga vita / devi comunque aspettarti due sorti: / o vecchiaia o malattia. / Dunque falsa vigoria / non ti inganni nè conforti / nè alcun cattivo vento ti porti, / là dove non si torna. / Lavora finchè puoi / prima che l'ora ti conduca / dove non si può scantonare, / nè avere alcun aiuto. / Tutta la scrittura grida: / " quando saranno chiuse le porte, / non ci sarà chi ti riporti / a rimediare al male fatto". / Io non ti dico bugia / che ti esorti vanamente: / chi è trapassato ci è testimone / se mai tornano le persone morte. / Amen.

La profonda ispirazione religiosa di Lucheto  pone certi suoi  versi di grande intensità drammatica ad una altezza forse pari a quelli di un Jacopone da Todi, e la loro scarsa popolarità al giorno d'oggi è dovuta alla totale indifferenza della scuola nei confronti della cultura autenticamente ligure. Qui la Madonna narra ad un interlocutore le fasi della Passione di Cristo. ....
Quando e' lo vi' cossì ferir
de pugni, de corpi e de natae,
con tante injurie far e dir,
le carne soe sì tassae,
enspinao e spuazao,
jastemao con gran furor,
scregnio e desprexiao;
a tar vergogna e desonor
tuta de dor me comovei,
lo spirito me somentì,
lo seno e la voxe perdei,
strangoxa', cazando lì.
Comego eram mee soror
e atre femene monte,
chi vegando esto dolor,
de grande angustie eram ponte;
de le quae fo la Magdalena,
chi pu cha tute, aster mi,
ne portà gran dolor e penna,
per zò che De' la trasse a si.
Poi, instigando li Zué
chi criavam: "Mora, mora,"
e sacerdoti e pharisé,
fo zugao e traio fora
per lo comando de Pilato;
e lo centrego criava,
con tuto l'atro povoro mato
chi de noxer no cessava.
Jastemando con gran voxe
lo me fijor, sì gamaitao,
constresem a portà la croxe
donde elo devea esser javao.
En quela doze visaura
e su la soa santa testa
de lavajo e de brutura
abondava gran tempesta.
E', trista maire, lo seguìa,
com le aotre done chi pianzeivam
vegnando in mia compagnia,
chi como morta me rezeivam.
Tam fin, a quelo logo fomo
donde 'lo fo crucificao,
per lo peccao de quelo pomo
donde Adam fo prevaricao.
A mea vista, in quelo legno
lo so corpo santo e biao
da lo povoro neco e malegno
duramenti fo javao.
.....
Questo era lo me gram dolor
che sostener e' no poeva;
verme partir de tal fijor,
ni mai aotro no avea!
La mea voxe era perìa,
chi no poeva ensir de for,
ma sospirando sì zemia,
quaxi szhatando per lo cor.
Considerando che morìa
la cossa che tanto amava
dentro e de for me stramortìa
l'angosa che de lui portava.
Ma sì me sforzai a dir:
"O doze fijor, guai a mi,
chi te vego cossì morir!
Ché no posso morir per ti?
Guarda in ver' esta cativa
pina de szheso e de dolor;
no laxà de poi ti viva,
che no te dexe morir sor;
o morte, no me perdonar!
Chè, se te schiva l'atra gente,
tropo me piaxe e sì m'è car
che tu me oci' a presente.
O fijor, doze amor me',
che sozamente se portamo!
Senza voi che farò e'?
Fai sì che insemel noi moiramo.
O Zué fauzi e desperai,
donde me ven gran ruina,
pregove che voi ociai,
con lo fijor, questa meschina!
Guaimé, morte, como è presta
de zuigar lo fijor me'!
Che mara raxom è questa
che te dexiro e no me ve'?
Lo me viver è morì,
e lo morir vita me par:
lo sor me' vego oscurì,
tenebrosa, che dom e' far?
Oimé, donde tornerò e'
per devei esser consejaa?
Respondime, doze segnor me':
da chi serò e' pu compagnaa?
Se no te piaxe e tu no vòi
ch'e' contego morir deja,
car fijor chi tuto pòi,
en qualche guisa me conseja!"
... Quando lo vidi così ferire / con pugni, spinte, colpi di canna / che tante ingiurie gli facevano e dicevano / che le sue carni erano straziate / e lui coronato di spine e sputacchiato, / bestemmiato con gran furore / schernito e disprezzato / a tal vergogna e disonore / fui tutta presa dal dolore / l'animo mio venne meno; / persi il senno e la voce / e caddi a terra, senza respiro. / Avevo con me le sorelle / e molte altre donne / che, vedendo questo dolore, / erano molto angustiate. / Tra di esse la Maddalena, / più di tutte, a parte me, / ne provò dolore e pena / sì che Dio la chiamò poi a sè. /Poi, siccome i Giudei istigavano / gridando "Muoia, muoia!" / con sacerdoti e farisei, /fu schernito e condotto fuori / per comando di Pilato; / e il centurione gridava / insieme con il popolo impazzito / che di nuocere non cessava. / Bestemmiando a gran voce / il mio figliolo, così percosso, / lo costrinsero a portar la croce / dove sarebbe stato inchiodato. / Su quel dolce viso / e su quella santa testa / di melma e sporcizia / c'era gran quantità. / Io, triste madre, lo seguivo / con le altre donne che piangevano / e venivano in mia compagnia / reggendomi come morta. / Infine, arrivammo in quel luogo / dove egli fu crocifisso / per il peccato di quella mela / da cui Adamo fu indotto in colpa. /.../Questo era il mio gran dolore / che sopportare non potevo; / vedermi morire un tale figlio, / l'unico che avessi! / La mia voce era fioca, / e non poteva uscire / ma sospirando gemevo / e quasi il cuore scoppiava. / Vedendo che moriva  / ciò che io tanto amavo, / dentro e fuori ero tramortita / dall'angoscia che avevo per lui. / Eppure mi sforzai a dire: / "O dolce figlio, guai a me, / che ti vedo così morire! / Perchè non posso morire al tuo posto? / Guarda verso questa sciagurata / colma di strazio e dolore; / non permettere che ti sopravviva / tu non puoi morire solo! / O morte, non mi perdonare! / Ché, se gli altri ti fuggono, / assai mi è caro e mi piace / che tu subito mi uccida. / O figlio, dolce amor mio, / in qual misero stato ci troviamo! / Che farò senza di te? / Fa' che moriamo insieme! / O Giudei falsi e disgraziati, / da cui mi viene tanta sciagura, / uccidete, vi prego, / questa misera insieme con suo figlio! / Ahimé, morte, quanto sei veloce / nell'impadronirti del mio figliolo! / Per qual funesto motivo / io ti desidero e tu non vieni? / Il mio vivere è morire / e il morire mi pare vita; / vedo oscurarsi il mio sole, / che debbo fare nelle tenebre? / Ahimè, a chi mi rivolgerò per un consiglio? / Rispondimi, dolce signore: / chi mi starà vicino? / Se non ti piace e non vuoi / che io muoia con te, / caro figlio che tutto puoi, / consigliami in qualche modo!"

In memöia do Luchetto, finïo de transcrive e mandòu in Ræ o Venardì de Pasqua, A.D. MM
                         

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