Scotty Burton
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Scotty Burton –  The Bridges Of Edinburgh 

Testo di Alfredo De Pietra 

Addormentarsi, sognare la Scozia e… 

Escursione in chiave onirico-celtica di un chitarrista fino ad oggi dedito a esplorare versanti musicali differenti come rock, jazz e bluegrass. L’ennesima tappa artistica di un musicista che fa della continua ricerca il suo credo personale.

Dobbiamo innanzitutto confessare una gran simpatia nei confronti di Scotty Burton. Fu lui stesso qualche mese fa a proporci, timidamente e in punta di piedi, il suo album The Bridges Of Edinburgh per una recensione su “Keltika”. E non dimenticheremo facilmente l’enorme, sproporzionato pacco ricevuto successivamente dall’America che conteneva, tra mille ritagli di giornali, solo una copia del CD, segno evidente di una non eccessiva fiducia da parte dello stesso Burton nei confronti della sicurezza delle poste internazionali.

Che dire, poi, dell’origine stessa di questo The Bridges Of Edinburgh? Racconta l’autore che l’ispirazione sia nata in seguito ad un sogno notturno a tema scozzese. Colto da raptus creativo Burton ha scritto i sette brani che compongono il disco, in qualche modo ispirati alla Scozia, tutti insieme, il giorno successivo al sogno stesso. E per giunta li ha pure registrati, tutti e sette, in un sol giorno, precisando con malcelato orgoglio nelle note di copertina “NO overdubs, NO other instruments” Affascinante storia, ancor più considerato che in questo caso particolare non stiamo affatto parlando del “consueto” Celtic guitarist: Burton arriva a questa “esperienza in chiave scozzese” dopo un iter musicale di tutto rispetto, che attraversa un po’ tutto il panorama artistico di questi ultimi decenni. Lasciamo che sia lui stesso a presentarsi:

Fin dalla nascita ho dovuto fare i conti con il rhythm’n’blues, il blues e il country, generi musicali per i quali i miei fratelli più anziani impazzivano. Io…non capivo bene che musica fosse, ma in qualche modo mi attirava, sentivo che mi piaceva. All’età di quindici anni chiesi a mio fratello di insegnarmi a suonare alla chitarra “Blackbird” dei Beatles. Lì fu l’inizio di tutto. Cominciai a comprare i vinili di Hendrix, dei Led Zeppelin, Deep Purple, Dylan, dei Cream…rallentavo il giradischi a sedici giri per imparare meglio tutti i passaggi di chitarra! Il mio primo gruppo rock…all’età di diciotto anni, ma ben presto mi imbattei nei Return to Forever di Chick Corea, e decisi di approfondire il versante chitarristico jazz. Mi trasferii così a Kansas City ed entrai a far parte del movimento jazz di quella città, in quegli anni particolarmente attivo. Ma riuscivo a guadagnarmi da vivere suonando un po’ in tanti contesti: una sera jazz, il giorno dopo rock, poi magari blues, poi country…passando anche per la musica di Joe Satriani e di Eddie Van Halen. Arriviamo così alla metà degli anni Novanta: ascolto il bluegrass di Marc O’Connor, e…naturalmente mi prende la smania per il bluegrass, che indirettamente mi condurrà in seguito alla scoperta del fingerpicking. Bene, The Bridges Of Edinburgh diciamo che è il frutto di questo mio interesse nei confronti della chitarra fingerstyle.

Un personaggio eclettico, Scotty Burton (http://www.scottyburton.com/), un innamorato dello strumento-chitarra in qualsiasi contesto: “Amo il suono della chitarra, sia essa elettrica, acustica, rock, jazz, blues, classica…mi piace tutto. Spero solo di continuare a suonare per il resto della mia vita…

Né c’è da aspettarsi che un’anima inquieta di questo tipo abbia raggiunto l’approdo definitivo, considerato che i suoi prossimi dischi in cantiere lo vedono impegnato su versanti che spaziano dalla musica classica al più spinto sperimentalismo. Abbiamo chiesto a Scotty Burton quali siano i motivi di tale vagabondaggio artistico: “Vede, sono molti i musicisti della mia età (Burton ha oggi 48 anni, n.d.r.) e abbiamo tutti più o meno fatto le stesse esperienze, è un fatto di background comune. Una delle cose più interessanti di questi ultimi decenni è però l’interesse di musicisti “sulla carta” puristi – parlo dei chitarristi jazz, classici, flamenco – nei confronti di discipline molto meno ortodosse: la realtà è che tutti noi stiamo vivendo un’epoca musicale caratterizzata da intensi movimenti transizionali, in ogni direzione artistica, e i risultati di queste commistioni sono alla base di tanta musica validissima per quanto riguarda il fattore creativo, l’innovazione.

Tornando a questo The Bridges Of Edinburgh, anche se non può definirsi un album purista – e con il curriculum sopra citato sarebbe strano il contrario – si tratta comunque di un disco che riesce a rendere in modo valido alcune “atmosfere musicali” tipiche della musica scozzese, come dimostrato dalla ottima “Edinburgh”, presente sulla nostra compilation mensile.

Colpisce soprattutto il fingerpicking del chitarrista di Kansas City, irruento, iperenergetico, per alcuni versi vicino al miglior Leo Kottke, in cui fanno qua e là capolino le molteplici esperienze musicali di cui si è detto. Un buon disco, raccomandato ai fingerpicker con animo “creativo”.